Sul FOGLIO di oggi, 31/12/2010, a pag.3, con il titolo "Paese per paese, l'atlante dei vignettisti nella 'hit list' islamista" una analisi a livello internazionale sui vignettisti coraggiosi che sfidano il fondamentalista islamico. Il pezzo non è firmato, come è abitudine del Foglio, ma noi scriviamo Giulio Meotti, che forse non disegna, ma la cui scrittura è riconoscibile ad occhi chiusi.
Ecco il pezzo:
Roma. Gira uno strano spettro in occidente: la “matita blasfema”. Non si contano più i casi di vignettisti e artisti che hanno rinunciato al proprio lavoro, che sono scomparsi nell’anonimato, costretti alla macchia per la propria “irriverenza” nei confronti dei tabù islamici. La chiamano “the hit list”. E’ la lista degli obiettivi da uccidere. Sono presenti in molti paesi europei e negli Stati Uniti. I sicari arrivano da tutto il mondo. Come quelli che mercoledì erano pronti a colpire la sede del Jyllands Posten, il quotidiano danese che nel 2006 pubblicò le vignette su Maometto. In Svezia il target si chiama Lars Vilks. Ha ricevuto minacce di morte anche dalla lontanissima Somalia. Kamikaze sono stati lanciati a Stoccolma contro il suo nome. Gli hanno incendiato la casa. Lo hanno quasi linciato a una conferenza. Vilks è il 62enne disegnatore che ha realizzato opere in cui ritrae Maometto come un cane e un musical dal titolo “Dogs” (cani), in cui ha preso di mira il Profeta. L’artista si è visto censurare da diversi musei svedesi. Troppo pericoloso. In un sito islamista è comparsa una taglia di 100 mila dollari sulla sua testa. Qualcuno ha chiesto a Vilks: “Vale la pena di morire per un cane?”. “Sì”, risponde lui. Legati al nome di Vilks sono stati promossi boicottaggi contro Ericsson, Scania, Volvo, Ikea ed Electrolux. In Gran Bretagna l’artista inglese Grayson Perry spera di essere uscito dalla “lista”. In un’intervista al Times di Londra, Perry, che ha una fama di dissacratore e di spudorato iconoclasta, ha confessato di essersi autocensurato per paura di fare la fine di Theo van Gogh, il regista olandese assassinato nell’autunno 2004 per aver girato un film-denuncia sulla condizione della donna nell’islam. “La ragione per cui non ho più attaccato l’islamismo nelle mie opere è che nutro una paura reale di finire con la gola tagliata”. La celebre Tate Gallery inglese ha ritirato l’opera “God is great” di John Latham. Mostrava la Bibbia, il Corano e il Talmud tranciati di netto da una lastra di vetro. Il critico d’arte Richard Cork ha accusato l’establishment culturale di aver svenduto la libertà: “Quando si inizia a pensare così, il cielo è il solo limite”. Negli Stati Uniti, da sempre un porto sicuro per gli artisti e gli esuli, c’è stato il caso di Molly Norris. Il 15 settembre scorso, sul Seattle Weekly, è comparso un breve articolo che cominciava così: “Come avrete notato questa settimana sul giornale non c’è la vignetta di Molly Norris. Questo perché Molly non c’è più”. Poi poche righe per assicurare i lettori. “Grazie al cielo, è viva e sta bene”, ma su richiesta dell’Fbi “sta per diventare un fantasma”. Molly ha dovuto cambiare nome, città e vivere sotto protezione perché è nel mirino dei qaidisti. Contro di lei ha emesso una condanna di morte l’imam Anwar al Awlaki, ispiratore di diversi attentati e guida spirituale dei terroristi yemeniti. Il predicatore ha emesso un decreto religioso: “La medicina prescritta dal messaggero di Allah è l’esecuzione di coloro che sono coinvolti”. Tutto ha inizio in primavera, quando Molly Norris fa un disegno con riferimenti a Maometto. Insieme alla vignetta, Molly lancia l’idea del giorno dove “tutti possono disegnare su Maometto”. La