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Dal massacro di Karbala alle stragi di oggi
Nel 680 dell’era cristiana, cioè 1330 anni fa, si verificò nei pressi della città di Karbala, nel sud dell’Iraq, un evento terribile che ancora oggi è utile per capire come funziona il mondo islamico. Una forza militare per conto del generale ommayade Yazif ben Muahai uccise il nipote del fondatore dell’Islam Maometto, Hussein Ben Ali,ritenuto un ribelle. Per dimostrare che l’operazione si era conclusa, la pattuglia militare portò la testa di Hussein ben Ali sino a Damasco, e per rendere visibile a tutti che era stato fatto quanto andava fatto, il generale tenne la testa di Hussein per un mese sul tavolo. Così raccontano le fonti islamiche. I successori di Hussein ben Ali, piangono il suo assassinio ogni anno, e una parte di loro si flagella in pubblico sino a sanguinare per immedesimarsi con la sua morte. Di fronte alla protesta contro il regime “sunnita”, diversi governi proibiscono agli shaik di celebrare questi riti. Così avviene in Arabia Saudita, dove governa il regime islamico waabita, che considera lo sciismo come una specie di eresia, e così anche in Iraq ai tempi di Saddam Hussein. Questa settimana l’Iraq ha sperimentato una versione moderna del “massacro di Karbala”: martedì è scoppiata una autobomba in questa città scita, e contemporaneamente lo stesso accadeva nella città vicina di Najaf, dove è sepolto Ali, fondatore dello sciismo, padre di Hussein. Alla fine sono rimaste uccise più di venti persone. Negli attentati di Karbala e Najaf sono stati gravemente colpiti alcuni autobus che portavano dei visitatori dall’Iran, venuti a rendere omaggio alle tombe di Husein e Ali. Subito dopo l’esplosione le forze di sicurezza irachene hanno chiuso la zona, impedendocosì ai mezzi di soccorso di arrivare ai feriti, accrescendo il numero delle vittime. Cittadini e turisti accusano le forze di sicurezza irachene di aver trascurato la loro sicurezza, sostenendo che così si creeranno forti difficoltà all’accesso futuro di turisti iraniani , ignorando però l’attività di Alqaida. Comunque, l’assenza di governo in Iraq dopo le elezioni di otto mesi fa, impedisce di sorvegliare in modo effettivo le attività di Alqaida. Le città sciite di Najaf e Karbala sono state nel corso degli ultimi anni un obiettivo per molti attentati. I momenti più sensibili sono le festività, i giorni nei quali il mondo islamico celebra il Hai, il pellegrinaggio alla Mecca, mentre dopo tre giorni si svolge il AI alahda, la festa del sacrificio. Parallelalmente a questi due attentati, il martedì di quella settimana ce ne sono stati altri in Iraq: a Baghdad, Mosul e Tel Afar, che hanno fatto vittime soprattutto fra i poliziotti, il che indica che non solo gli sciti, ma anche il nuovo regime iracheno, quello favorito dagli americani, è l’obiettivo dell’organizzazione “al qaida in mesopotamia”. In queste ultime settimane c'è stata un’impennata nel numero di attentati e di vittime, cosa che insieme alla lunga crisi politica pone la domanda se riuscirà il tentativo di fondare un nuovo governo in Iraq, tale da poter mettere ordine e disciplina in una popolazione che nella sua maggioranza si identifica con il regime, ma dove c’è una piccola minoranza violenta che ne sovverte la legittimità e trasforma lo stato in un bagno di sangue solo per impedire la stabilità del regime che gli americani hanno contribuito a fondare. Qual è la soluzione? Nell’opinione di chi scrive queste righe l’Iraq ha due alternative possibili: la prima è di diventare di nuovo una dittatura cruenta, nello stile di quella del regime in vigore sino all’aprile del 2003 sotto Saddam Hussein, pronta a usare il pugno di ferro contro ogni tentativo di scuotere la stabilità del regime stesso, di fatto annullandone il carattere democratico. La seconda alternativa è il disfacimento dello stato iracheno in diverse parti, ciascuna governata da un gruppo omogeneo, su base tribale, religiosa, comunitaria o etnica. Questo modello sarebbe una copia di quello degli emirati del golfo, dove in ciascuno di essi vive e governa una certa tribù, senza altri gruppi capaci di compromettere il regime. Questa soluzione faciliterebbe la collaborazione attiva fra i cittadini, resa difficle oggi a causa diverse tradizioni, spesso in contrasto fra loro. Questo sistema è anche l’unica soluzione per risolvere i problemi causati dal terrorismo in altri regimi islamici, come Afganistan, Pakistan, Iran, Somalia, Yemen e Sudan. In tutti, i problemi nascono dal fatto che lo stato non è considerato legittimo, ecco perchè una spartizione in stati più piccoli, tutti appartenenti ciascuno a un gruppo preciso e omogeneo può essere la soluzione. Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi. |
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