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La Repubblica Rassegna Stampa
04.12.2010 Grandissima Cynthia Ozick
L'intervista di Susanna Nirenstein

Testata: La Repubblica
Data: 04 dicembre 2010
Pagina: 50
Autore: Susanna Nirenstein
Titolo: «»

Un bellissimo ritratto di Cynthia Ozick su REPUBBLICA di oggi, a pag. 50, di Susanna Nirenstein, curiosamente senza titolazione.
E' appena uscito da Bompiano il suo nuovo libro di racconti " La farfalla e il semaforo", da non perdere, come tutti gli altri.

Cynthia Ozick

Cynthia Ozick, la più cerebrale, raffinata delle scrittrici ebree americane, scrive racconti e romanzi che sembrano usciti dall´audacia di una tela di Chagall, da un fuoco d´artificio yiddishista di Isaac Bashevis Singer. Pensate a Lo scialle, Il messia di Stoccolma, Eredi di un mondo lucente.
I suoi saggi sono tanto profondi quando parla di letteratura, quanto polemici quando affronta la politica: se da sempre vota democratico, (sostenendo la Clinton però e non Obama i cui toni le sembrano quelli di un "santone", e il suo dialogo con l´Iran "grave e pericoloso"), la nostra autrice 82enne non lesina accuse alla sinistra americana e alla sua intellighentsia – che definisce "fascista" per quanto attacca Israele e il suo diritto a difendersi.
Ora, mentre negli Stati Uniti è appena uscito, acclamatissimo, Foreign Bodies (una rivisitazione degli Ambasciatori di Henry James), Bompiani pubblica una sconfinata raccolta di racconti La farfalla e il semaforo: uno sguardo fortemente ebraico, acuto, immaginifico, sorprendente, su temi come la seduzione e la "possessione" dei sentimenti, la Shoah, le ossessioni e le invidie degli scrittori immigrati, l´esilio, l´eresia, l´attrazione per gli idoli di ogni tempo, il linguaggio, il plagio e la lingua persa dell´yiddish, un caleidoscopio abbagliante che vira da Freud e certi autori che si credono Dio a un rabbino animista e suicida, da una "strega" ammaliatrice di Canal Street a un sopravvissuto ai lager divenuto ambasciatore bianco di un paese dell´Africa Nera, senza identità.
Lei non rifiuta l´etichetta di scrittrice ebrea – anche se la definisce "contraddittoria". Bellow non l´accettava, anzi giudicava Singer "troppo ebraico". Cosa vuol dire per lei?
«Saul Bellow aveva grandi simpatie per gli ebrei, Israele e l´yiddish, una lingua intima per lui. Il suo atteggiamento non può essere paragonato, che so, alle fughe dall´ebraismo di Norman Mailer. Ed è vero che ho definito "scrittore ebreo" un ossimoro. Perché ebraismo vuol dire dominio delle emozioni, decoro, attendibilità, alta moralità, responsabilità; l´immaginazione dello scrittore invece è capricciosa e spericolata, e se c´è una canaglia nel racconto, lo scrittore entrerà con zelo nella psiche del farabutto. Così, se nella vita mi sforzo di essere ebraicamente responsabile, quando afferro la penna, posso fare qualsiasi cosa. Insomma le due componenti dello "scrittore ebreo" – il buon cittadino e la bestia feroce – sono destinate a scontrarsi».
Linguaggio, traduzione, plagio sono temi così ricorrenti nei racconti, da sembrare loro stessi personaggi. Perché?
«Perché il linguaggio è tutto. È la differenza tra arte e "comunicazione". Ogni anno escono migliaia di romanzi senza qualità, un tanto al metro, puoi prendere e tagliare dove e quanto vuoi. Ma la letteratura è fatta di parole scelte: scelte con l´orecchio, la lingua, il respiro, per amore della cadenza, il tono, la risonanza. Ed è anche fatta di spazi vuoti, silenzi da vagliare quanto i vocaboli. E di virgole, punti, punti e virgole... che sono la musica delle frasi. E di lunghezze e brevità delle proposizioni che cambiano, oscillano, saltano, rallentano. Se non hai tutto questo sulla punta delle dita non sei uno scrittore».
Shoah: la maggior parte dei suoi protagonisti l´ha attraversata. Ma lei ne ha scritto direttamente solo ne Lo scialle.
«E non è più successo. Non ne ho il diritto. Non ero lì. Mi affido a coloro che c´erano, a Levi, a Wiesel, a documenti, diari, memorie. Diffido della fiction su quei diabolici avvenimenti, della poeticizzazione mitizzante. In questo campo elimino lo scrittore e divento un membro del popolo ebraico e nient´altro».
Nei suoi racconti c´è l´universo ebraico, ma non c´è Israele che pure lei difende sempre con molto impegno. Perché?
«In Foreign Bodies, il romanzo appena uscito in America ne scrivo, anche in Usurpazione. Ma sì, anche se sono stata in Israele moltissime volte, il suono delle strade e la musica dell´ebraico e il sapore dell´aria e l´aspetto della terra e le colline di Gerusalemme non sono nelle mie sensazioni quotidiane. E immergersi con i propri sensi in un luogo è qualcosa di cui la scrittura non può fare a meno. Detto in poche parole io sono un´americana, nata a New York; l´America è l´aria che respiro».
Però in molte università americane studenti e professori ebrei e israeliani vengono attaccati, boicottati. Un fenomeno anche europeo. Cos´è cambiato negli Usa, nel mondo?
«Purtroppo è così. Può esser utile ricordare che la prima delinquenza nazista non si manifestò solo nelle birrerie, ma soprattutto negli atenei, proprio con urla contro gli oratori, boicottaggi, violenza sugli ebrei. Negli anni ´30 in Germania tutto ciò proveniva dalla destra. Ora dalla sinistra, dagli Idealisti, che fanno squadra con islamici violenti, spesso stranieri, mandati dai loro paesi a studiare, ma anche a provocare».
L´anno scorso ha proposto all´Europa di abolire il Giorno della Memoria. Lo pensa ancora?
«Quant´è facile piangere gli ebrei morti! Di sabato si mettono corone alle lapidi, al lunedì si diffama Israele. La memoria diventa profanazione quando gli ebrei vivi vengono insultati, quando la legittimità di Israele viene attaccata, quando l´antisemitismo è mascherato da "critica alle politiche israeliane". Piangere gli ebrei assassinati incoraggiando un nuovo assassinio dei vivi: come dovremmo chiamare tutto ciò?».

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