proposta corre veloce e in Canada una ragazza apre una pagina Facebook rilanciando il progetto. Arrivano subito le adesioni. Ma anche le proteste rabbiose. La Norris, preoccupata, prende le distanze. Ma per gli estremisti è una scintilla di una nuova campagna. In luglio compare la fatwa sulla rivista on line Inspire, presunto organo di informazione dei qaidisti dello Yemen. Quando il Washington Examiner, un quotidiano on line di Washington D.C., ha chiesto all’American Society of News Editors di rilasciare una dichiarazione sulla Norris, nessuno ha risposto. Idem per la Society of Professional Journalists. La paura permea anche le lettere americane. Nella hit list di Awlaki compaiono anche Carsten Juste, l’ex direttore del Jyllands Posten, e Ulf Johansson, il direttore del giornale svedese Nerikes Allehanda che ha riprodotto i disegni di Vilks. Anche gli autori di “South Park”, Trey Parker e Matt Stone, sono stati minacciati di “fare la fine di Theo van Gogh”, vedendo pubblicate le proprie foto accanto a quella del regista olandese accoltellato a morte. I due avevano ritratto il profeta Maometto nei panni di un orso bruno. Un post su Internet ha anche fornito dettagli sulla casa che Stone e Parker hanno in comproprietà in Colorado, insieme all’indirizzo newyorkese di Comedy Central, l’emittente che trasmette “South Park”. Nel 2006 Comedy Central aveva vietato a Stone e Parker di raffigurare Maometto in un episodio sulle polemiche suscitate dalla pubblicazione in Danimarca delle vignette. Così Stone e Parker hanno coperto con un bip le parole “Profeta Maometto”, sostituendo la controversa immagine dell’orso con una di Babbo Natale. Oltre a tappezzare la puntata con avvisi di “Censored”, censurato, si sono divertiti a massacrarla con i famosi bip che hanno reso impossibile la comprensione della trama e del finale. Persino il famoso Metropolitan Museum of Art di New York ha rifiutato, per timore di attentati, di esporre le vignette danesi. E se non bastasse, le prestigiose edizioni della Yale University Press hanno pubblicato il libro “The Cartoons That Shook the World”, dedicato alle caricature, senza riprodurre le vignette “blasfeme”. Via anche il Maometto nell’Inferno di Doré. In Danimarca il “most wanted” si chiama Kurt Westergaard. Stava per essere ucciso da un fondamentalista islamico penetrato in casa sua, ad Aarhus, la seconda città della Danimarca. A 75 anni Westergaard, autore della controversa caricatura di Maometto con la bomba nel turbante, effigie bruciata in tutte le piazze del mondo arabo, ha avuto la prontezza di chiudersi a chiave in una stanza sfuggendo all’ascia del killer. Per ucciderlo arrivano da tutto il mondo. Oggi ha una protezione paragonabile soltanto a quella del primo ministro Rasmussen. La persecuzione ha avuto ripercussioni anche sul resto della famiglia Westergaard. Sua moglie, Gitte, è stata licenziata dall’asilo nido dove lavorava perché avrebbe messo a rischio la vita dei bambini e dei colleghi. Ci sono 81 Westergaard in Danimarca e molti di loro hanno ricevuto minacce di morte al telefono, fino al punto di dover essere spesso protetti dalla polizia, sebbene non abbiano che il cognome in comune con il vignettista. L’abitazione ad Aarhus, dove vivono i Westergaard, sembra un’anonima casa nordeuropea di periferia. Dentro è una fortezza, con telecamere di sicurezza e finestre blindate. La campagna d’odio ha trasformato Westergaard in un “ratto all’inferno”, come ripetono orgogliosi i fondamentalisti islamici. Un sistema di allarme gps lo segue ovunque vada, in modo che la polizia sappia sempre dove si trova. Fino a oggi Westergaard ha guidato