Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 28/11/2010, a pag. 14, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo "Voleva fare una strage sotto l’albero di Natale ".

Mohamed Osman Mohamud
WASHINGTON – Alle 17.40 di venerdì Mohamed Osman Mohamud ha cercato di attivare con il cellulare il veico-lo-bomba parcheggiato in mezzo alla folla a Portland, Oregon. C’erano centinaia di persone, assiepate per l’accensione delle luci di un grande albero di Natale. Ma l’ordigno non è esploso. Non poteva: era una finta bomba. E Mohamud, 19 anni, è stato arrestato in una classica «stangata» dell’Fbi. Il veicolo-trappola era stato preparato dagli agenti per far credere al giovane somalo di partecipare a un piano terroristico.
L’inchiesta dei federali è iniziata in primavera quando l’Fbi — forse per una soffiata — ha individuato Mohamud come un personaggio da tenere d’occhio. Nato in Somalia ma con cittadinanza Usa, il giovane era in contatto, via email, con un estremista nel nord ovest del Pakistan, tradizionale rifugio per gruppi radicali.
Il somalo, con una serie di messaggi in codice, cercava di preparare un viaggio per unirsi ai mujahedin e partecipare attivamente alla Jihad. In giugno, un agente dell’Fbi ha contattato il giovane fingendo di essere un complice del terrorista pachistano. Un mese dopo Mohamud lo ha incontrato dichiarando la sua volontà di passare all’azione. L’agente-provocatore lo ha assecondato e insieme hanno testato un ordigno in un bosco. Più volte, è stato chiesto a Mohamud se fosse consapevole delle conseguenze di un eventuale attentato in mezzo alla folla, con donne e bambini uccisi. E il somalo – secondo gli investigatori – ha risposto: «E’ da quando avevo 15 anni che penso a questo. Sarà come uno spettacolo di fuochi d’artificio. Uno show spettacolare».
L’Fbi ha deciso di proseguire con la «stangata» raccogliendo altre prove. Mohamud è stato così aiutato a preparare l’attacco di Portland, data prevista il 26 novembre con obiettivo una piazza piena di gente. Venerdì, il somalo e il suo finto complice hanno portato un furgoncino sull’obiettivo. All’interno bidoni, fili, un cellulare e un detonatore: una bomba inerte fornita dall’Fbi. Poi si sono allontanati. Mohamud ha quindi provato ad attivare l’ordigno con il suo telefonino, ma a quel punto gli agenti lo hanno dichiarato in arresto. Il terrorista, gridando «Allah è grande», ha cercato di colpire i federali che lo hanno però neutralizzato.
Il caso di Mohamud è l’ultimo di una lunga serie con diversi potenziali jihadisti finiti nelle prigioni Usa grazie alla «provocazione» dell’Fbi. Una tattica che ha sollevato qualche polemica. Alcuni esperti di questioni legali sostengono che senza l’esca degli agenti gli arrestati, difficilmente, sarebbero passati alla fase esecutiva.
L’altro aspetto interessante è la conferma di una tendenza, con giovani americani di origine africana, mediorientale o asiatica che abbracciano gli ideali del qaedismo pur senza avere rapporti stretti con fazioni terroristiche.
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