Chiuse gli occhi davanti ai crimini nazisti, giustificò i terroristi di Monaco '72 Chi fu davvero Jean Paul Sartre. Commento di Giulio Meotti
Testata: Il Foglio Data: 15 dicembre 2010 Pagina: 2 Autore: Giulio Meotti Titolo: «Dalla Parigi occupata a Monaco ’72, chi fu davvero lo chansonnier Sartre»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 15/12/2010, a pag. 2, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo "Dalla Parigi occupata a Monaco ’72, chi fu davvero lo chansonnier Sartre".
Jean Paul Sartre, Giulio Meotti
Non è dei noti scrittori collaborazionisti felici di “separarsi dagli ebrei en bloc”, come Drieu La Rochelle o Robert Brasillach, che si occupa il libro di Alan Riding “And the show went on” (Alfred Knopf). Il corrispondente del New York Times da Parigi racconta gli intellettuali francesi blasonati durante l’occupazione nazista di Parigi, coloro che avrebbero poi segnato la vita repubblicana francese, quelli della monumentalizzazione goduta in vita. I loro nomi sono Gide, Claudel, Romains, Du Gard, Picasso, Malraux, Piaf, Chevalier, Guitry. Ma soprattutto Jean-Paul Sartre. E altro che mito dell’engagement, delle caves e del Cafè Flore. Durante l’occupazione tedesca di Parigi, Sartre fu un cinico profittatore. Intellettuale già famoso per aver scritto “La nausea”, Sartre “si preoccupava esclusivamente della propria carriera letteraria ed era pronto a scendere a compromessi con le autorità per questo scopo”, aveva già scritto l’americano Michael Curtis nel suo libro “Verdict on Vichy”. “Sebbene il suo coinvolgimento nella resistenza fosse stato minimo, dopo la liberazione Sartre apparve all’improvviso come il cronista del calvario della Francia”, scrive adesso Riding. Sartre lavorò per “Comoedia”, il settimanale finanziato dai tedeschi; le sue “Mosche” ebbero il beneplacito della censura nazista; occupò la cattedra di filosofia di un amico ebreo deportato e a una prima brindò con le SS. La sua compagna, Simone de Beauvoir, lavorò alla Radio nazionale filonazista, mentre Cocteau, Mirò, Matisse, Braque e Kandinsky esposero quadri a Vichy. Picasso non mosse un dito per l’amico Max Jacob, morto di polmonite a Drancy. Il “petit camarade” Sartre, che si recò in Germania nella più totale indifferenza per ciò che gli stava accadendo intorno, secondo Alan Riding dopo la guerra riscrisse la propria immagine di grand résistant, quando era stato un cinico attendista. Riding contrappone la connivenza di Sartre alla scelta di Jean Guéhenno di non pubblicare sotto la censura tedesca. Questo libro demolisce quindi la storica lezione di Sartre secondo cui di fronte al male si può soltanto “collaborare o resistere”. Nel maggio 2008 il presidente Sarkozy ha affermato che “la Francia autentica non ha mai collaborato”. Riding ci dice il contrario. Noto era l’occultamento degli orrori del Gulag da parte di Sartre per non avvilire il morale degli “operai di Billancourt”. Molto meno il Sartre apologeta del terrorismo arabo. Così, infatti, il famoso intellettuale dal Deux Magots giustificò l’eccidio degli atleti israeliani durante le Olimpiadi di Monaco nel 1972: “In questa guerra, la sola arma di cui dispongono i palestinesi è il terrorismo. Gli oppressi non ne hanno altre. Il principio del terrorismo è il seguente: bisogna uccidere”.
Per inviare la propria opinione al Foglio, cliccare sull'e-mail sottostante