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Il Foglio Rassegna Stampa
07.12.2010 Incendio del Carmelo: persino la Turchia ha mandato più soccorsi dell'Italia
Ma la frattura fra Gerusalemme e Ankara rimane profonda

Testata: Il Foglio
Data: 07 dicembre 2010
Pagina: 3
Autore: La redazione del Foglio
Titolo: «Serviva un piromane per riaprire il canale tra Turchia e Israele»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 07/12/2010, a pag. 3, l'articolo dal titolo " Serviva un piromane per riaprire il canale tra Turchia e Israele ", preceduto dall'elenco dei Paesi che hanno mandato soccorsi a Israele per aiutarlo a domare l'incendio del Carmelo:

L'Italia ha mandato un aereo e materiale ignifugo, ha fatto meno di Bulgaria, Croazia, Cipro, Francia, Grecia, Russia, Spagna, Svizzera, Regno Unito, Stati Uniti e Turchia. Un po' poco, specialmente qundo persino l'Anp ha mandato dei soccorsi...
Sulla ripresa dei rapporti fra Turchia e Israele non è possibile essere così ottimisti come la redazione del Foglio. Le richieste di Ankara (scuse per aver bloccato la flottiglia e aver ucciso 9 dei terroristi che erano a bordo e risarcimento ai loro parenti) sono inaccettabili. Inoltre il compito della flottiglia era quello di aiutare i terroristi di Hamas contro Israele. La Turchia non avrebbe dovuto spedirla.
Ecco l'elenco degli aiuti, seguito dal pezzo del FOGLIO.

Azerbaigian - 2 elicotteri
Bulgaria - 1 aeroplano e 92 vigili del fuoco
Croazia - 1 aeroplano, 8 vigili del fuoco e materiali per la repressione degli incendi
Cipro - 1 aeroplano e 1 elicottero
Egitto - materiali per la repressione degli incendi
Francia - 5 aeroplani e materiali per la repressione degli incendi
Germania - 1 aeroplano, 7 esperti in materiali per la repressione lotta agli incendi
Grecia - 7 aeroplani, 34 vigili del fuoco e materiali per la repressione degli incendi
Olanda - 5 esperti nella lotta agli incendi
Italia - 1 aeroplano e materiali per la repressione degli incendi
Giordania - 3 camion carichi di attrezzature e materiali antincendio
Autorità palestinese - 21 vigili del fuoco e 3 autopompe antincendio
Russia - 3 aeroplani e 22 esperti antincendio
Spagna - 5 aeroplani
Svizzera - 1 aeroplano, 3 elicotteri e una squadra di 14 operatori
Turchia - 2 aeroplani
Regno Unito - 2 elicotteri
Stati Uniti - 5 aeroplani, 11 esperti nella lotta agli incendi e materiali per la repressione degli incendi. 
Inoltre, l'Australia è pronta a fornire immediatamente un team di 5 esperti in gestione calamità, nonché 20 tonnellate di materiale ignifugo
(fonte: Ambasciata d'Israele a Roma)

Il FOGLIO - " Serviva un piromane per riaprire il canale tra Turchia e Israele "


Recep Erdogan

Roma. L’incendio del Monte Carmelo, appiccato da un quattordicenne maldestro, ha prodotto effetti inaspettati sul piano internazionale. Il premier di Israele, Benjamin Netanyahu, costretto a fronteggiare critiche universali per l’assoluta inadeguatezza dei programmi e dei mezzi della protezione civile, ha trovato l’immediata e generosa disponibilità negli aiuti proprio là dove nessuno l’avrebbe prevista: nel governo turco di Recep Tayyip Erdogan. La sera del 2 di dicembre, l’edizione online del quotidiano israeliano Haaretz apriva con una notizia clamorosa: il governo turco era stato il primo, in tempo reale, a rispondere alla richiesta di aiuto lanciata da Netanyahu. Quello stesso governo turco che per mesi ha martellato Israele di critiche feroci, e che pareva definitivamente deciso a consumare una rottura drastica della sua alleanza con Gerusalemme. Il clamore di questa scelta solidale è cresciuto quando si è saputo che l’ordine di invio in Israele di due Canadair era stato deciso in persona proprio da un Erdogan che pareva essersi candidato al ruolo di leader del fronte islamico anti israeliano. L’immediata conseguenza di questa svolta nelle relazioni fra i due paesi è stato l’inizio di un round negoziale a Gerusalemme fra Yosef Ciechanover, rappresentante israeliano nella commissione Onu incaricata di accertare i fatti della Mavi Marmara, e Feridun Sinirlioglu, ex ambasciatore turco e direttore generale del ministero degli Esteri, per definire un accordo che chiuda il drammatico contenzioso. Ieri il presidente turco, Abdullah Gül, ha sottolineato la disponibilità negoziale (ormai definita “Yagin diplomasi”, la diplomazia dell’incendio) dichiarando che “la Turchia è aperta alla normalizzazione dei rapporti con Israele, ma ci aspettiamo che vengano soddisfatte le nostre aspettative”. Le aspettative riguardano le scuse di Gerusalemme ad Ankara e un risarcimento ai parenti delle vittime. Per un’interessante eterogenesi dei fini, è probabile che questa accelerazione dell’appeasement fra i due paesi (in realtà contatti diplomatici segreti erano in corso da mesi) sia stata favorita dalla pubblicazione dei file di Wikileaks che riportavano valutazioni durissime dei diplomatici americani su Erdogan (definito “un individuo che semplicemente odia Israele”), e di giudizi ancora più netti sul ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, il grande stratega del governo. Poche ore prima dell’incendio sul Monte Carmelo, lo stesso Davutoglu aveva smentito le affermazioni ferocemente anti israeliane che gli erano state attribuite dai report resi pubblici da Wikileaks (tra queste: “Israele è la maggiore minaccia per la Turchia”). I contraccolpi negativi della pubblicazione di questi dispacci e il beau geste di solidarietà fra popoli hanno così prodotto la svolta, ennesima prova della duttilità, non priva di prospettiva strategica, della dottrina politica di Davutoglu. La dottrina si basa sull’abbandono dei tradizionali assi fondamentali della politica estera turca, a favore di una “politica fluida e di movimento”. La priorità di Davutoglu è l’abbandono della “ossessione turca su Cipro”, dell’altrettanto ossessiva guerra fredda con la Grecia e della politica di attrito nei confronti della Siria. Il tutto usando il consistente potere di attrattiva economica che il sistema Turchia può dispiegare, come si è visto con gli investimenti massicci in Siria e nel Kurdistan iracheno. Israele, sicuramente non amato da Davutoglu – se non disprezzato – è visto non solo come “l’oppressore dei palestinesi”, ma anche e soprattutto come potenza regionale concorrente. Da qui, una politica turca spregiudicata, a più sbocchi, con l’esplicita volontà ribadita da Davutoglu di obbligare Israele ad accettare la mediazione turca per risolvere il contenzioso sia con i palestinesi, sia con i paesi arabi.

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