La vera storia di Gesù, se fosse nostro contemporaneo 27/12/2010
La vera storia di Gesù, se fosse nostro contemporaneo
Hamas Fatah Hezbollah
Cari amici, vi propongo una piccola continuazione della mia cartolina natalizia. Devo a Paolo che sta in Israele la segnalazione di un pensiero interessante: se Gesù fosse nato due giorni fa invece che duemila anni fa circa, che sarebbe stato di lui? E' un esercizio che fanno in molti cattolici di base, cristiani per la pace e altre persone di buona volontà, concludendone che senza dubbio Gesù sarebbe un migrante, magari homeless (per esempio qui: http://www.scalabrini.org/index.php?option=com_content&view=article&id=1732%3Adove-nasce-gesu&catid=103%3Anostri-interventi&lang=it). Ma si può pensarla in maniera diversa. I volonterosi attualizzatori del Gesù bambino trascurano infatti un particolare molto importante, e cioè che Gesù, figlio di una famiglia ebraica, è nato a Betlemme, oltre la linea verde (che di solito i cattolici di sinistra chiamano confini del '67), dunque in "territorio palestinese" (http://www.chabad.org/library/article_cdo/aid/1392940/jewish/Protesting-Israeli-Occupation-of-Bethlehem.htm).
Si tratta insomma di una famiglia di coloni, cosa confermata dalla loro residenza regolare a Nazareth, "città palestinese" benché in territorio israeliano, dove gli ebrei secondo i palestinesi e i progressisti di tutto il mondo non avrebbero il diritto di comprar casa né di abitare. I palestinesi infatti devono poter vivere in tutta Israele, ma gli israeliani non possono stare nei quartieri palestinesi, anche se di loro proprietà storica, come a Gerusalemme o a Hebron. Della serie: tutto quello che è mio e mio e tutto quel che è tuo, anche.
Del resto, per una famiglia di coloni il fatto di dover far nascere il figlio in una grotta con mangiatoia ci sta, anzi è giustissimo: vuol dire che almeno allora il blocco delle costruzioni nelle "colonie" funzionava e non si fermava affatto di fronte a quella crescita naturale che provocatoriamente invoca il filocolonialista Netanyahu. E anche la fuga in Egitto corrisponde perfettamente al destino che i palestinesi progettano per tutti gli ebrei ("se vogliono vivere in pace se ne vadano da dove sono venuti", come ha detto perfino quell'arpia di Helen Thomas, ex giornalista alla Casa Bianca, che si è meritata una statua nel museo americano-palestinese per essere stata nominata il personaggio più antisemita dell'anno dal Centro Wiesenthal, http://liberaliperisraele.ilcannocchiale.it/post/2580934.html). Si dà il caso che dopo il '48 più di ottocentomila ebrei siano immigrati in Israele dai paesi arabi, qualche decina di migliaia anche dall'Egitto. Dunque "rientrarci" per una coppia di "coloni" in fuga ci sta, eccome. Sarebbe però un viaggio piuttosto difficile dato il fatto che oggi in Egitto gli ebrei e ancor di più gli israeliani, non sono molto graditi (del resto neppure in Giordania, in Libano, in Siria, in Arabia Saudita, Irak, Iran, Libia, Sudan, Yemen, Emirati, eccetera eccetera). Ma questo è un altro discorso.
C'è un'alternativa a questa immagine un po' sgradevole – lo ammetto - di una Sacra Famiglia di coloni lasciati senza casa dal blocco delle costruzioni e respinti dai paesi arabi. Ed è ammettere che duemila anni fa non c'erano palestinesi nella terra fra il Giordano e il mare, e che a parte qualche centurione e governatore romano di passaggio (e purtroppo con molto potere) c'erano solo ebrei; e che del resto non c'erano neppure musulmani in Egitto, in quel momento in parte ancora politeista vecchio stile e in parte ellenizzato, dopo un secolo o due destinato a diventare tutto cristiano, o come si diceva allora per dire egiziano, tutto copto. Non c'era neanche il nome Palestina, che fu inventato dall'imperatore romano Adriano dopo aver sconfitto la rivolta (ebraica) di Bar Kochba, circa un secolo dopo la morte di Gesù (http://www.evangelici.net/speciale/mediooriente/palestina.html) senza alcun rapporto coi vecchi Filistei, che erano indoeuropei e non arabi e inoltre furono dispersi o assimilati 800 anni prima (http://it.wikipedia.org/wiki/Filistei).
Se si accetta il fatto storico che non ci fossero palestinesi nella "Palestina" dei tempi di Gesù (che si chiamava regno di Giuda), e neppure per un buon millennio dopo, la storia del Vangelo non ha più a che fare con i "coloni", ma con una famiglia ebrea ortodossa perseguitata dall'ellenizzante Erode e il racconto evangelico (nella sua dimensione storica, senza impegno su quella teologica) così funziona. Ma naturalmente questo significherebbe che i palestinesi non sono affatto indigeni della "Palestina" o piuttosto di Israele, ma sono immigrati nel corso dei secoli successivi alla conquista islamica, buona parte di loro nel Novecento, richiamati dall'espansione economica prodotta dall'intraprendenza dei sionisti. Ma questo, direbbero i bravi cattolici di sinistra, contraddice la "narrativa palestinese" e quindi non va bene. Toglie base ai loro diritti imprescrittibili, che diamine, fa figurare la terra dove Gesù è nato nella tribù di Giuda, è stato circonciso, ha studiato Torah e pregato nel Tempio, come se fosse ebraica. E questo non va bene. La storia, in queste cose, conta poco. Importa "bloccare le colonie" e dare la caccia ai "coloni ebrei" dopo averli ben censiti per paura che si moltiplichino. Quello che facevano, in fondo, gli agenti di Erode duemila anni fa. Solo che oggi si chiamano Hamas, Fatah, Autorità Palestinese. Con l'aiuto degli uomini di buona volontà di tutto il mondo.