Il Kurdistan iracheno rivendica il diritto all’autodeterminazione
di Zvi Mazel
Zvi Mazel
Il 12 dicembre 2010 Massoud Al Barazani, presidente della regione semi-autonoma curda in Iraq, ha pronunciato una dichiarazione esplosiva alla sessione d’apertura della 13° assemblea generale del Partito Democratico Curdo ad Arbil, capitale della Regione: il popolo curdo ha diritto all’autodeterminazione, e l’identità curda della città di Kirkuk non può essere messa in discussione. Non ci sono state reazioni immediate da parte del Presidente dell’ Iraq, né del Primo Ministro, né del Presidente del Parlamento nazionale, tutti presenti all’assemblea, ma è sorta poi una tempesta politica che non dà segno di calmarsi. Barazani ha aggiunto che i Curdi sono una nazione a sè stante e che il loro diritto all’auto-determinazione è lampante, sulla base dei trattati internazionali che riconoscono tale diritto a ogni popolo. L’ implementazione di tale diritto è ora l’obbiettivo immediato del Partito.
Il Primo Ministro della Regione del Curdistan Barham Salah, uno dei capi del Partito di Unità Nazionale Curda il cui presidente è Jallal Talabani, presidente dello Stato Iracheno (perché in Iraq, come in Libano, le massime cariche istituzionali sono suddivise su base etnico-religiosa, dunque il Presidente dello Stato è curdo, il Primo Ministro è musulmano sciita, il Presidente del Parlamento è musulmano sunnita), si è subito dichiarato d’accordo. Salah ha sostenuto che tale diritto naturale del popolo curdo è compatibile con la costituzione irachena. La Costituzione asserisce che l’unità dell’Iraq è basata sulla volontà delle sue componenti etniche: se una di queste componenti non vuole più far parte dell’Iraq, ha il diritto alla secessione. Un altro oratore ha poi dichiarato che il diritto all’autodeterminazione è stato l’obiettivo primario del Partito Curdo d’Unità Nazionale fin dal 1985, quando iniziò la guerra per l’indipendenza fra le montagne del Kurdistan.
Dopo queste dichiarazioni concordi dei due principali partiti curdi, entrambi nella coalizione di governo, dichiarazioni di sostegno sono state pronunciate anche dai partiti curdi di opposizione, dai sindacati, da istituzioni islamiche e da personaggi eminenti del mondo parlamentare, culturale e politico curdo, da ogni parte dell’arco politico. E’ chiaro che i curdi iracheni sono concordi nella richiesta di auto-determinazione. Alcuni oratori hanno ricordato che i curdi furono aggregati forzosamente all’Iraq quando gli Inglesi crearono il paese, e che è giunto il momento di costituire un proprio stato autonomo; altri che il 98,5% della popolazione della regione ha scelto l’auto-determinazione nel referendum di pochi anni fa. Le organizzazioni rappresentative delle minoranze regionali, cristiani e turcomanni, si sono dette entusiasticamente d’accordo. Il Segretario Generale del Partito Turcomanno ha dichiarato: ‘noi Turcomanni siamo parte del popolo curdo, perciò aderiamo di cuore alla dichiarazione del presidente Barazani sull’auto-determinazione’, e questo diritto – ha aggiunto - è basato sul fatto che i curdi sono un popolo a sè, con caratteristiche nazionali, storiche e geografiche proprie. Il portavoce del Partito Assiro (cristiano) ha dichiarato che i curdi, in quanto nazione, hanno il diritto all’auto-determinazione come ogni altra nazione. Ahmed Chalabi, capo del Congresso Nazionale Iracheno (sostenuto dagli Americani in passato, quando chiedeva che venisse rovesciato Saddam Hussein, ma non più ora) ha detto che gli oppositori iracheni di Saddam Hussein in esilio si erano riuniti a Vienna nel 1992 e avevano accettato - fra le altre cose – il diritto dei curdi all’auto-determinazione.
Le reazioni ufficiali a Bagdad sono state deboli ed esitanti. Il governo ed i capi dei partiti di governo - per lo più sciiti - hanno taciuto. Il Presidente iracheno Talabani – curdo - ha preferito non rilasciare dichiarazioni, mentre gli altri membri del suo Partito d’Unità Nazionale Curda si dichiaravano d’accordo con Barazani. Il Primo Ministro Al Maliki, che per mettere insieme un governo ha bisogno anche dell’appoggio curdo al parlamento nazionale, è rimasto zitto. Neppure i grandi partiti sciiti si sono pronunciati.
La ‘Lista per l’Iraq’ di Iyad Allawi ha espresso il proprio dispiacere in un comunicato che invita i curdi a ‘prendere le distanze’ da dichiarazioni che possono ‘mettere a repentaglio l’unità del paese’. Il comunicato affronta anche la questione di Kirkuk, dicendo che ‘ Kirkuk è un limite che nessun partito deve valicare e tutti debbono rispettare’. La ‘Lista per l’Iraq’, che è laica e raccoglie sia sciiti che sunniti, ha avuto la maggioranza relativa alle elezioni di marzo 2010, ma non ha abbastanza deputati per governare. Dopo lunghe e faticose negoziazioni Allawi ha dovuto accettare che a formare il governo fosse il Primo Ministro uscente, Nuri al Maliki, che è riuscito a mettere insieme una coalizione di maggioranza di cui anche Allawi fa parte. Allawi ha avuto la presidenza del Consiglio di Sicurezza, che dovrebbe gestire i rapporti internazionali e le questioni di sicurezza nazionale. Come unico rappresentante del partito misto sunnita-iracheno in un governo fondamentalmente sciita, Allawi – lui stesso sciita - ha potuto esprimersi contro il danno che i curdi arrecano all’unità del Paese, mentre Nuri al Maliki non lo può fare. Il partito filo iraniano sciita ed estremista di Moktada Al Sadr ha invece condannato la dichiarazione ‘che rovina l’unità nazionale’.
