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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
17.12.2010 Il sacro e gli sberleffi: così si sconfigge il male
Claudio Magris recensisce ' L'Anticristo ' di Joseph Roth

Testata: Corriere della Sera
Data: 17 dicembre 2010
Pagina: 51
Autore: Claudio Magris
Titolo: «Il sacro e gli sberleffi: così si sconfigge il male»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/12/2010, a pag. 51, l'articolo di Claudio Magris dal titolo " Il sacro e gli sberleffi: così si sconfigge il male ".


Joseph Roth, L'Anticristo,              Claudio Magris

«I o l’ho riconosciuto, io lo smaschero… io perisco» . Questa apocalittica e sprezzante denuncia attacca frontalmente l’Anticristo, l’avvento del Male quale signore del mondo che assume, come è detto nelle Scritture, le sembianze del Cristo, del bene, della virtù, del progresso. A strappargli la maschera è uno dei grandi scrittori del Novecento, l’austriaco Joseph Roth, che in quegli anni sta combattendo la sua donchisciottesca battaglia contro il nazismo e abbandonandosi a una regale e cenciosa autodistruzione con l’alcol, il pernod che gli toglie anni ma gli regala mesi. L’Anticristo, uscito nel 1934 (ora ripubblicato da Editori Riuniti), è un guanto gettato in faccia al mondo intero e soprattutto alla modernità, un Giudizio universale che coinvolge e travolge l’autore stesso. Un libro platealmente fallito nel suo pathos che condanna in blocco soprattutto nazismo e fascismo, ma anche il comunismo, il socialismo, il capitalismo, la democrazia, la scienza e la tecnica, l’ebraismo che tradisce se stesso, la letteratura sperimentale e d’avanguardia, il cinema, Ade moderno che riduce gli uomini a ombre. Ma ci sono naufragi letterari che irradiano una violenta forza rivelatrice, ben più di tante equilibrate navigazioni politicamente corrette e fiduciose nel progresso. Insensati se presi alla lettera, questi furiosi naufragi fanno capire, con la loro ottica stravolta, alcune verità del tempo che le persone e gli scrittori ragionevoli non vogliono vedere, perché sconvolgerebbero la loro fede nella possibilità di capire il mondo e dargli un senso. Quando pubblica L’Anticristo, Roth, esule dalla Mitteleuropa in mano nazista, vive a Parigi; ha già scritto alcuni capolavori (Fuga senza fine, La marcia di Radetzky) e ne scriverà, nei pochi devastati anni che gli restano, altri (La milleduesima notte, La leggenda del santo bevitore) di una conturbante profondità incredibilmente lieve. Ma si dedica soprattutto a qualcosa di ben più importante, anche ai suoi occhi, della letteratura ossia al «buon combattimento » contro il trionfante Leviatano nazista. Ben prima di Hannah Arendt, egli denuncia la squallida banalità del male. Definisce Hitler «una banale Medusa» e intuisce la gregaria mediocrità del male. Trasgredire il rispetto e l’amore per gli altri non è solo crudele, ma anche stupido e volgare, come le prevaricazioni scurrili dei goliardi presto avviati a diventare bravi borghesi o come gettare immondizie dal finestrino del treno. La buona battaglia di Roth è pervasa dal sentimento sacro e fraterno dell’uguaglianza di dignità e di diritti di tutti gli uomini, contro ogni razzismo, esplicitamente condannato nell’Anticristo, e contro ogni aristocrazia -di sangue, di denaro e anche di cultura. È feroce contro il culto del genio artistico cui si dovrebbero accordare speciali riguardi e privilegi. Difendendo, ad esempio, uno sconosciuto scrittore tedesco antinazista, David Luschnat, respinto dalla Svizzera dove aveva cercato rifugio, scrive che quest’uomo, privo di mezzi e di fama, aveva fatto la stessa cosa che aveva fatto Thomas Mann, avversare il nazismo e abbandonare la Germania, e che sull’eventuale differenza del loro valore letterario non era la polizia svizzera a doversi pronunciare. Nei suoi ultimi anni, sempre più alcolizzato e più trasandato di un clochard, Roth ha difeso i più ignoti e poveri emigrati politici in Francia, perorandone la causa presso la polizia parigina con una carità mista a sprezzante arroganza verso i potenti e