Riportiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 07/12/2010, a pag. 13, l'articolo di Alberto Negri dal titolo " In salita i nuovi negoziati con l'Iran ".
Catherine Ashton e Said Jalili, 'negoziatore' iraniano
Solo Marina Forti sul Manifesto è riuscita a dipingere la ripresa dei 'negoziati' sul nucleare iraniano in maniera positiva e ottimista,come se fosse possibile fidarsi dell'Iran, come se tutti i negoziati precedenti non fossero falliti.
Ecco il pezzo di Alberto Negri :
La frase più attesa è venuta da una fonte anonima della Bbc: «I colloqui sono stati costruttivi e ad ampio raggio», mentre le agenzie battevano l'unica notizia da brivido, «Maradona possibile ct della nazionale iraniana». Era questa robusta iniezione di diplomazia soporifera che ci mancava dopo una settimana shock per le rivelazioni di WikiLeaks. A Ginevra, con la ripresa dei negoziati sul nucleare iraniano, si è tornati alle solite frasi evanescenti e ipocrite che nascondono il nulla di fatto. La scenografia stessa ha rispettato un copione collaudato: il capo negoziatore iraniano Said Jalili e Catherine Ashton, responsabile della politica estera europea, non si sono stretti la mano per motivi religiosi, tenendosi a debita distanza per la foto ricordo. Come se un anno fosse passato senza brividi ed eventi dal fallimento degli ultimi colloqui.
In realtà tra le parti c'è un' assoluta e reciproca mancanza di fiducia: le potenze occidentali temono che l'Iran stia producendo armi atomiche, Teheran ribadisce che il suo nucleare ha scopi pacifici ma non ha nessuna intenzione di dimostrarlo con fatti concreti. Nessuno però vuole rompere per primo e senza un motivo spendibile di fronte all'opinione pubblica, quindi anche il risultato di questi due giorni di negoziato potrebbe essere scontato: la data per un altro appuntamento in qualche ovattato e confortevole salone.
Eppure la vigilia era stata movimentata. Gli iraniani hanno annunciato di avere prodotto lo yellowcake, il concentrato di uranio, materiale base per il combustibile nucleare, affermando di essere ormai del tutto indipendenti per l'intero ciclo industriale. Non solo, hanno accusato i servizi occidentali e il Mossad dei due attentati di lunedì scorso a Teheran in cui uno scienziato nucleare è rimasto ucciso e un altro gravemente ferito.
A Ginevra Jalili ha sollevato la questione senza però ripetere le accuse ai servizi americani e israeliani, ottenendo così dalla baronessa Ashton la dovuta condanna «contro gli atti di terrorismo». Seduti uno di fronte all'altra, immobili come due porcellane settecentesche, sono stati seguiti dal coro ben temperato dei rappresentanti del "Cinque più uno" - i membri del Consiglio di sicurezza dell'Onu con l'aggiunta della Germania - che hanno ribadito agli iraniani di rispettare gli obblighi internazionali. Anche russi e cinesi hanno seguito lo spartito senza imbarazzo: i primi hanno aiutato Ahmadinejad a rimettere in piedi dopo vent'anni la centrale nucleare di Bushehr, i secondi, con 30 miliardi di dollari di interscambio commerciale l'anno, stanno occupando in Iran il posto lasciato libero per le sanzioni dalle imprese occidentali. Ma questi, evidentemente, sono dettagli da lasciare al prossimo dossier di WikiLeaks.
Gli iraniani hanno qualche possibilità di ottenere un obiettivo: prendere altro tempo. Faranno al massimo qualche modesta concessione per protrarre il più a lungo possibile il processo diplomatico e provare a indebolire il fronte delle sanzioni. L'importante è che si parli il meno possibile di diritti umani e repressione del dissenso. Qualche crepa però c'è nella diplomazia-bazar di Teheran. L'economia stenta, le riforme di Ahmadinejad per i tagli al welfare state islamico sono contestate, le sanzioni lasciano qualche strascico e le carceri si sono riempite di uomini d'affari in fallimento: in meno di un anno, secondo la Banca centrale, sono stati accertati 10 miliardi di dollari di assegni scoperti mentre i tassi di interesse reali sono alle stelle. Per questo anche i bazarì guardano a Ginevra con una certa preoccupazione.
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