Se il governo non si è pronunciato, i partiti sunniti all’opposizione hanno protestato a gran voce. Un portavoce del partito Baath ha dichiarato che la le parole di Barazani sono un sostegno alla politica degli occupanti americani che vogliono la divisione dell’Iraq, e sono state pronunciate proprio mentre in Sudan un complotto israelo-americano vuole fare a pezzi il paese favorendo la secessione del Sud nel referendum di gennaio. Ha anche accusato la Lega Araba di non far nulla per impedire che la Nazione Araba sia smembrata. Altri rappresentanti di organizzazioni politiche religiose sunnite hanno detto che non saranno mai d’accordo a dividere l’Iraq e che sono pronti a combattere.
La questione di Kirkuk è fra le più spinose. La città aveva una popolazione a maggioranza curda, ma molti curdi furono obbligati ad andarsene all’epoca di Saddam, per essere sostituiti da arabi. Dopo la prima guerra del Golfo del 1991 gli Americani e gli Inglesi hanno imposto sulla regione curda una ‘zona di non sorvolo’ per proteggere i curdi da Saddam e permettere che tornassero alle loro case. Questa protezione aerea ha permesso alla regione curda di rifiorire. Con l’aiuto degli Stati Uniti furono create istituzioni di governo e un esercito locale, quello dei Peshmerga, e l’economia migliorò rapidamente. Il Kurdistan iracheno divenne uno stato nello stato. Alla caduta di Saddam durante la seconda guerra del Golfo i curdi iniziarono ad espellere gli Arabi da Kirkuk. Il nuovo governo nazionale, creato dagli Americani, condannò aspramente l’espulsione, tanto più che attorno a Kirkuk ci sono enormi giacimenti di petrolio, pari al 4% delle risorse mondiali. Dopo lunghe discussioni si decise di inserire l’articolo 140 nella costituzione irachena. Secondo l’articolo 140 si sarebbe dovuto fare il censimento della popolazione, quindi tenere un referendum oppure proseguire i negoziati per decidere la sorte di Kirkuk. Ma il censimento non è stato fatto, per cui il problema non è risolto.
Altre questioni aperte fra il Kurdistan e il governo centrale iracheno sono
a) La distribuzione delle risorse del bilancio nazionale;
b) Il diritto del governo regionale del Kurdistan di stipulare direttamente contratti con aziende all’estero per lo sfruttamento delle risorse minerarie;
c) L’inclusione dei Peshmerga nell’esercito nazionale, che i curdi rifiutano.
Kirkuk è sicuramente il problema più difficile, e le dure dichiarazioni da entrambe le parti indicano che la violenza può esplodere da un momento all'altro.
Dopo la dichiarazione di Barazani il governo del Kurdistan ha ordinato alle unità dei Peshmerga di unirsi in un esercito unico, formando quattro reggimenti. I Peshmerga fino ad ora erano il braccio armato di due partiti locali che si erano coalizzati nella rivolta del 1981. L’esercito curdo raggiungerà così 20 reggimenti: un forza considerevole. Si tratta di una mossa che indica la determinazione del governo regionale curdo a prepararsi per il peggio.
Le dichiarazioni ufficiali del governo curdo cercano di ammorbidire la crisi. I curdi hanno diritto all’autodeterminazione, dice il governo, ma questo non significa che vogliano la secessione; i curdi ‘vogliono rimanere nell'ambito dello stato iracheno’.
E’ ragionevole pensare che i Curdi approfittino dell’impotenza del governo centrale per rafforzare le proprie posizioni. Vedono un’occasione unica per strappare a Maliki - che ha bisogno dei loro voti per formare il governo - il massimo delle concessioni possibili. Hanno stilato una lista in 19 punti , inclusi quelli di cui sopra, per accettare di sostenere il suo governo. Senza l’ appoggio dei curdi non si può fare il governo iracheno. La scorsa settimana Maliki ha presentato il nuovo governo, composto di 42 ministri, di cui soltanto 33 già nominati. Maliki per ora ha tenuto per sé i portafogli più delicati, fra cui la Difesa, perché non riesce a mettere d’accordo i partiti. I curdi hanno avuto 6 ministeri, ma le contrattazioni non sono finite. Le questioni più gravi non sono state affrontate, le discussioni più difficili sono ancora da fare.
La questione curda ha implicazioni a largo raggio. Gli stati vicini, Turchia, Iran e Siria - vedono con grande preoccupazione il risveglio curdo in Iraq. Hanno ampie minoranze curde al loro interno prive di indipendenza, e tutte reclamano almeno una qualche autonomia. Ci sono stati in questi paesi scontri sanguinosi con le minoranze curde. Se i curdi iracheni diventano indipendenti o largamente autonomi, le minoranze oltre confine potrebbero avanzare le stesse rivendicazioni. Lo stesso potebbero fare altre larghe minoranze del mondo arabo che non sono soddisfatte della propria situazione, come i Berberi in Algeria e Marocco, o i Copti in Egitto.
La lotta curda per l’autonomia in Iraq potrebbe avere un effetto domino in tutto il Medio Oriente.
(Zvi Mazel, già Ambasciatore israeliano in Romania, Svezia ed Egitto, è
membro del Jerusalem Centre for Pubblic Affairs and State)