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Le relazioni di Israele con Turchia, Gaza, Anp, Iraq
L'analisi di Mordechai Kedar (traduzione dall'ebraico di Giovanni Quer)
L'Impertinenza turca (in ebraico Chuzpà)
Qualche giorno fa il ministro delle infrastrutture Uzi Landau ha firmato quale rappresentante di Israele un accordo con il governo di Cipro greca sulle frontiere marittime economiche tra i due stati, in modo da poter sfruttare le materie dei fondali marittimi, gas in particolare, nelle rispettive competenze territoriali.
Improvvisamente siamo stati investiti dalla rabbia del governo turco, che si oppone all'accordo perché in esso non si menziona la parte nord di Cipro, occupata dai turchi fin dal 1974. In altre parole, la Turchia, lo stato che ha occupato la parte nord di Cipro e che vi ha successivamente istituito uno stato fantoccio, si aspetta che gli stati del mondo riconoscano ufficialmente quest'occupazione come legale, tanto da avere la capacità di opporsi alle relazioni ufficiali tra stati sovrani e agli accordi che tra loro concludono. Israele, come è solita fare nelle relazioni diplomatiche, cerca di normalizzare le relazioni con la Turchia e di raggiungere un'intesa, piuttosto che ricordare ai turchi che l'era dell'Impero ottomano è finita da un pezzo, e che il loro controllo di Cipro nord non ha portato nessuno stato a riconoscere la sovranità del governo dei turchi in quella parte dell'isola.
Lo status ufficiale è di occupazione, e tale status non conferisce alcuna autorità di dire alcunché sulle azioni di Cipro legittima. Inoltre, è bene ricordare a sua maestà il primo ministro turco, il signor Egip Tayep Erdogan, che se gli è permesso imporre i suoi interessi su Cipro greca, Israele ha un non meno valido diritto di controllare cosa arriva per via mare alle coste dello stato terrorista che è stato creato a Gaza, e una flottiglia, per quanto umanitaria, non giustifica la forzatura del blocco marittimo imposto da Israele. Così, paradossalmente, proprio la rabbia della Turchia riguardo all'accordo tra Israele e Cipro giustifica ciò che Israele ha fatto ai "pacifisti" della nave Marmara a fine maggio di quest'anno. Gaza
Senza che i media israeliani e mondiali diffondano la notizia, Israele è tornata alla difficile condizione dei giorni che precedettero l'operazione "Piombo Fuso", quando era obiettivo del lancio incessante di missili lanciati dal territorio della Striscia di Gaza.
La scelta di Tzahal, l'esercito israeliano, di inviare mezzi dotati di forte protezione è basata sul fatto che sono stati trovati in mano palestinese missili anticarro di terza generazione, che possono causare seri danni, anche alla sicurezza dei soldati, e di conseguenza compromettere l'intera operazione. Anche l'aviazione ha modificato significativamente le modalità di azione a causa dei missili anti-aereo. L'indifferenza dei media mondiali verso il peggioramento della situazione sembra voluta, in modo da creare una situazione di non-informazione tale da impedire ad Israele ogni reazione.
La cancellazione del canale israeliano dalle trasmissioni televisive mondiali che trasmette notizie sulla situazione di Gaza è l'esempio più eclatante in questi giorni, perché in futuro il mondo non saprà né capirà perché Israele attacca "in maniera sproporzionata" i "quieti cittadini" che stanno a Gaza. Il riconoscimento internazionale della Palestina
Due settimane fa ha avuto inizio un processo inquietante che porterà al riconoscimento da parte della comunità internazionale dello stato palestinese sui territori di Giudea, Samaria e Gaza, con i confini che corrono sulla linea verde, e con Gerusalemme Est come capitale.
Tutto è iniziato in Sud America, ma l'Europa non è stata da meno e ad oggi quasi venti Paesi hanno riconosciuto la Palestina. Da noi c'è chi vuole calmare le acque sostenendo che non è la prima volta che i Palestinesi dichiarano l'indipendenza, come già aveva fatto Arafat alla riunione del Consiglio Nazionale Palestinese che si era riunito nel novembre 1988, senza alcuna reazione mondiale. Quest'interpretazione è essenzialmente sbagliata, poiché oggi molti stati, in particolare stati europei, attendono con trepidazione la creazione dello stato palestinese e la sua indipendenza. A differenza del 1988, oggi i palestinesi hanno una struttura istituzionale, un sistema economico, organizzazioni civili, mezzi di comunicazione, e delegazioni in tutto il mondo e in particolare all'ONU, quasi come uno Stato indipendente. Da qualche anno l'idea di uno stato palestinese si è consolidata.
