Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 21/12/2010, a pag. 21, l'articolo di Alberto Simoni dal titolo " Carcere e censura per il regista Panahi ".
Nella foto a destra, un'immagine dell'aeroporto di Teheran visto dall'alto, ripresa in un servizio di FOX News. Sul tetto è ben visibile una Stella di David. Gli iraniani se ne sono accorti solo ora, dopo 38 anni. Che faranno ? L'aeroporto fu costruito quando regnava ancora lo Scià.
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Sotto, il regista Jafar Panahi, di nuovo incarcerato dal regime iraniano, un regime che come tutti quelli del suo tipo, non ha alcun interesse a migliorare la vita dei propri cittadini, come dimostrano le incarcerazioni, le torture, le esecuzioni, l'aumento di quattro volte del prezzo della benzina. L'Iran, pur essendo uno dei massimi produttori di petrolio, non è in grado di raffinarlo per produrre carburante. Preferisce importarlo e far lievitare i prezzi a scapito della popolazione.
Ecco il pezzo sulla prigionia di Jafar Panahi:
Jafar Panahi
«Ha agito contro il sistema, ha fatto propaganda e ha partecipato a manifestazioni contro il governo». Tanto è bastato a un tribunale iraniano per condannare a sei anni di prigione il regista Jafar Panahi. Mano pesante quindi della Corte che alla detenzione aggiunge una sfilza di divieti e limitazioni: Panahi non potrà scrivere sceneggiature, girare film e lasciare la Repubblica islamica per i prossimi 20 anni.
Tocca al suo avvocato, Farideh Gheyrat, comunicare la sentenza, definirla «pesante» e ricordare che avrà a disposizione 20 giorni per presentare appello. Con Panahi è stato condannato alla stessa pena, e per gli stessi reati, Mohammad Rasoulof, un altro regista anch’egli arrestato in marzo.
Il cineasta, Leone d’Oro a Venezia nel 2000 con «Il Cerchio», era da tempo nel mirino del regime iraniano. Era stato uno dei grandi sostenitori di Mir Hossein Moussavi, il candidato dell’opposizione ad Ahmadinejad attorno al quale aveva trovato forza e respiro la rivolta popolare, l’Onda verde, dopo le elezioni del giugno del 2009. In marzo era stato arrestato e tenuto in prigione per 88 giorni durante i quali aveva iniziato uno sciopero della fame. Prima dell’arresto, in febbraio, il regime gli aveva vietato di partecipare alla Berlinale; in seguito gli era stato ritirato il passaporto per cui fu costretto a saltare anche il festival di Cannes, dove i giurati ne avevano fatto una sorta di «giudice virtuale» e una sedia vuota ne simboleggiava l’assenza fisica ma allo stesso tempo la «presenza».
Arrestato con la moglie già un prima volta nel luglio del 2009 in un cimitero di Teheran dove partecipava a una commemorazione di Neda Agha Soltan, la giovane uccisa durante le proteste seguite alle presidenziali, Panahi è diventano uno dei simboli del dissenso contro il governo di Ahmadinejad. Una posizione che ha difeso strenuamente e che gli è costata il divieto a partecipare alle maggiori kermesse del cinema. Nell’ottobre del 2009 il regime gli negò il visto e non poté partecipare al Festival di Mumbai dove doveva fare parte della giuria. Dopo il rilascio a maggio, Panahi non aveva più potuto lasciare l’Iran. Invitato lo scorso settembre alla Mostra di Venezia dalla Giornate degli Autori che ha proposto in anteprima mondiale il suo corto The Accordion, il regista in collegamento telefonico disse: «Non so perché c’è questo accanimento del governo iraniano contro di me, forse perché sono un regista che fa film per la gente e per la società, e le autorità non amano questo».
Immediata la reazione del mondo dello spettacolo alla notizia della condanna del regista. Da Cannes, gli organizzatori del Festival, si dicono pronti a mettere in piedi un comitato per sostenere un «regista scomodo» per il regime.
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