Sul CORRIERE della SERA di oggi, 13/12/2010, a pag.13, con il titolo " Quando Kissinger voltò le spalle agli ebrei un articolo di Francesco Battistini.
Su Henry Kissinger circolano molte opinioni, quella che forse lo dipinge meglio è la sua indentificazione con un certo tipo di ebreo della diaspora ' un incrocio tra l'ebreo di Stato e l'ebreo di corte'.
Le parole più centrate su di lui le disse proprio Golda Meir, quando nel 1973 (guerra del Kippur) gli aerei americani tardavano ad arrivare. In piena notte telefonò a Kissinger, il quale, per giustificarsi, le disse ' io sono prima di tutto americano, poi segretario di stato e infine ebreo', al che Golda, con una intuizione geniale rispose ' bene, ma ricordati che noi leggiamo da destra a sinistra, quindi sei prima di tutto ebreo'.
Gli aerei arrivano in tempo per salvare Israele.
Ecco l'articolo:


Golda Meir Richard Nixon con Henry Kissinger
GERUSALEMME — Quella Golda Meir. Lei e la sua insistenza. Un giorno del 1973, uno degli ultimi mesi di Nixon, Henry Kissinger andò nella Sala Ovale a farsi riferire d’un incontro con la prima ministra israeliana.
Ucraina ed ebrea, ambasciatrice a Mosca ai tempi di Stalin, la Golda di ferro era preoccupata delle repressioni che gli ebrei continuavano a subire in Unione Sovietica. E aveva chiesto al presidente americano di premere su Mosca, perché ai refuzeniks s’aprisse una via di fuga verso Israele: «L’emigrazione degli ebrei dall’Urss non è un obiettivo della politica estera americana — tagliò il segretario di Stato —. E anche se in Unione Sovietica ficcassero gli ebrei nelle camere a gas, questa non dev’essere una preoccupazione americana. Forse, una preoccupazione umanitaria». Era quel che il presidente voleva sentirsi dire: «Lo so — acconsentì — non possiamo far saltare in aria il mondo per questo».
Gli ebrei? E che ci frega degli ebrei? Che lo dicesse Richard Nixon, e che lo riveli adesso il New York Times pubblicando nuovi nastri dell’epoca, in Israele non stupisce granché. Già nel 2009 erano uscite alcune registrazioni di «Tricky Dick», l’infido Riccardino, e s’erano capite certe opinioni del 37° presidente americano: «Gli ebrei hanno un desiderio di morte — diceva — è questo il loro problema da secoli» (poco più tenero con gli altri: gli italiani? «Un po’ svitati». Gli irlandesi? «Cattivi, quando bevono». Gli afroamericani? «Qualcuno è intelligente»).
A colpire, stavolta, è che quelle cose sugli ebrei le pensasse pure Kissinger. O che le dicesse. Perché a proposito di Henry, ormai vicino ai 90 anni, non bisogna dimenticare che: nacque ebreo bavarese; suo papà fu licenziato dai nazisti; lui e suo fratello furono espulsi dal ginnasio di Weimar; una dozzina di suoi parenti finirono nelle camere a gas; a 15 anni, il giovane Kissinger riuscì a scappare e a evitare il camino; a Manhattan, i soldi in casa Kissinger li portava la mamma che faceva la cuoca ai bar mitzvah...
Henry l’ingrato. Perché va bene la Realpolitik, scrive un blogger israeliano: «Ma in quegli stessi mesi gli diedero pure il Nobel per la pace!». E’ sempre stato «un’anguilla più ghiaccia del ghiaccio», diceva di lui la Fallaci.
E’ «un incrocio fra l’ebreo di corte e l’ebreo di Stato», lo descrive lo storico Jeremi Suri, che proprio nelle radici ebraiche vede la chiave del successo e dell’ostilità che da una vita circondano il gran cancelliere. «Una frase di sicuro infelice — lo difende David Vital, storico della diaspora che conosce Kissinger da mezzo secolo —. Ma non penso fosse cinismo: la disse per farsi capire da Nixon, uomo rozzo e complicato. Henry s’è sempre un po’ sentito l’immigrato tedesco, col bisogno d’usare parole dure per farsi accettare da certi ambienti. In fondo, lui voleva solo dire che non bisognava inimicarsi l’Urss. Ecco, magari poteva dirlo un po’ meglio: ma che ne sapeva che Nixon avesse la manìa di registrare tutte le conversazioni?».
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