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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Piero Degli Antoni, Blocco 11. Il bambino nazista 03/01/2011

Blocco 11. Il bambino nazista                          Piero Degli Antoni
Newton Compton                                                 Euro 12,90

Il sole è al tramonto.Le strade davanti alle baracche sono gremite di uomini. Meglio dire “scheletri ricoperti di pelle”, gli occhi dalle orbite scavate, lo sguardo assente. I vecchi del campo li chiamano musulmani: sono i più deboli, quelli che nella lotta per la sopravvivenza sono i primi destinati alla selezione. Insieme a loro gli altri, “un gradino più in su”, magrissimi, ma “con qualche filo di carne distribuito qua e là”. Insaccati in uniformi a righe, o in logori abiti civili, la testa rasata, gli zoccoli incrostati di ghiaccio e di fango. Sono in piedi da tre ore, sferzati dal vento gelido, mentre i kapò li contano e ricontano. Nessuno osa muoversi nel regno del terrore assoluto che è il campo di sterminio nazista di Auschwitz, anno 1944. E quando un vecchio stramazza a terra, una SS, un esaltato (la norma) si getta su di lui, con un bastone in mano.
Le bastonate sono all’ordine del giorno, anche quando non c’è motivo: di bastone spesso si muore, orrendamente, lentamente, sotto gli occhi di tutti, obbligati a guardare. Ma questa volta l’SS si ferma, ha un’idea migliore, per quella gioia sadica di far soffrire il più debole, di sottometterlo, di annichilirlo, che è una delle costanti del campo. Vede un ragazzo in fila accanto al vecchio, capisce al volo che si tratta del figlio, gli porge il bastone e gli ordina di colpire il padre, in ginocchio vicino a lui. E quando quello esita, e il vecchio, spinto dalla disperazione, si rimette faticosamente in piedi, ha un’idea che gli sembra migliore: si riprende il bastone, lo dà al vecchio e gli ingiunge di picchiare il figlio, perché ha disobbedito al suo comando. L’altro segue flebilmente, una volta, poi scoppia in lacrime. L’SS gli punta la pistola alla testa, gli ripete l’ordine, ma il vecchio non si muove, tiene gli occhi bassi. Si sentono due spari, e i kapò portano via i due cadaveri…..
E’ una delle tante scene atroci, forse la più terribile, del nuovo romanzo di Piero Degli Antoni, Blocco 11. Il bambino nazista.
Sì, si può, anzi, si deve parlare ancora degli orrori dei campi di sterminio: è una memoria da coltivare in eterno; indispensabile nella nostra epoca di devastante indifferenza morale e di appiattimento del libero giudizio. Con maestria narrativa e perizia artigianale di costruzione (non è da tutti), ed esemplare scrupolo di ricostruzione storica, Degli Antoni, bravo e non abbastanza riconosciuto scrittore, che ha all’attivo un altro grande llibro, Ghiaccio sottile (Rizzoli 2005), un thriller ambientato tra le nevi dell’Himalaya, costruisce una trama fatta di due vicende parallele.
La prima: il sadico comandante del campo, che insegna il gioco degli scacchi al figlioletto in una lugubre, interminabile partita, metafora del conflitto fra vita e morte, dando a ogni pezzo il nome di un internato. Il direttore che, per rappresaglia, essendo fuggiti tre uomini, ha ordinato che dieci prigionieri, tra cui alcuni ebrei (e tra essi una donna), un comunista, un omosessuale, un capo blocco e il suo crudele aiutante, e un soldato tedesco disertore, siano rinchiusi nella lavanderia del blocco 11, e abbiano 14 ore di tempo per scegliere uno di loro che dovrà essere giustiziato. Se no, moriranno tutti.
La seconda, appunto, più cospicua e cruciale: gli stessi prigionieri, messi l’uno contro l’altro, in lotta per la vita, in un clima di claustrofobia angoscia. Con uno studio minuzioso dei caratteri e del contrasto tra odio e sospetti indotti dalla situazione e i residui barlumi di pietà e fratellanza. E con un protagonista, l’umanissimo ebreo Moshe, il mediatore tra le diverse reazioni dei suoi compagni. Grande e severa narrativa “da camera”, lontana da ogni sensazionalismo, da leggersi, da leggersi assolutamente.

Giovanni Pacchiano
Il Sole 24 ore


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