Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Haniyeh propone un referendum ? E' credibile ? Evidentemente no, ma alcuni quotidiani italiani ci cascano
Testata: Corriere della Sera Data: 02 dicembre 2010 Pagina: 19 Autore: Francesco Battistini Titolo: «Apertura di Hamas a Israele: accordo dopo il referendum»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 02/12/2010, a pag. 19, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo "Apertura di Hamas a Israele: accordo dopo il referendum ".
Le dichiarazioni di Ismail Haniyeh sono stata riportate da alcuni quotidiani italiani di questa mattina. Tutti i pezzi usciti sono analoghi per l'impostazione e il taglio, tutti concordi nel dare credito alle dichiarazioni del capo di Hamas. L'idea di un referendum a Gaza può essere associata solo a quella di un referendum a Berlino ai tempi del III Reich. Come può un'associazione che ha come punto fondamentale del suo statuto la distruzione di Israele e che ha fatto di tutto per boicottare i negoziati essere credibile in fatto di trattative con Israele? Per leggere lo statuto di Hamas, cliccare sul link sottostante: http://www.informazionecorretta.it/main.php?mediaId=0&sez=160&id=36731 E' indubbio che Hamas sente l'isolamento e cerca, con queste parole, il riconoscimento della Comunità Internazionale. Ma si può prendere sul serio le dichiarazioni di Haniyeh ? E se volesse solo inseguire Bibi, che il referemdum lo farà per sentire in totale libertà cosa pensano gli israeliani sulle cessioni di territori ? Ma lui non è Bibi, Haniyeh è a capo di un movimento terrorista.
GERUSALEMME — Rispolvera la grisaglia. E convoca le testate di mezzo mondo. Coi fiori gialli sul tavolo e i grappoli di microfoni. «Grazie d'essere qui...». Parla Ismail Haniyeh, e già questa è una notizia: il medico di Gaza che governa Hamas non ama le conferenze stampa, temendo i missili israeliani che possono colpirlo — come già gli accadde — e i siluri degli amici siriani che lo smentiscono, come spesso gli accade. Il capo della Striscia ha tre cose da dire, però, e nel suo ufficio di Gaza City vuole si sentano bene. Primo: «In caso d’accordo con Israele, accetteremmo il risultato d’un referendum fra i palestinesi di Gaza, della Cisgiordania e della diaspora, anche se questo fosse diverso dalle nostre idee e princìpi». Secondo: «In questo accordo accetteremmo uno Stato palestinese entro i confini del 1967, con Gerusalemme capitale, il rilascio dei prigionieri palestinesi e la soluzione della questione dei profughi». Terzo: «Fosse vero quel che esce da Wikileaks», e cioè che nel 2008 Abu Mazen fu avvertito dagl’israeliani della guerra imminente nella Striscia, ma evitò d’informarne i palestinesi, «il dialogo col suo partito, il Fatah, dovrebbe fermarsi qui».
Il messaggio non è nel contenuto: è nel tono. Più morbido. Meno ultimativo. Quel che fa subito pensare alla svolta moderata d’un movimento che non ha mai riconosciuto Israele e, dalla presa di Gaza, nemmeno l’Autorità palestinese. In realtà, dalle parole esce poco di nuovo: già nel «documento d’intesa nazionale» del 2006, Hamas chiedeva i confini del ’67 e tutto il resto; e già l’ex presidente Carter, dopo un incontro a Damasco, assicurò che Hamas era pronta a un accordo di pace «da sottoporre all’approvazione dei palestinesi, anche nel caso il risultato fosse in disaccordo con le sue idee» (ci pensò Khaled Meshaal, capo siriano, a prendere subito le distanze). È lo stesso leader di Gaza, poi , a precisare che «non esiste la soluzione dei due Stati, perché Israele vuole la terra, la pace, la sicurezza tutt’insieme, e questo non è possibile». Ecco così che le reazioni sono gelide: «Nulla di nuovo — commenta da Gerusalemme un portavoce di Netanyahu —. Un linguaggio doppio. Haniyeh non dice mai che gli basterebbe uno Stato vicino a Israele. Dice che lo accetterebbe. Ed è molto diverso. Perché ha sempre spiegato che uno Stato palestinese nei confini del ’67 è solo il primo passo: l’obiettivo finale è uno Stato islamista che rimpiazzi Israele».
La sortita di Haniyeh, forse, si spiega con l’ansia di mandare segnali. All’Europa perché i suoi ministri, quando vengono ( com’è appena venuto Frattini), «accettino d’incontrare il governo eletto». Ai qaedisti, dei quali nega disperatamente la presenza nella Striscia. E a Israele, dal quale dice di temere nuove bombe. Nei giorni scorsi, raccontano dal Fatah, in una casa di Jenin s’è bevuto un insolito caffè: c'erano uomini di Hamas e dello Shin Bet, i servizi israeliani. E i toni erano morbidi, anche lì.
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