Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Perchè bisogna tenere d'occhio il Sudan Commento di Benny Morris
Testata: Corriere della Sera Data: 27 dicembre 2010 Pagina: 1 Autore: Benny Morris Titolo: «Dove l’Africa si divide tra Oriente e Occidente»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 27/12/2010, a pag. 1-29, l'articolo di Benny Morris dal titolo " Dove l’Africa si divide tra Oriente e Occidente ".
Benny Morris Sudan
Dobbiamo tenere d’occhio il Sudan, che sarà il prossimo teatro di guerra nello scontro di civiltà tra l’Occidente e l’Oriente. Le popolazioni cristiane e animiste della regione meridionale del più grande Stato africano vogliono la secessione e il 9 gennaio 2011 andranno al referendum. Dimentichiamo Osama bin Laden, dimentichiamo il muro tra Gaza e Israele, dimentichiamo— per un istante— gli attentatori pazzi all’opera in Iran. E concentriamoci sul Sudan. D imentichiamo Osama bin Laden, dimentichiamo il muro di sicurezza tra Gaza e Israele, e dimentichiamo — per un istante— gli attentatori pazzi all’opera in Iran. Teniamo d’occhio piuttosto il Sudan, perché rischia di trasformarsi nel prossimo teatro di guerra nell’attuale e perdurante scontro di civiltà. Da decenni le popolazioni cristiane e animiste della regione meridionale del più grande Stato africano (due milioni e mezzo di chilometri quadrati) combattono per liberarsi dai dittatori arabi musulmani che li governano da Khartoum. Nei ripetuti episodi di guerra civile, che si susseguono da cinquant’anni a questa parte, hanno trovato la morte da uno a due milioni di persone, soprattutto nelle regioni meridionali, ogni qualvolta i mezzi corazzati e i caccia bombardieri piombano dal nord a devastare e annientare i loro villaggi. Oggi queste popolazioni vogliono la secessione e il 9 gennaio 2011, in base agli accordi firmati nel 2005, si terrà un referendum sull’integrità territoriale del Sudan. Tutti gli osservatori concordano che le operazioni di voto, se correttamente eseguite e conteggiate, saranno in misura preponderante a favore della spartizione del Paese. Come reagirà il nord? A giudicare dal comportamento della classe dirigente nell’ultimo mezzo secolo e, più di recente, dalle dichiarazioni del presidente Omar al-Bashir verso i suoi concittadini musulmani — ma neri — del Darfur, nel Sudan occidentale, la reazione del nord sarà la peggiore immaginabile. Il sud possiede i giacimenti petroliferi, la più preziosa risorsa naturale del Sudan, e il nord non è disposto a rinunciarvi alla leggera, proprio come con grande difficoltà è stato costretto a fare a meno della sua tradizionale riserva di schiavi provenienti dalle regioni meridionali. (È da decenni che l’America bianca recita il mea culpa per i crimini commessi dai suoi antenati nei confronti degli schiavi neri, importati dall’Africa, sfruttati e oppressi. Il mondo arabo, che per secoli ha saccheggiato le riserve umane dell’Africa nera, e si calcola abbia ridotto in schiavitù molti milioni di esseri umani, se ne infischia largamente di questo orribile crimine che macchia la sua storia) Nei mesi successivi al referendum, le popolazioni meridionali, sotto la guida del Movimento per la liberazione del popolo sudanese, fondato da Salva Kiir, cercheranno di mettere in piedi il loro Stato. Si spera che arriveranno aiuti dall’America e dall’Europa, e forse anche da Israele. Ma il nuovo Stato avrà una nascita assai travagliata. Innanzitutto gli occorrerà un nome (Azanya?), forse una lingua nazionale per sostituire l’arabo (il Moru?). Quasi subito, moltitudini di rifugiati (quanti milioni?)— tutti quei cittadini meridionali emigrati nel ricco nord nel corso degli anni, dove sono stati sfruttati come sottospecie umana — affluiranno nel sud liberato. La realizzazione di infrastrutture— il nord ha costruito pochissime strade al sud — richiederà miliardi, e molti anni di lavoro. La ricostruzione delle zone devastate dalla guerra civile sarà anch’essa un’impresa immane. Resta tuttavia la preoccupante incognita se il nord, governato da un uomo accusato di genocidio e di crimini contro l’umanità (nel Darfur) dal Tribunale internazionale dell’Aia, sia davvero disposto a consentire, nel sud del Paese, la pacifica e ordinata transizione da provincia arretrata a nuova nazione. A giudicare dal passato, scorreranno fiumi di sangue prima che il Sudan meridionale possa diventare un libero Stato, se mai lo sarà. Certo, il mondo arabo e musulmano, come da copione, a prescindere da qualunque considerazione di ordine morale, appoggerà sempre e comunque le decisioni di Bashir. Nei Paesi che fanno da ponte tra l’Occidente (di retaggio greco-giudeo-cristiano) e l’Oriente (musulmano) — nelle Filippine, in Thailandia, Kashmir, Iraq (dove proprio in questi giorni la minoranza cristiana viene emarginata ed esiliata), Nigeria, Israele/Palestina, e fin nelle strade e periferie delle città occidentali (tra le quali, di recente, anche Stoccolma) — si accendono i focolai dello scontro globale tra le civiltà. E le zone di confine tra il nord e il sud del Sudan, purtroppo, non tarderanno a unirsi alla lotta.
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