L'Europa nel terrore - La propaganda delle elezioni in Egitto
di Mordechai Kedar
(traduzione dall'ebraico di Giovanni Quer)
L'Europa nel terrore
Questa settimana i responsabili della sicurezza del parlamento britannico hanno diffuso a tutti i deputati un messaggio d’allerta circa un attentato che potrebbe compiersi a Londra, simile a quello compiuto da terroristi islamici a Mumbai due anni fa, a fine novembre 2008, in cui sono stati tragicamente uccisi il responsabile del centro Habad Lubavitch, il rabbino Gabriel Holtzberg, con la moglie Rivka e altri quattro ebrei. Il messaggio è stato inoltrato ai parlamentari a seguito di una segnalazione secondo cui sta formandosi in Gran Bretagna una cellula terroristica i cui membri sono cittadini britannici. Secondo la segnalazione la cellula sta attendendo il momento propizio per compiere un assalto al parlamento, prendere ostaggi tra i parlamentari e compiere una strage.
Le segnalazioni della CIA hanno confermato tale possibilità e hanno aumentato le pressioni sull’Europa indicando altri possibili obiettivi in varie capitali europee tra cui Parigi e Berlino. Il mese scorso alcuni Paesi europei hanno dichiarato lo stato d’allerta su alcuni siti turistici, e persino la Tour Eiffel è rimasta chiusa ai visitatori per un giorno.
I terroristi che avrebbero dovuto compiere gli attacchi sono musulmani con cittadinanza europea le cui intenzioni e atti non sono identificabili senza previe indagini d’intelligence. Così accadde con gli attentati del luglio 2005 a Londra e del marzo 2004 a Madrid, perpetrati da musulmani con cittadinanza inglese e spagnola che in tutto uccisero 250 uomini, donne e bambini. La Gran Bretagna sospetta che gli attentatori appartengano alla comunità pachistana, e la Germania sospetta che siano immigrati afghani quelli che attenteranno alla capitale Berlino.
La considerazione di queste minacce segue alla scoperta delle intenzioni di Al-Qaida, che progetta di spostare il fronte di guerra in Europa, a seguito dei duri colpi inferti dalle forze NATO durante gli ultimi mesi ai Talebani in Afghanistan e Pakistan. I leader di Al-Qaida conoscono la sensibilità degli europei nei centri turistici delle loro capitali, e a ragione sanno che se le capitali europee diventano obiettivi sensibili di gravi atti terroristici, si alzeranno le voci per richiedere ai governi il ritiro delle truppe dall’Afghanistan. Gli europei sono oltremodo colpiti dalle bare in cui ritornano i combattenti morti in Afghanistan, ma la prospettiva di attentati a Parigi, Berlino o Londra rappresenta una possibilità fuori dalla loro portata, perché accadrebbero proprio vicino a casa loro.
Inaspettatamente, il governo britannico ha deciso questa settimana di risarcire un certo numero di terroristi di cittadinanza britannica catturati in Afghanistan dopo l’invasione a fine 2001, quindi detenuti a Guantanamo e in altri luoghi di detenzione dove furono sottoposti a interrogatori e torture da parte degli agenti americani della CIA. I britannici non ammettono d’aver preso parte agli arresti, agli interrogatori, né d’essere a conoscenza delle modalità di detenzione; sostengono inoltre che non vi è alcun nesso tra i risarcimenti e ciò che i detenuti hanno subito. La stranezza sta nel fatto che i britannici pensano che qualcuno creda veramente che tale nesso non vi sia; apparentemente il loro scopo è di riconciliarsi coi terroristi nella speranza che siano soddisfatti del denaro e che con esso si costruiscano una vita normale abbandonando il terrorismo. Così la Gran Bretagna combatte il terrorismo.
Consiglierei ai Paesi europei di ponderare non solo le loro politiche in Afghanistan, ma anche le loro politiche di immigrazione e la tolleranza che dimostrano nei confronti delle ondate di musulmani che si infiltrano ogni notte in Europa via mare, via terra e aria, che rappresentano una minaccia reale all’esistenza degli Stati europei quali Stati occidentali, moderni e democratici. Allo stesso modo, è importante che gli Stati europei prendano seri provvedimenti riguardo al tasso di natalità che diminuisce così vertiginosamente da mutare radicalmente l’aspetto delle loro società, che fra vent’anni avranno una consistente componente musulmana non integrata con la cultura europea.
