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Corriere della Sera Rassegna Stampa
21.12.2010 La merenda di Sergio Romano con i cavoli
Un lettore gli chiede un parere su Lady Ashton e lui scrive di questione palestinese

Testata: Corriere della Sera
Data: 21 dicembre 2010
Pagina: 51
Autore: Sergio Romano
Titolo: «La politica estera europea e la questione palestinese»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 21/12/2010, a pag. 51, la risposta di Sergio Romano dal titolo " La politica estera europea e la questione palestinese".


Sergio Romano          Catherine Ashton

Il lettore esprime perplessità circa l'operato di Catherine Ashton e chiede un parere a Sergio Romano, il quale, invece di rispondere, scrive della questione palestinese. Come se la politica estera di Catherine Ashton fosse fallimentare solo su questo punto e come se la questione mediorientale fosse l'unico impegno nell'agenda politica estera europea.
A lasciare perplessi, però, non è tanto l'associazione insensata, quanto la frase : "
l’Europa è ormai, in alcune grandi crisi internazionali, ancora meno visibile di quanto fosse in passato. Penso in particolare alla questione palestinese. Nel 1980, con la dichiarazione di Venezia, i Paesi allora membri della Comunità europea ebbero il merito di fare uscire l’Olp di Yasser Arafat dal suo pericoloso stato di semi clandestinità e di conferirle una sorta di legittimità internazionale". Quello di aver riconosciuto ad Arafat una qualunque forma di legittimità politica sarebbe un pregio? Magari Romano crede che il fatto che Catherine Ashton non abbia ancora riconosciuto i terroristi della Striscia ufficialmente (ma è solo questione di tempo...) sia un elemento per condannarla?
Ecco lettera e risposta di Sergio Romano:

Quando fu nominata quale nuovo Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Catherine Ashton non era certo tra i candidati più in vista; e infatti, ufficializzata la sua nomina, molte furono le voci critiche contro di lei. Tra i tanti rilievi vi era quello dell’evidente inesperienza. A distanza di un anno, non si può non riconoscere come le perplessità abbiano trovato una sostanziale conferma dall’operato della Ashton, più volte oggetto di pesanti critiche a causa del suo poco impegno e della sua scarsa competenza, difetti che stanno emergendo ancor di più in questa fase, caratterizzata da un rinnovato interesse per le politiche di Difesa comuni. Perché l’Europa decide di farsi male da sola?

Giovanni Martinelli
giova.mart@tin.it 

Caro Martinelli, R icordo ai lettori che la Gran Bretagna, quando fu necessario scegliere il nuovo presidente del Consiglio europeo, propose la candidatura di Tony Blair, e che si considerò, quando la scelta cadde sul belga Herman Van Rompuy, «creditrice» . Catherine Ashton, quindi, fu scelta perché molti ritennero di avere un debito con Londra e perché il suo principale concorrente, Massimo D’Alema, non piaceva ad alcuni Paesi. Se le cose sono in questi termini non mi sembra utile parlare delle maggiori o minori competenze professionali di lady Ashton. Mi limito a constatare che è stata voluta dalla Gran Bretagna, vale a dire dal Paese che si è sempre opposto a qualsiasi cedimento di sovranità in materia di politica estera. L’Alto Rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza farà un lavoro diligente e si dedicherà con impegno, probabilmente, alla organizzazione del servizio diplomatico europeo. Ma si limiterà ad esprimere nei suoi colloqui internazionali il minimo comune denominatore delle politiche estere dei Paesi membri e non farà nulla per sollecitarli ad accordarsi su posizioni più avanzate. Chi sperò che si sarebbe valsa delle sue nuove funzioni per delineare le grandi linee di una politica estera europea, ha peccato di ottimismo. Il risultato di questa situazione è che l’Europa è ormai, in alcune grandi crisi internazionali, ancora meno visibile di quanto fosse in passato. Penso in particolare alla questione palestinese. Nel 1980, con la dichiarazione di Venezia, i Paesi allora membri della Comunità europea ebbero il merito di fare uscire l’Olp di Yasser Arafat dal suo pericoloso stato di semi clandestinità e di conferirle una sorta di legittimità internazionale. Fummo i primi, in altre parole, a dire con chiarezza che la soluzione della crisi passava dalla creazione di uno Stato palestinese: una prospettiva accettata ora anche dal governo israeliano. Oggi invece siamo diventati gli osservatori passivi e impotenti di un partita in cui l’unica politica occidentale, con risultati peraltro irrilevanti, è quella dell’America di Obama. Lo hanno detto implicitamente negli scorsi giorni, in una lettera al Consiglio europeo, i membri di un gruppo coordinato da lord Patten, ex commissario dell’Ue per i rapporti internazionali, e Hubert Védrine, ex ministro degli Esteri francese. Il gruppo conta fra i suoi membri, tra gli altri, due ex primi ministri italiani (Giuliano Amato e Romano Prodi), un ex cancelliere tedesco (Helmut Schmidt), un ex presidente della Repubblica federale (Richard von Weizsäcker), un ex primo ministro spagnolo (Felipe Gonzales), un ex primo ministro olandese (Andreas van Agt), un ex primo ministro francese (Lionel Jospin) e Javier Solana, predecessore di Catherine Ashton. Nella lettera al Consiglio europeo è detto tra l’altro che «il rafforzamento e il miglioramento dell’accordo di associazione euro-israeliano e altri accordi bilaterali non possono avere luogo senza il congelamento degli insediamenti israeliani nei territori occupati» . La palla è nel campo di lady Ashton.

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