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La Stampa Rassegna Stampa
08.12.2010 Argentina e Brasile riconoscono uno Stato che non c'è
nessuno più soddisfatto di Paola Caridi

Testata: La Stampa
Data: 08 dicembre 2010
Pagina: 20
Autore: Paola Caridi - Emiliano Guastella
Titolo: «Lo Stato della Palestina comincia in Sud America»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 08/12/2010, a pag. 20, l'articolo di Paola Caridi ed Emiliano Guastella dal titolo " Lo Stato della Palestina comincia in Sud America ".

Sullo stesso argomento, invitiamo a leggere la Cartolina da Eurabia di Ugo Volli di oggi, pubblicata in altra pagina della rassegna


Paola Caridi

Continua la serie di articoli pregiudiziali di Paola Caridi contro Israele.
Quello che segue, scritto con Emiliano Guastella, non è niente di diverso dal solito. Caridi vede di buon occhio il riconoscimento da parte di Brasile e Argentina dello Stato palestinese, non si pone il problema del fatto che non spetta a Brasile e Argentina riconoscere uno Stato in Medio Oriente.
Inoltre Caridi lascia intendere al lettore che sia a causa di Israele se uno Stato palestinese non c'è. Non è così, anzi. Netanyahu si è dichiarato favorevole alla nascita dello Stato palestinese. Chi fa di tutto per minare i negoziati è l'Anp.
Il problema di Hamas a Gaza e il fatto che Abu Mazen non abbia alcun potere sulla Striscia non viene manco menzionato. Meglio far credere che sia Israele la ragione di tutti i mali del Medio Oriente.
Caridi ha apprezzato la mossa di Argentina e Brasile, ma è incapace di farne una simile e riconoscere che Gerusalemme è la capitale di Israele, si ostina a scrivere '
la diplomazia di Tel Aviv '.

Ecco il pezzo:

Non è piaciuta per niente a Israele la mossa a sorpresa di Brasile e Argentina, che a distanza di quattro giorni l’uno dall’altra hanno deciso di riconoscere lo Stato di Palestina lungo i confini segnati prima della Guerra dei Sei Giorni del 1967. La Palestina lungo la Linea Verde. La diplomazia di Tel Aviv ha subito mandato lettere di protesta per quella che viene ritenuta una vera e propria «interferenza». Da parte di chi, ha detto ieri il portavoce del ministero degli Esteri Yigal Palmor, «non ha mai dato il suo contributo» al processo di pace.

L’annuncio del Cono Sud del Sudamerica sorprende per i tempi, ma non per la sostanza. I due governi si sono, infatti, sempre dimostrati vicini ai palestinesi. Tutto, fanno sapere negli ambienti diplomatici dei due Paesi, è nato da una richiesta avanzata durante la recente visita nella regione di Abu Mazen. La decisione dell’argentina Cristina Fernandez arriva solo quattro giorni dopo quella del suo collega brasiliano Luis Inacio Lula da Silva, pronunciata durante il recente Vertice Iberoamericano. I due più importanti Paesi della regione vanno dunque a braccetto dimostrando, almeno in Medio Oriente, visione e strategia comune, che sfidano anche certe resistenze interne, soprattutto in Argentina, dove risiede una folta e influente comunità ebraica che non ha visto certo di buon occhio la decisione.

Brasilia e Buenos Aires sono stati in prima fila nel condannare il bombardamento su Gaza del 2009, e hanno sempre votato a favore delle risoluzioni dell’Onu sull’autonomia dello Stato palestinese. Lula ha anche tentato, senza grande successo, di svolgere un ruolo da mediatore nella regione. «La nostra decisione – ha detto il ministro degli Esteri argentino Timermann – punta a favorire il processo di negoziazione per mettere fine al conflitto ed è spinta dalla nostra vocazione di convivenza pacifica fra i popoli». Per alcuni analisti si tratta, poi, di una mossa ufficiale pensata per rispondere ufficialmente alle polemiche per alcune rivelazioni di Wikileaks che indicavano Cristina Fernandez come una simpatizzante della causa palestinese.

La questione può sembrare una bega tra diplomazie, e invece rischia di rimescolare le carte sul tavolo degli infiniti negoziati di pace. Come ben dimostra la reazione piccata israeliana e, dall’altra parte, i sorrisi soddisfatti dei dirigenti palestinesi a Ramallah che – come Saeb Erekat, il capo negoziatore – considerano la mossa latino-americana «un grande passo». Lo Stato palestinese, infatti, esiste solo sul calendario seguito in Cisgiordania e Gaza. Una data, il 15 novembre, che celebra l’indipendenza palestinese decisa nel 1988, una bandiera, un inno nazionale. Ben poco, perché si consideri un vero e proprio Stato. E poi, dal 1994, quella palestinese è una «entità». Autonoma, ma pur sempre entità: uno strano oggetto istituzionale, ambiguo quel tanto che basta. Certo, i palestinesi siedono nei diversi consessi dell’Onu. Hanno anche la loro sigla nazionale su Internet (.ps), ma mancano confini, forze armate, controllo del territorio e dello spazio aereo.

Lo Stato, confermano però anche ieri gli israeliani, va concordato all’interno del processo di Oslo. Ma il presidente palestinese, Abu Mazen, è stato chiaro, lunedì dalla Turchia, dove ha incontro il presidente Gul. «Abbiamo cinque o sei opzioni», compresa quella del riconoscimento unilaterale dello Stato di Palestina da parte dell’Onu. «E le useremo», se fallissero i negoziati di pace che sono in stallo da settimane. C’è, poi, chi ritiene – anche da parte israeliana – che il riconoscimento dello Stato di Palestina sarebbe una «opportunità». Come Yossi Alpher, ex direttore del Jaffa Center for Strategic Studies. «Se gestito in modo intelligente - scrive l’analista - trasformerebbe il conflitto israelo-palestinese in un negoziato tra due Stati su confini, sicurezza, acqua, e il destino delle colonie». Tutta un’altra storia, e non solo per i diplomatici.

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