La propaganda delle elezioni in Egitto
La propaganda elettorale per le elezioni in Egitto è stata attiva e turbolenta. Enormi cartelloni appesi alle strade, con megafoni che diffondono lodi ed elogi ai candidati. Tuttavia alcuni candidati hanno incominciato nei giorni scorsi a compiere un atto di particolare interesse: la distribuzione di carne al pubblico. In questi giorni si celebra la festa del sacrificio (eid el-adha), che si usa celebrare con ricchi banchetti di carne. Non foss’altro che il problema principale degli egiziani è la povertà, per cui molte famiglie non si possono permettere l’acquisto di carne. Di questa pena si fanno carico i candidati, che ovviamente giustificano la mattanza con un atto di carità ai poveri (‘aqiqa, in arabo), auspicabile proprio nei giorni di festa.
Il pubblico di poveri, ossia la maggioranza degli egiziani, benedice l’impresa dei candidati, che non è altro che un tipo di tangente elettorale che i candidati economicamente potenti pagano a potenziali elettori. E poiché la ricchezza è alla volte una conseguenza di operazioni economiche non proprio lecite, rischiano d’essere eletti proprio quei candidati generosi che hanno acquisito le loro ricchezze in maniera subdola. Di qui al dominio del parlamento da parte di un gruppo di delinquenti la distanza è breve, e di questo si preoccupano i “fratelli musulmani” fedeli all’Islam.
D’altro canto, ci sono anche candidati vicini ai “Fratelli Musulmani” che sono riusciti a convincere i più caritatevoli e benestanti a destinare fondi per l’acquisto di carne ai poveri e l’organizzazione di banchetti per la festa. E di ciò si preoccupano i laici, oppositori dei “Fratelli”. Di conseguenza accade che i poveri dell’Egitto sono utilizzati come una palla da gioco tra i politici dei due schieramenti, quello religioso e quello laico, mentre a noi non resta che attendere i risultati delle lezioni e scoprire alla fine del mese quale sarà la rappresentanza dei Fratelli Muslmani al parlamento egiziano.
Bisogna qui ricordare i sistemi elettorali precedenti, con cui il regime è riuscito, in maniera non sempre retta, a mantenere la rappresentanza religiosa limitata a un quinto dei seggi in parlamento, per evitare l’avverarsi della previsione secondo cui, se ci dovessero essere delle elezioni propriamente democratiche in Egitto, i “Fratelli” avrebbero la maggioranza. L’importanza per Israele delle elezioni in Egitto sta nel fatto che, se le frange religiose dovessero arrivare al potere per vie democratiche o non, espellerebbero dal Cairo l’ambasciata israeliana e farebbero rientrare da Tel-Aviv il personale dell’Ambasciata egiziana in Israele, “l’entità sionista” che non ha diritto ad esistere e con la quale il governo egiziano, da un punto di vista giuridico islamico, non ha nessun permesso d’intrattenere relazioni.
La questione della composizione della prossima legislatura egiziana è importante soprattutto in questi giorni in cui si dibatte il problema della successione alla presidenza di Gamal Mubarak: secondo la costituzione, ogni candidato alla presidenza dev’esser garantito da centinaia di firme, e se i “Fratelli Musulmani” dovessero essere in troppi in parlamento, allora Mubarak non raggiungerebbe il numero di firme necessario. In più, un parlamento religioso renderebbe difficile la vita del nuovo presidente, in particolar modo se non dovesse avere grande esperienza politica. Pertanto c’è da credere che l’attuale governo farà di tutto per influenzare i risultati delle elezioni, affinché il parlamento si presenti in forma tale da esser il più possibile vicino al nuovo presidente.
È forse questa una democrazia? Non ne sono sicuro, ma l’alternativa islamica di un governo dei “Fratelli Musulmani” è ben peggiore, basti pensare a quanto accaduto in Iran, in Libano e a Gaza, dove vi è stato un cambiamento in direzione islamica, e i problemi interni e esterni che c’erano prima di questo cambiamento sono solo aumentati e peggiorati
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
Link: http://eightstatesolution.com/
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