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Il Foglio Rassegna Stampa
08.12.2010 L'Arabia Saudita finanzia il terrorismo islamico
Obama continuerà a inchinarsi davanti al re saudita ?

Testata: Il Foglio
Data: 08 dicembre 2010
Pagina: 3
Autore: La redazione del Foglio
Titolo: «I sauditi? Un bancomat dell’energia e del terrore. I leak su Riad»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 08/12/2010, a pag. 3, l'articolo dal titolo " I sauditi? Un bancomat dell’energia e del terrore. I leak su Riad ".


Barack Obama con il re Abdullah

Roma. Si ricorderanno senz’altro le ambulanze della International Red Crescent (la sezione islamica della Croce rossa), colpite da Israele durante la guerra contro Hezbollah nel 2006. Immagini che generarono indignazione internazionale (accuse poi rivelatesi false). Ora dispacci di Wikileaks rivelano che la Croce rossa islamica ha trasportato, sotto mentite spoglie ospedaliere, armi e missili per Hezbollah durante l’ultima guerra contro Gerusalemme. Ma è un altro documento di Wikileaks a conquistare il titolo più eclatante sul New York Times: l’Arabia Saudita, oltre alla famosa politica della mano tesa e dei comuni interessi (petrolio in cambio di stabilità), persegue ancora il finanziamento del terrorismo, da al Qaida ai talebani, compresa la galassia palestinese. Lunedì il Financial Times ha scritto che i principali fondi destinati ai talebani provengono dalle banche e dalle moschee degli stati arabi del Golfo. Finanziamenti dissimulati dietro la maschera caritatevole. E’ il giano bifronte saudita, lauto bancomat del jihad e principale alleato statunitense nel Golfo da quando nel 1945, sotto la presidenza Roosevelt, venne stretto un legame fortissimo in funzione antisovietica di approvvigionamento energetico. Dopo l’11 settembre avevamo fatto la conoscenza di nomi quali la Rashid Trust pachistana, la Islamic Heritage Revival Society del Kuwait, la Al Haramain dell’Arabia Saudita, la Holy Land americana e la World Islamic Charity, che in nome della “zakat”, il contributo che ogni buon musulmano è tenuto a versare per almeno il 2,5 per cento del proprio reddito, raccoglievano un immenso fiume di denaro per riversarlo nelle casse del terrorismo. I sauditi sperimentarono la pia arte del finanziamento tramite il famoso “Comitato popolare per l’assistenza ai Mujaheddin palestinesi”, creato sin dall’indomani della guerra dei Sei giorni e che assieme al Comitato per l’Intifada al Quds ha contribuito alla guerra palestinese contro Israele per non meno di quattro miliardi di dollari tra il 1998 e il 2003. Dopo gli attentati dell’11 settembre, il governo saudita sembrava aver rafforzato i controlli sulle attività delle organizzazioni caritatevoli, controllando la raccolta degli oboli nelle moschee e nei luoghi pubblici, per evitare che queste ingenti somme venissero poi inviate ai gruppi islamici. Ma la situazione è oggi ben lungi da quella vantata da Riad, per cui “l’aspetto dei soldi sarebbe ora totalmente sotto controllo”. Questo flusso poderoso di denaro e culto di morte influenza tutta la umma islamica, visto che la famiglia reale saudita finanzia 210 centri islamici, 1.500 moschee, 202 università e 2.000 scuole coraniche solo nei paesi in cui i musulmani sono minoranza. E come dimostra la recente indagine della Bbc sulle scuole saudite nel Regno Unito, Riad non esporta certo un messaggio di tolleranza. Si legge nei loro testi scolastici che “gli ebrei sono scimmie, il popolo del Sabato; i cristiani sono maiali, gli infedeli della comunione di Gesù”. Il Saudi Arabia Accountability Act del 2005 aveva ingiunto ai reali sauditi di adempiere alla risoluzione 1.373 dell’Onu, che vieta di sostenere, finanziare, aiutare e dare rifugio ai terroristi. I leaks di questi giorni dimostrano che le fondazioni di Riad continuano a lavorare per il terrore anche se hanno ufficialmente come missione l’aiuto degli affamati, dei poveri, dei senzatetto, e sono molto accreditate presso “l’élite” saudita. Per questo il meccanismo della repressione è così difficile. I dignitari di Riad negano ogni complicità, attraverso una straordinaria campagna di lobbying e di relazioni pubbliche scatenata grazie ai petrodollari. “E’ una costante sfida – si legge nei leaks – persuadere esponenti governativi sauditi di trattare il finanziamento del terrorismo proveniente dall’Arabia Saudita come una priorità strategica. I donatori in Arabia Saudita costituiscono la più significativa fonte di finanziamento di gruppi terroristici sunniti in tutto il mondo”. Un celebre rapporto preparato per il Pentagono da Laurent Murawiec della Rand Corporation dopo l’11 settembre aveva suscitato un putiferio definendo l’Arabia Saudita come “il nucleo del male” in medio oriente. Il problema più grande e strategico è che i destini della casa saudita sono da sempre intrecciati perfidamente a quelli della sua ideologia di stato, il wahabismo, sin da quando nel Settecento il capo tribù del Najd, dove sorge l’attuale capitale Riad, Muhammad al Saud, si alleò con il predicatore Abd al Wahhab e la sua versione purista dell’islam. La famiglia Saud forniva generali, cavalli e soldi, lo sceicco Wahhab le milizie di fanatici guerrieri e una micidiale ideologia di sottomissione. Una divisione del lavoro che sembra funzionare molto bene ancora oggi.

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