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La Stampa Rassegna Stampa
27.12.2010 I cristiani fuggono da Betlemme. Di chi sarà la colpa?
Per Laurent Zecchini c'entra Israele

Testata: La Stampa
Data: 27 dicembre 2010
Pagina: 11
Autore: Laurent Zecchini
Titolo: «Via dalla città della Natività Betlemme è senza futuro»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 27/12/2010, a pag. 11, l'articolo di Laurent Zecchini dal titolo " Via dalla città della Natività Betlemme è senza futuro ".


Laurent Zecchini                Abu Mazen

Laurent Zecchini, corrispondente di LE MONDE, descrive ciò che si sta verificando a Betlemme: una città cristiana in cui, con l'amministrazione dell'Anp, i cristiani sono passati da maggioranza (75%) a minoranza a rischio (circa l'1% della popolazione, e continuano a diminuire). Purtroppo Zecchini si ferma qui e non racconta ai lettori tutta la verità, che è colpa della popolazione musulmana e dell'incapacità del Vaticano di difendere i cristiani nei Paesi islamici se questo sta succedendo. Molto meglio lasciar intendere che la responsabilità sia la nascita di Israele: "  Oggi i cristiani sono appena l’1,9 per cento della Palestina storica, contro il 20 per cento che erano prima del 1948. E sono meno di un terzo della popolazione di Betlemme contro i tre quarti che erano prima della creazione dello Stato d’Israele. ". La nascita di Israele non ha nulla a che vedere con l'emorragia di cristiani da Cisgiordania e Gaza. Nello Stato ebraico i cristiani non vengono perseguitati e continuano a vivere in tutta tranquillità, il loro numero aumenta. Ma Zecchini lo omette, perchè?
E perchè LA STAMPA, potendo pubblicare articoli di Aldo Baquis, sempre accurati ed equilibrati, preferisce Zecchini ? Al mito di LE MONDE, ci credono solo più al MANIFESTO !!
Ecco il suo articolo:

All’ora della preghiera, i musulmani si inginocchiano sulla Piazza della Mangiatoia, di fronte alla Basilica. I turisti che escono dalla grotta della Natività si fermano, stupiti, prima di disperdersi verso i chioschi dei souvenir religiosi. A Betlemme si sono moltiplicate le moschee e i richiami dei muezzin coprono i canti e le preghiere dei cristiani. Michel Sansour, direttore del Collegio dei Fratelli delle scuole cristiane, sottolinea che «le differenze culturali tra musulmani e cristiani, soprattutto negli abiti delle donne, sono sempre più evidenti» e che la «pressione» esercitata dalla prima comunità sulla seconda è «diffusa e crescente». Come a Gerusalemme Est, più dell’80 per cento delle palestinesi di Betlemme oggi portano il velo. Venticinque anni fa erano appena una su quattro.

Dai finestrini del minibus che collega Gerusalemme con Betlemme, si vedono piccoli manifesti che mostrano una donna coperta di un lungo velo e di una tunica ampia che lascia scoperto solo il viso e la scritta: «Che la vostra jihab sia corretta. Un abito largo non mostra il corpo, non lo modella». Sbarrati con una croce invece i tre profili di ragazze con velo e pantaloni aderenti, la tenuta abituale delle studentesse dell’Università di Betlemme. Il manifesto è firmato dal Charity Commettee di Gerusalemme, un organismo considerato vicino ad Hamas. Ma Betlemme ha anche altri volti: sulla Piazza della Mangiatoia, il ristorante «The Square», aperto fino all’una di notte, propone ai turisti menu internazionali, vini e liquori. E non è l’unico.

È finito il tempo in cui i giovani di Betlemme non avevano un posto dove andare la sera: ormai possono stordirsi di musica al Divano Café o al Taboo. Molti cristiani si inquietano per l’islamizzazione rampante della città dov’è nato il Cristo, e il sindaco (cristiano) Victor Batarseh, così come il parroco, Padre Marwan Di’Des, chiariscono meglio il fenomeno: certamente il numero dei cristiani diminuisce da anni a causa dell’emigrazione e di una bassa natalità, ma è la proporzione rispetto alla comunità musulmane a essere in caduta libera. Oggi i cristiani sono appena l’1,9 per cento della Palestina storica, contro il 20 per cento che erano prima del 1948. E sono meno di un terzo della popolazione di Betlemme contro i tre quarti che erano prima della creazione dello Stato d’Israele. Nel «triangolo cristiano» formato da Betlemme e dai villaggi limitrofi di Beit Sahour e Bei Jala vive il 40 per cento dei circa 60 mila cristiani che abitano nei Territori palestinesi.

«Noi non siamo una minoranza, noi siamo gli abitanti storici di Betlemme. Il sindaco deve essere un cristiano, com’è sempre stato sin dalla prima municipalità, nel 1884. I musulmani accettano questa situazione: sanno che questa è la città di Gesù-Cristo, la Mecca dei cristiani».

Se il recente sinodo dei vescovi si è preoccupato per la situazione dei cristiani in Terrasanta, spiega padre Marwan, «è perché il nostro santuario e i siti religiosi di Betlemme non devono diventare un museo. Il proselitismo è connaturato ai cristiani come ai musulmani. È dunque normale che a volte ci sia della tensione. Ma nell’insieme cristiani e musulmani non hanno problemi a convivere».

Anche Michel Sansour smentisce qualunque «persecuzione: «Qui non siamo in Iraq né in Libano. A inquietarci è piuttosto il fenomeno dell’emigrazione». A Betlemme, dice Marie-Armelle Beaulieu, che dirige la rivista Terrasanta, «l’unico sbocco è il turismo. E i cristiani, che in genere fanno studi migliori, vanno all’estero, si sposano e non tornano più. In ogni caso, il mercato dei diplomati a Betlemme è saturo». Paradossalmente,sono spesso i Paesi e le associazioni che vogliono proteggere la minoranza cristiana ad accelerare questo movimento migratorio, offrendo borse di studio per gli Stati Uniti, l’America latina, il Canada o l’Europa. «Io dico ai diplomatici: se volete aiutare gli studenti, aiutateli qui, non in America! Date delle borse di studio per rafforzare la comunità cristiana, non per indebolirla - conclude Padre Marwan -. L’emigrazione politica non è nulla rispetto a quella economica». La Custodia Francescana di Terra Santa si è già allineata: le borse di studio vengono date solo agli studenti che accettano di andare in Egitto o in Giordania e poi tornare a casa.

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