nove automobili diverse e ha vissuto in dieci appartamenti “sicuri”. In Olanda il vignettista a rischio è anche quello che era più amato da Van Gogh. Si chiama Gregorius Nekschot ed è stato persino arrestato dalla polizia olandese. “Non mi sarei mai aspettato l’Inquisizione spagnola”, ha detto l’uomo che si firma con pseudonimo per tutelarsi dalle minacce di morte. Il 13 maggio 2008 il vignettista trascorse la notte in cella, mentre la polizia spulciava nel suo computer, accusandolo di violazione della Costituzione olandese che proibisce la discriminazione. Il caso divenne subito politico. “La Danimarca protegge i vignettisti, noi li arrestiamo”, grida Geert Wilders. Il sito internet di Gregorius Nekschot, che deriva dall’espressione olandese “giustiziato alla nuca”, è preso ogni giorno d’assalto ma le sue opere, spesso di pessimo gusto, sono esposte al Parlamento dell’Aia dove un politico liberale ha allestito uno “spazio dedicato alla libertà di pensiero”. Nekschot, che disegna per il settimanale HP/De Tijd, ha detto che l’arresto ricorda “i metodi dei fascisti e dei comunisti”. La sua vignetta più celebre ritrae la scritta “Islamsterdam” e un imam con un coltello fra i denti. Alla pittrice olandese Ellen Vroegh sono stati ritirati i dipinti dalla galleria comunale di Huizen, perché “offensivi dell’islam”. Nei suoi quadri non c’erano imam con bombe in testa, ma donne nude. Quanto basta per far scattare la censura preventiva. Poi c’è un’artista iraniana di Amsterdam, Sooreh Hera. Aveva presentato al Museo dell’Aia un’installazione artistica che ritraeva coppie omosessuali. Con le maschere di Maometto e Alì. L’hanno minacciata per telefono: “Ti bruceremo viva”, “ti prenderemo”, “ti uccideremo”, “abbiamo ucciso una volta siamo pronti a farlo una seconda…”. Un celebre sito arabo pubblicò la sua fotografia, chiamandola “apostata”. Equivale a una condanna a morte. Il quotidiano iraniano Keyhan diffuse un editoriale di Hossein Shariatmadari, un capo dei pasdaran responsabile delle persecuzioni di scrittori e intellettuali. Diceva che Sooreh Hera doveva essere uccisa e che le frontiere non dovevano fermare l’omicidio. Diceva anche che Amsterdam era la “Capitale del movimento antislamico”. “Il fuoco del proiettile nella testa di questa dannata e blasfema è un’assoluta necessità”, recitava la fatwa di Shariatmadari. Come Sooreh, il pittore musulmano Rachid Ben Ali ha dovuto abbandonare di notte il proprio letto e riparare in albergo a causa delle minacce. I lavori di Rachid raffigurano kamikaze e quelli che l’artista chiama gli “hate-imams” (gli “imam dell’odio”). Come ha scritto lo studioso di islamistica Daniel Pipes, “il codice Rushdie è sbarcato in occidente”. L’intimidazione finora ha pagato. Chi ricorda il nome di Hitoshi Igarashi? Nessuno. Eppure era il linguista giapponese che accettò di tradurre “I versetti satanici”. I sicari arrivarono fino a Tsubuka per aprirgli la trachea. Nessun nome di traduttore comparve più sul libro. Il traduttore norvegese William Nygaard è uscito miracolosamente vivo da un attentato e una trentina di ospiti di un albergo a Sivas, Turchia, sono stati uccisi nel tentativo di linciaggio del traduttore turco Aziz Nesin (una coltellata è toccata all’italiano Ettore Capriolo). All’epoca della fatwa André Glucksmann scrisse che “nel nostro occidente democratico, le autorità religiose e politiche cominciarono con l’abbozzare una smorfia che liquidava moralmente sia l’autore dei ‘Versetti satanici’ sia gli inquisitori di Teheran”. Oggi l’anonimato inghiottisce ogni giorno sempre nuove matite blasfeme.
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