le autorità. Bevitore e randagio, Roth ha avuto un senso profondo della sacralità di ogni vita e della fraternità che assume, come è detto nelle Scritture, le sembianze del Cristo, del bene, della virtù, del progresso. A strappargli la maschera è uno dei grandi scrittori del Novecento, l’austriaco Joseph Roth, che in quegli anni sta combattendo la sua donchisciottesca battaglia contro il nazismo e abbandonandosi a una regale e cenciosa autodistruzione con l’alcol, il pernod che gli toglie anni ma gli regala mesi. L’Anticristo, uscito nel 1934 (ora ripubblicato da Editori Riuniti), è un guanto gettato in faccia al mondo intero e soprattutto alla modernità, un Giudizio universale che coinvolge e travolge l’autore stesso. Un libro platealmente fallito nel suo pathos che condanna in blocco soprattutto nazismo e fascismo, ma anche il comunismo, il socialismo, il capitalismo, la democrazia, la scienza e la tecnica, l’ebraismo che tradisce se stesso, la letteratura sperimentale e d’avanguardia, il cinema, Ade moderno che riduce gli uomini a ombre. Ma ci sono naufragi letterari che irradiano una violenta forza rivelatrice, ben più di tante equilibrate navigazioni politicamente corrette e fiduciose nel progresso. Insensati se presi alla lettera, questi furiosi naufragi fanno capire, con la loro ottica stravolta, alcune verità del tempo che le persone e gli scrittori ragionevoli non vogliono vedere, perché sconvolgerebbero la loro fede nella possibilità di capire il mondo e dargli un senso. Quando pubblica L’Anticristo, Roth, esule dalla Mitteleuropa in mano nazista, vive a Parigi; ha già scritto alcuni capolavori (Fuga senza fine, La marcia di Radetzky) e ne scriverà, nei pochi devastati anni che gli restano, altri (La milleduesima notte, La leggenda del santo bevitore) di una conturbante profondità incredibilmente lieve. Ma si dedica soprattutto a qualcosa di ben più importante, anche ai suoi occhi, della letteratura ossia al «buon combattimento » contro il trionfante Leviatano nazista. Ben prima di Hannah Arendt, egli denuncia la squallida banalità del male. Definisce Hitler «una banale Medusa» e intuisce la gregaria mediocrità del male. Trasgredire il rispetto e l’amore per gli altri non è solo crudele, ma anche stupido e volgare, come le prevaricazioni scurrili dei goliardi presto avviati a diventare bravi borghesi o come gettare immondizie dal finestrino del treno. La buona battaglia di Roth è pervasa dal sentimento sacro e fraterno dell’uguaglianza di dignità e di diritti di tutti gli uomini, contro ogni razzismo, esplicitamente condannato nell’Anticristo, e contro ogni aristocrazia -di sangue, di denaro e anche di cultura. È feroce contro il culto del genio artistico cui si dovrebbero accordare speciali riguardi e privilegi. Difendendo, ad esempio, uno sconosciuto scrittore tedesco antinazista, David Luschnat, respinto dalla Svizzera dove aveva cercato rifugio, scrive che quest’uomo, privo di mezzi e di fama, aveva fatto la stessa cosa che aveva fatto Thomas Mann, avversare il nazismo e abbandonare la Germania, e che sull’eventuale differenza del loro valore letterario non era la polizia svizzera a doversi pronunciare. Nei suoi ultimi anni, sempre più alcolizzato e più trasandato di un clochard, Roth ha difeso i più ignoti e poveri emigrati politici in Francia, perorandone la causa presso la polizia parigina con una carità mista a sprezzante arroganza verso i potenti e le autorità. Bevitore e randagio, Roth ha avuto un senso profondo della sacralità di ogni vita e della fraternità umana, quella che non fa distinzione tra i fratelli più rispettabili e quelli più scapestrati. Se la sua condanna in blocco della modernità quale secolarizzazione è ingiusta e retoricamente predicatoria in tanti giudizi che misconoscono i reali progressi dell’uomo avvenuti nell’epoca moderna, la sua denuncia della perdita del sacro ha una sua inesorabile verità, oggi più che mai bruciante. Sacro, per lui, non implica alcuna sublimità metafisica, alcuna ritualità, alcun ineffabile mistero. Il sacro è la semplicità della vita, del vino e del pane che