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Il Foglio Rassegna Stampa
28.12.2010 Il piano di pace di Avigdor Lieberman
cronaca del Foglio

Testata: Il Foglio
Data: 28 dicembre 2010
Pagina: 3
Autore: La redazione del Foglio
Titolo: «Lieberman preme con il suo piano B per la pace con i palestinesi»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 28/12/2010, a pag. 3, l'articolo dal titolo "Lieberman preme con il suo piano B per la pace con i palestinesi".


Avigdor Lieberman

Gerusalemme. Avigdor Lieberman è pronto a presentare il suo “piano B” per far ripartire i negoziati con i palestinesi, sfidando le politiche sul processo di pace del premier Benjamin Netanyahu e di Washington. Il ministro degli Esteri di Gerusalemme ha definito “irrealistica” l’idea di Netanyahu di raggiungere entro un anno un accordo definitivo con i palestinesi e arrivare alla pace con “due popoli e due stati”, come vuole la formula cara alla comunità internazionale. Negli ultimi due giorni, Lieberman ha parlato al corpo diplomatico e al suo partito, dichiarando morte le trattative in stallo da mesi per il rifiuto palestinese di negoziare senza un blocco totale dell’edilizia negli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Il leader nazionalista israeliano ha in mente “un processo di pace con i piedi per terra”, perché entrambe le parti non sarebbero pronte a discutere i grandi temi del conflitto, come il destino dei profughi palestinesi o lo status di Gerusalemme. Il governo del presidente palestinese Abu Mazen “è illegittimo”, con un mandato scaduto da un anno e un conflitto interno con Hamas che non permette di indire elezioni, ha detto Lieberman. Qualunque accordo raggiunto con l’attuale leadership di Ramallah potrebbe essere facilmente abbandonato dai suoi successori, e comunque, “anche se gli offrissimo Tel Aviv, i palestinesi troverebbero una scusa per non firmare la pace”. Il leader del partito Yisrael Beiteinu (Israele è casa nostra) sottolinea però anche le divisioni nella fragile coalizione destra-sinistra di Netanyahu e all’interno del Likud, il partito del premier. “Nelle attuali circostanze politiche non è possibile presentare un piano diplomatico per un accordo definitivo, semplicemente perché la coalizione cesserebbe di esistere”, ha detto parlando ai diplomatici. Molto meglio, dunque, sarebbe cercare un accordo ad interim con Abu Mazen, aumentando la collaborazione sulla sicurezza e sull’economia che negli ultimi anni ha portato maggiore tranquillità e prosperità nei territori controllati dall’Autorità nazionale palestinese (Anp). Il principio ricorda molto la “pace economica” che proponeva Netanyahu prima del suo discorso all’Università Bar Ilan del giugno 2009, in cui, sotto pressione americana, abbracciò la formula dei “due popoli e due stati”. Il premier non ha gradito le esternazioni del suo ministro. Il suo ufficio specifica che “la posizione d’Israele è unicamente quella espressa dal primo ministro”. Ma ieri anche Netanyahu ha riconosciuto che un accordo ad interim con i palestinesi “è una possibilità” qualora non si raggiungesse un’intesa completa. Lieberman non ammorbidisce i toni, e afferma che se il suo piano B fosse respinto chiederebbe al premier di indire un referendum sulla sua strategia per un accordo finale con i palestinesi. Sul piano di Lieberman trapelano pochi dettagli, per ora. E’ certo però che il ministro degli Esteri voglia agire parallelamente per bloccare i tentativi dell’Anp di arrivare a un riconoscimento unilaterale dello stato palestinese da parte della comunità internazionale. Dopo che, nelle ultime settimane, Argentina, Brasile e altri paesi sudamericani hanno riconosciuto la “Palestina”, anche il Regno Unito starebbe valutando un salto di livello nelle relazioni, dando dignità di missione diplomatica alla delegazione palestinese a Londra. Lieberman ha ordinato un’offensiva diplomatica per spiegare ai leader mondiali che la via unilaterale è controproducente, dice al Foglio il portavoce del ministero Yigal Palmor. “Se volessero fare qualcosa questi paesi dovrebbero incoraggiare le trattative – afferma Palmor – la pace può venire solo da negoziati diretti, e premiare i palestinesi in un momento in cui rifiutano di negoziare non fa che incoraggiarli”.

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