Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 09/12/2010, a pag. 13, l'articolo di Andrea Malaguti dal titolo "Così Londra cedette al ricatto di Gheddafi".
al Megrahi e una foto dell'attentato di Lockerbie
Si sono fatti spaventare. Come bambini a scuola davanti a un bullo. Muammar Gheddafi li minacciava, alzava la voce, giurava che se Abdel Basset al Megrahi, unico condannato per la strage di Lockerbie del 1988, fosse morto in un carcere scozzese, le relazioni diplomatiche con la Gran Bretagna sarebbero state compromesse per sempre. Sarebbero saltati gli accordi commerciali, a cominciare da quelli legati al gas e al petrolio. E lasciava intuire che per la comunità inglese in Libia la vita sarebbe diventata impossibile. Ci sarebbero state rappresaglie «dure e immediate». Ma se da un lato il Colonnello prometteva l’apocalisse, dall’altro offriva «una possibilità infinita di trattati» al governo di Edimburgo. Volete la guerra o il denaro? «È così che si muove il leader libico, come un teppista».
Il 20 agosto 2009 Abdel Basset al Megrahi viene liberato. Per la giustizia è responsabile dell’esplosione in volo di un aereo della PanAm e della morte dei 270 passeggeri. Per i medici è un malato terminale, con un tumore alla prostata che gli lascia pochi mesi di vita e farlo crepare in carcere sarebbe un’inutile crudeltà. Una bugia. Ad accoglierlo all’aeroporto di Tripoli, il figlio prediletto del rais, Saif El Islam, descritto dai diplomatici americani come «umanista, filantropo e riformista». Non come i fratelli Mutasim e Hanibal, che «irritano il popolo con i loro comportamenti empi».
È l’ennesimo pezzo di mondo visto con gli occhi delle ambasciate e raccontato dai nuovi documenti pubblicati da Wikileaks. Uno spaccato amaro che mette fortemente in imbarazzo l’ex governo laburista di Gordon Brown e assolve in parte l’esecutivo scozzese che decise per il rilascio sulla base di presunti «motivi umanitari». «Hanno fatto tutto da soli», è sempre stata la versione di Downing Street. In realtà gli inglesi sapevano.
I file restituiscono il quadro di un Paese impaurito, incapace di affrontare quello che i dispacci diplomatici descrivono come «l’istinto aggressivo» del Colonnello. «Un uomo vanitoso, che si è sottoposto a iniezioni di botulino e a un trapianto di capelli andato male». Un signore pieno di fobie, che detesta volare sopra gli specchi d’acqua e pretende la costante presenza della sua «voluttuosa» infermiera. Questo è Gheddafi per gli Stati Uniti.
Nell’ottobre 2008 Richard LeBaron, incaricato d’affari americano a Londra, spedisce un messaggio a Washington in cui sostiene che i libici «hanno avvertito il governo di Sua Maestà. Se Megrahi morirà in cella, le ripercussioni saranno enormi». E nel gennaio 2009 Gene Cretz, responsabile della sede di Tripoli, sostiene che gli inglesi sono in una «situazione drammatica». Contemporaneamente l’allora ministro della Giustizia britannico Jack Straw comunica agli Stati Uniti che Al Megrahi ha aspettative di vita di almeno cinque anni, al di là di quello che dicono i referti. Ci sono due verità, dunque, una pubblica e una privata. I documenti sono chiari, ma anche ieri Straw, intervistato dalla Bbc, ha sostenuto che il rilascio fu deciso dal governo scozzese solo per «ragioni umanitarie». Forse.
Kathleen Flyn, il cui figlio John Patrick, 21 anni, morì nell’esplosione, dice che questo incubo è destinato a non finire mai e che dai documenti esce «una completa follia». Racconta al Daily Telegraph che non è possibile accettare di sopravvivere ai propri figli e aggiunge che queste nuove rivelazioni le fanno venire il vomito. «Quanto valeva la vita dei nostri cari, se loro sono sotto terra e chi li ha ammazzati è libero di vivere nel lusso? Questo mondo fa schifo. Non metterò mai più piede in Scozia».
È una ribellione piccola, che dà il senso di una solitudine divorante, destinata a consumarla fino all’ultimo giorno senza che non importi niente a nessuno.
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