egli— nella sua azzardata, talora mistificatrice ma geniale simbiosi fra ebraismo e cattolicesimo — trova a pari titolo in una piccola amata chiesa e in una piccola e ancor più amata osteria. Sacro è anche l’eros, mai pasticciato in ideologia della trasgressione, ma pervaso di anarchica passione e di rispetto per ogni corpo e ogni gesto umano. Non a caso al funerale di Roth c’erano tre vedove senza che ci fosse stato alcun divorzio, mentre la moglie regolarmente sposata, affetta da malattia mentale e ricoverata in un ospedale psichiatrico, sarebbe stata poco dopo assassinata dall’eutanasia nazista praticata sui disabili in nome di una delle tante versioni della «qualità della vita» , non è sempre ben chiaro di chi. Ingiusto verso tante conquiste del progresso, Roth non ama le rivoluzioni ma sa bene — come scrive nell’Anticristo — che a scatenarle non sono gli oppressi ma gli ignobili oppressori; ha una forte propensione per la cattolicità ovvero universalità, ma non per il Santo Padre che accoglie l’Anticristo venuto ad offrirgli un Concordato né per il borghese— incarnazione per eccellenza, ai suoi occhi, dell’Anticristo — che dissimula la puzza di zolfo col profumo dell’incenso o con altri deodoranti morali. Ingenuo nei suoi vagheggiamenti di impossibili alleanze tradizionaliste contro i fascismi, è geniale nell’individuare nel radicalismo— che rompe ogni vincolo — l’origine dei fascismi e della volontà di potenza; è pateticamente sprovveduto nei giudizi su liberalismo e capitalismo, ma acutissimo nel cogliere— allora!— la perversione di un capitalismo trasformato da sistema economico a visione del mondo; è spietato nell’avvertire, fra i primi, i cancri del comunismo, ma raccoglie il peso delle sofferenze da cui sono nate le domande poste dal comunismo e sferza come pochi le repressioni dei movimenti operai. Se sul cinema scrive delle vere sciocchezze, le staffilate sulla smania di farsi fotografare sorridenti sono l’epifania di un’umanità che ride ebete e soddisfatta sul cratere di un vulcano pronto a ridurla come Pompei. Pur magniloquente e talora fastidiosamente oracolare, L’Anticristo aiuta a capire che il progresso dev’essere perseguito in tutti i campi possibili per il bene degli uomini, ma non può divenire una presuntuosa ideologia. È il disprezzo che riscatta l’enfasi di questo libro sfasato, ma dalla scrittura secca ed essenziale che ricorda il grande narratore e che è resa splendidamente dalla nuova versione di Cristina Guarnieri. Quest’uomo esperto di demolizioni— a cominciare da quelle dei miseri alberghi che erano la dimora della sua esistenza errabonda — era anche un blagueur, un beffardo aedo di osteria che non prendeva del tutto sul serio neanche se stesso e le proprie geremiadi contro l’Anticristo, osserva Flavia Arzeni nell’eccellente introduzione, degna dei suoi originali studi sui rapporti fra letteratura tedesca e culture orientali. La recita beffarda della sua vita caratterizzò anche il suo funerale, con la corona imperialregia giallonera deposta dagli esuli monarchici e i garofani scarlatti deposti dalla «Guardia Rossa» in onore del compagno Joseph Roth. Un funerale furtivo e grottesco che sarebbe piaciuto al bevitore vagabondo che si considerava l’unico autentico fedele dell’Imperatore, e dunque della tradizione, negando così ogni organizzazione politica legittimista e conservatrice. Questa irriverente buffoneria è il risvolto del senso del sacro. L’uomo realmente religioso, scrive Alan Watts, è per eccellenza l’uomo dello sberleffo, dell’ironia, del riso, perché— sapendo che l’Assoluto è Uno, come dice la professione di fede ebraica— ride di tutti i piccoli idoli che goffamente e violentemente pretendono di essere dio. Non c’è nulla di così religioso quanto il riso, come insegnano le storielle ebraiche o quelle cattoliche di Chesterton. «Qualcosa per cominciare, Monsieur?» , chiese una volta in un bistrot parigino un cameriere a quel cliente assiduo e spesso assai poco pulito. «No» , rispose Joseph Roth, «io non comincio, io sono finito» .

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