Riprendiamo questa intervista all'architetto Mario Botta dalla STAMPA di oggi, 12/12/2010, a pag.28, di Alain Elkann, non perchè IC intende aprire le sua pagine alla voce architettura, ma perchè Mario Botta è l'ideatore di quella che è fra le più belle sinagoghe moderne del mondo. Si trova nel Campus dell'Università di Tel Aviv, accanto al Museo della Diaspora, conosciuto e frequentato dai turisti di tutto il mondo. Ma il tempio costruito da Botta è un po' isolato, bisogna sapere già della sua esistenza per andarlo a cercare. Lo segnaliamo ai lettori di IC, è una indicazione che difficilmente troveranno sui libri.
Ecco l'intervista:
Mario Botta la Sinagoga a Tel Aviv
Architetto Mario Botta cosa pensa del nuovo museo del Novecento appena inaugurato a Palazzo dell’Arengario in piazza Duomo a Milano? «La collezione è straordinaria, ci sono tele del Novecento che fanno invidia anche a Parigi. L’architetto Italo Rota, che ha curato l’installazione, è un architetto post-novecentesco, e vorrei aggiungere che è straordinaria la sala dedicata a Lucio Fontana, perché espone anche il sagrato del Duomo sottostante in un modo che secondo me è unico al mondo perché fa vedere un pezzo di città. Insomma il museo è nella piazza e la piazza è nella città». Lei architetto invece che progetti ha? «Io lavoro in Cina con tre cantieri». Quali? Può raccontarli nei dettagli? «Uno a Pechino dove costruisco la biblioteca di un’università che deve essere pronta alla fine dell’anno, poi costruisco un albergo a Shanghai. Devo dire che Shanghai si è resa conto con un certo ritardo di avere un patrimonio storico di una qualche importanza. Penso, per esempio, a quello che è l’interesse delle vecchie ville liberty del quartiere francese. Io costruisco il mio albergo a cinque piani con dei materiali molto particolari, per esempio uso molto il cotto».
E poi? «Vicino sempre a Shanghai, in una cittadina che ha una piazza con un lago dove fanno degli spettacoli straordinari di massa, lì devo fare una residenza speciale per un albergo. Sono quegli spettacoli molto simili per esempio a quella che può essere stata l’inaugurazione delle Olimpiadi».
Ha anche altri progetti? «L'architetto certamente viaggia, non sceglie: è una prerogativa del nostro lavoro. Si viene scelti e quello che è molto chiaro alla fine è che uno fa tutto sommato poi quello che si merita».
E lei? «Io non ho mai fatto per esempio una casa di appartamenti invece ho avuto il destino di costruire chiese, sinagoghe, biblioteche, musei. A me piace lavorare moltissimo sul tema del sacro, perché lì è più largo il territorio della memoria che è l'ultimo antidoto alla follia della globalizzazione». Ad esempio a Torino ha costruito la chiesa del Santo Volto. Vi sono altri luoghi di culto a cui sta lavorando in questo periodo? «Sì, sto lavorando a Sambuceto, vicino a Chieti, ho ricevuto l’incarico dal vescovo Bruno Forte che è un grande teologo e un intellettuale». Come si fa oggi a progettare una chiesa, a maggior ragione in Italia dove ci sono forse le chiese più straordinarie del mondo? «Cosa si fa dopo Picasso?».
Cosa c’entra? «Sì, perché prima di Picasso c’era una continuità storica, ho parlato di Picasso per dire le avanguardie che hanno stravolto tutto, quindi l’architetto oggi è chiamato a ricucire un percorso che ha duemila anni». Ma lei cosa cerca quando costruisce una chiesa, la spiritualità? «Cerco uno spazio che sia ancora in grado di dare un’emozione, come è stato sempre nella storia dell’arte. Il contemporaneo invece è piuttosto disinvolto, la spiritualità non è una prerogativa clericale né tanto meno prerogativa degli architetti. L’architetto lavora però con l’infinito e quindi per l’infinito, per il silenzio, per l’idea e cerca l’idea di un interno. Il tema dell’architettura ecclesiale mette in evidenza ciò che è proprio del fatto architettonico».
Ha anche nuovi progetti di musei? «Sì, ho appena finito un museo a Charlotte in Nord Carolina per un collezionista europeo amico di Picasso e di Giacometti. Non è un museo dove vi sono capolavori, vi sono certamente opere importanti ma anche molte lettere, documenti che rappresentano anche un dialogo e anche il pentimento dell’artista rispetto al collezionista. E’ interessante lavorare per musei di quella dimensione, poi come ho detto sto lavorando a un museo a Pechino». Ha altri progetti nel campo musicale? «Sì, ho in progetto un auditorium solo per la musica a Rimini, molto interessante. Devo dire che talvolta ho così tanti progetti in corso e davanti a me che finisco per confondermi».
Lei dove lavora? «Io sono svizzero, ho il mio studio a Lugano e lavoro con degli architetti locali per la realizzazione dei singoli progetti. Vorrei anche aggiungere che sto facendo un lavoro molto interessante, un grande lavoro a Treviso, cioè sto riconvertendo un’ex area industriale affinché diventi una cittadella delle istituzioni, questa è un’idea che già era stata sviluppata durante il fascismo». Insomma, architetto, si può dire che lei non abbia un minuto di tempo da perdere? «Ecco direi proprio che è così».
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