Riportiamo da SHALOM di dicembre, a pag. 17, l'articolo di Angelo Pezzana dal titolo "I palestinesi, un loro Stato indipendente, libero e democratico, lo vogliono veramente ?".
Che Obama miri al raggiungimento di un accordo pur che sia tra Netanyahu e Abu Mazen, è più che comprensibile, dopo la vittoria repubblicana di Mid Term. Ma che dietro a questa intenzione ci sia un progetto concreto, realistico, che tenga conto del caos politico nel quale si trova la società palestinese, questo è un altro discorso. Come dubitiamo che dietro al girovagare dei tanti esperti che da Washington arrivano all’aeroporto Ben Gurion, con realtive soste a Gerusalemme e a Ramallah, ci sia ben poco di costruttivo oltre alle buone intenzioni, buone sì ma estremamente vaghe. Lo stesso mantra “due popoli per due stati”, ancora spendibile per decorare le analisi che “creano ponti”, “abbattono muri “, “aprono al dialogo”, perderebbe gran parte della sua efficacia se solo ci si sforzasse di verificarne le reali possibilità di realizzazione. Ci fu una sola occasione, nella quale avrebbe potuto concretizzarsi, dopo il voto all’Onu nel 1947 che divideva la Palestina mandataria in due, una terra agli ebrei, un’altra agli arabi. Se non si parte dal rifiuto di questi ultimi, è impossibile capire perchè, dopo più di sessant’anni, se ne stia ancora discutendo. Tutte le guerre mirate a distruggere Israele sono state causate da quel rifiuto, e dopo le guerre l’esplosione del terrorismo, e dopo il terrorismo la presa del potere a Gaza di Hamas, che ha di fatto mandato in frantumi l’idea stessa di stato palestinese. Poca cosa, visto che non è mai esistito, il ritiro del progetto poteva facilitare un’altra soluzione, per esempio una confederazione con la Giordania, o qualche stato arabo o musulmano vicino, c’era solo l’imbarazzo della scelta. Invece quel rifiuto, e quel che ne è seguìto, ha causato un danno soprattutto a Israele, che si è trovato a doversi difendere dalle mire di chi voleva impossessarsene, per trasformarlo in uno stato arabo.
Durante il possesso giordano di Giudea e Samaria, e dell’Egitto di Gaza, l’idea di uno stato palestinese non era mai venuta alla luce, era la distruzione di Israele l’unico obiettivo. E’ solo dopo la guerra dei sei giorni che l’idea prende piede, soprattutto dopo che erano state soppesate con attenzione le ostilità che il mondo occidentale aveva sempre avuto nei confronti di Israele. Per capirne la micidiale portata è sufficiente valutare la creazione dell’UNWRA, e la sua funzione dal ’48 ad oggi. E’ quello che hanno fatto gli arabi, collezionando da allora appoggi che rappresentano un caso unico nella storia dei rapporti internazionali. Israele si è trovata così a dover affrontare due avversari alla propria esistenza, il mondo arabo-palestinese da un lato, e quello occidentale, che aveva già dato prova dei propri sentimenti verso gli ebrei durante la Shoà, dall’altro.
Un percorso che è partito prima da un rifiuto ( non esiste un popolo palestinese, aveva dichiarato Golda Meir), per arrivare, dopo che la narrativa del ‘popolo senza stato’ aveva ormai preso piede, avendo inondato di propaganda contro Israele per almeno tre decenni il mondo intero (un mondo ben disposto ad accoglierla, non va dimenticato), alla accettazione da parte di Israele, pur di arrivare alla solizione del conflitto, della proposizione “due stati per due popoli”. Peccato che dall’altra parte qualcuno (Arafat) barasse, facendo dichiarazioni incoraggianti quando parlava in inglese, per poi affermare il contrario quando si rivolgeva ai suoi in arabo. Arafat rifiutò sempre tutte le soluzioni che gli avrebbero permesso di arrivare ad uno stato. Diceva di volerlo, disperatamente, ma subdolamente lo rifiutava. Abu Mazen, degno erede, fa altrettanto, il suo gioco delle tre carte è un po’ più raffinato di quello brutale di Arafat (i tempi sono cambiati anche per la società palestinese, evidentemente cosciente di essere stata usata da una leadership priva di scrupoli), ma lo scopo è uguale. La dimostrazione più evidente è stata la richiesta di congelamento delle costruzioni nei territori, che doveva valere dieci mesi, dal dicembre 2009 al 26 settembre 2010, un periodo negoziato con gli americani per iniziare le trattative. In quel periodo Abu Mazen, invece di di dichiararsi pronto a discutere con Bibi intorno a un tavolo tutti gli aspetti che avrebbero potuto portare ad un accordo di pace, l’ha tirata per le lunghe, di fatto rinviando mese dopo mese, giorno dopo giorno l’inizio dei colloqui. Se ne è ricordato, guarda caso, proprio il 26 settembre scorso, ma soltanto per chiederne il rinnovo. Invece di prendersela con Abu Mazen, Usa-Onu- Ue, sono scattati all’unisono, premendo sul governo israeliano perchè accettasse un altro congelamento. Non sarebbe stata più logica una richiesta di chiarimenti ad Abu Mazen ? Ma sto’ stato palestinese lo vuoi oppure no ? E se lo vuoi perchè fai di tutto per non averlo ? Non sarà che il vecchio progetto di far fuori Israele è ancora sul tavolo, in fondo adesso c’è anche Hamas a Gaza che può dare una mano, non è vero ? Ma queste domande non le leggiamo mai sui giornaloni, nelle dichiarazioni dei politici, nelle risoluzioni degli organismi internazioinali, no, lì troviamo sempre e solo i buoni sentimenti, la pace spalmata dappertutto, con l’aggiunta delle condanne di Israele ogni volta che cerca di impedire ad Hamas, Hezbollah, Iran, Siria, e adesso anche la Turchia, di mettere in pericolo la sua sicurezza. Le poniamo noi qui, nella speanza che qualcuno, ai piani alti, le faccia sue.