Dall'altro lato c'è Israele, che sta progressivamente perdendo l'influenza sulle élites di molti stati. I palestinesi, in collaborazione con settori antisemiti locali, agiscono contro Israele attraverso continue azioni di delegittimazione, in particolar modo negli stati amici di Israele: in questi giorni vi è una manifestazione di protesta a Seattle, nel nord ovest degli StatI Uniti, contro la pubblicità antiisraeliana sugli autobus locali, sui quali un'associazione antiisraeliana ha appeso manifesti con la scrtitta "non finanziamo i criminali di guerra israeliani con i soldi americani".
Si può affermare che in molti stati Israele perde importanza, nella misura in cui lo stato palestinese assume maggiore importanza nella politica mediorientale di questi stati. Questo si spiega con il fatto che Israele non ha trovato negli anni una soluzione al problema palestinese, lasciando spazio al solo programma palestinese "moderato", che non è quello di Hamas, che predica la cancellazione di Israele dalle carte geografiche.
In secondo luogo, occorre tenere presente l'atteggiamento critico antisemita verso lo stato ebraico, che dipinge Israele come uno stato che vìola i diritti umani, che ha ingaggiato azioni militari non proporzionate durante la seconda guerra in Libano e durante l'operazione Piombo Fuso, una visione alimentata dalla dipendenza dal petrolio arabo, che ha anche indebolito i rapporti con l'America negli ultimi due anni.
Tuttavia sarebbe stato possibile affrontare questi problemi in due modi: da una parte con l'elaborazione di un piano politico compatibile con gli interessi Israeliani, un piano che include varie realtà palestinesi (Ebron araba, Gerico, Ramalla, Nablus, Genin, Kalkilya, Tulkarem oltre a Gaza ), che assicuri sicurezza a Israele, impedendo che Hamas prenda il potere come è successo a Gaza; dall'altra, la creazione di un canale satellitare che possa informare nel mondo intero che Israele esiste come ogni altro stato, disponibile insieme ai vari canali televisivi.
Purtroppo l'Israele ufficiale è troppo occupata in lotte interne tra i partiti, ma se i nostri politici non incominceranno ad occuparsi seriamente dei problemi che nascono dalla campagna diffamatoria diretta contro di noi, la comunità internazionale ci volterà le spalle, e noi diventeremo uno "stato lebbroso" da evitare.
Iraq
Finalmente dopo nove tentativi difficili e complicati è nato il nuovo governo iracheno. Dalle elezioni politiche nel marzo di quest'anno fino ad ora i vari gruppi politici hanno tentato di costituire un governo che rappresentasse le varie affiliazioni culturali (tribù), nazionali (arabi, curdi, turcomanni) e religiose (musulmani sunniti e sciiti, cristiani e altri). Il nuovo governo conta 42 ministri, addirittura di più del governo israeliano, 29 ministri ancora sono vacanti, ma il governo è intenzionato a dare all'Iraq sicurezza interna, indipendenza e rinconciliazione tra i vari raggruppamenti della popolazione che da sette anni conducono politiche palesemente lontane dalla maturità democratica. Le sfide che attendono il nuovo governo iracheno sono: la stabilizzazione interna attraverso istituzioni che possano garantire la sicurezza in maniera neutrale, ossia che non rispecchino nessuna fazione; la gestione delle relazioni diplomatiche con gli stati vicini, in particolare con l'Iran, la Siria, in modo da poter affermare l'indipendneza ed evitare l'ingerenza di questi Stati negli affari interni; la gestione trasparente del commercio del petrolio che segua gli interessi diffusi e non quelli particolari di chi ha il potere; infine, la lotta contro la corruzione.
Non sono sfide semplici, ma Nuri Al-Maliki, il primo ministro, si sta preparando. Gli auguriamo di avere successo, e gli ricordiamo da qui che in effetti tra Iraq e Israele non c'è conflitto né attrito, e, a onor del vero, nemmeno si frappongono ostacoli a che Israele e Iraq normalizzino le relazioni diplomatiche.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi. |
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