Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
" Non sarà l'anno prossimo "
Israele metta fine all'occupazione della terra araba
Cari amici, nell'ultima cartolina dell'anno vi regalo quattro cifre che spiegano perché la pace in Medio Oriente non è proprio imminente, blocco o non blocco delle costruzioni nelle "colonie".
A che condizioni pensano gli ottimisti e in particolare i "progressisti di Haaretz" (quelli, lo ripeto, che secondo i palestinesi "la pensano proprio come noi" e "rappresentano la causa palestinese" (http://elderofziyon.blogspot.com/2010/12/palestinian-leader-praises-haaretz.html) che si potrebbe firmare la famosa pace? Be', di solito parlano di queste condizioni "che tutti conoscono", "che già sono chiare": un ritiro israeliano dal 97% di Giudea e Samaria, con uno scambio di territori per il restante 3%; una Gerusalemme capitale dei due stati (i quartieri prevalentemente abitati da arabi alla futura Palestina, quelli ebraici a Israele; uno stato palestinese con una forte forza di polizia, ma senza esercito; una sovranità palestinese piena sullo spazio aereo e terrestre, ma con un diritto israeliano di mantenere alcuni controlli di "primo allarme"; il diritto di ritorno dei "rifugiati" palestinesi limitato al nuovo stato, magari con qualche ingresso "simbolico" in Israele e compensazioni finanziarie. La pace è fatta, dicono, solo la piccineria degli interessi dei "coloni" e la vigliaccheria dei politici impedisce che si firmi subito. Ah, ci fossero statisti veri in Israele, capaci di fare "i dolorosi sacrifici necessari"!
Ma si illudono. Sapete quanti palestinesi sono d'accordo su un piano del genere? Secondo un sondaggio fresco fresco, circa il 40 %. E i contrari? Il 58 %. ( (http://www.pcpsr.org/survey/polls/2010/p38ejoint.html). In particolare il 57% dei palestinesi sono contrari a un diritto al ritorno per i "rifugiati" garantito nel nuovo stato ma simbolico o opzionale in Israele e negli stati di attuale residenza. Il 63% è contrario alla divisione di Gerusalemme, che pure darebbe loro buona parte dei quartieri orientali tipo Silwan e anche la parte araba della città vecchia. Il 74% si oppone alla demilitarizzazione del nuovo stato (è un segnale eloquente). Il 61% si oppone alla concessione di ispezioni sullo spazio aereo a Israele per 15 anni.
Per la cronaca i dati degli israeliani sono assai diversi: i favorevoli al pacchetto che vi ho descritto prima superano i contrari 52% a 38%. Ma solo se si presentano le cose in maniera molto ottimista, addolcendo la pillola nello stile Haaretz.. E per mostrarvi l'altra faccia della medaglia, vi traduco una riflessione di Sever Plocker su "Yediot Aharonot", il più diffuso giornale israeliano (http://www.commentarymagazine.com/blogs/index.php/richman/385264): "Chiedete in un sondaggio quanti israeliani sono disposti a mandar via 150 o 200 mila abitanti da Giudea e Samaria, ritirare l'esercito dalle basi nella valle del Giordano, far schierare la polizia palestinese fra Kalkilya and Kfar Saba [due località vicine, una palestinese e l'altra israeliana nella strettoia israeliana a nord di Tel Aviv], tagliare Gerusalemme con un nuovo confine, trasformare la Cisgiordania in un paese straniero che assorbirà centinaia di migliaia di miliziani provenienti dai campi del Libano – e vedrete le percentuali dei sostenitori dei due stati precipitare verso lo zero.
Ma questa caduta, bisogna aggiungere, non è così urgente. Perché i Palestinesi, prima di non volere questo o quel dettaglio, non sono disposti a compiere l'atto fondamentale di una pace, cioè la rinuncia all'ostilità. Non sono disposti a includere nelle trattative di pace né il riconoscimento che Israele è lo stato del popolo ebraico (alla faccia del principio due stati per due popoli), né la clausola della chiusura delle controversie, della rinuncia a chiedere altro – che è il senso vero di ogni trattato. Il massimo che sono disposti davvero a offrire è molto sotto il minimo sufficiente per una pace vera. Concepiscono le trattative come un altro mezzo per mettere in difficoltà Israele, come le manifestazioni, gli attentati, le flottiglie, le proteste.
Stiamo allegri, allora, e speriamo pure che prima poi la pace verrà. Ma non certo nell'anno che viene.
Ugo Volli