Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 28/11/2010, a pag. 15, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo "Egitto al voto, stretta sugli islamici ".

Fratelli Musulmani
Zecchinelli descrive Mubarak per ciò che è, un dittatore.
Ma per farlo, dipinge in maniera estremamente positiva i Fratelli Musulmani, come se fossero semplici vittime delle violenze del regime. Non una parola sul fatto che sono terroristi, estremisti, che, di recente, hanno eliminato dal 'partito' i mebri ritenuti più aperti per introdurre teologi più chiusi.
I Fratelli Musulmani non sono l'alternativa democratica a Mubarak.
Ecco il pezzo:
IL CAIRO — Sono rimasti l’unica vera opposizione al regime trentennale di Hosni Mubarak. L’ultimo ostacolo che il raìs vuole abbattere alle elezioni politiche di oggi per ottenere il controllo di fatto assoluto sul parlamento. Ed è per questo che il pugno di ferro che sta colpendo ogni forma di dissenso in Egitto è così pesante con i Fratelli musulmani. Banditi come partito dal 1954, nel 2005 riuscirono a conquistare il 20% dei seggi con candidati «indipendenti». Allora, dalle pressioni di Bush su Mubarak era sorta la «primavera del Cairo», con l’ondata di nuovi partiti e organizzazioni che chiedevano democrazia. Ma ora sono tutti svaniti o indeboliti, sostituiti nella protesta dai network su Internet e da gruppi poco organizzati di attivisti. Solo il più antico e forte movimento nella storia dell’Islam ha resistito, con qualche divisione interna ma sempre attivo.
«Questa volta arriveremo a 10 depu-tati, dagli attuali 88: il regime ha arrestato 1.500 dei nostri, alcuni li ha già condannati; ha impedito con la violenza la campagna elettorale, respinto decine di candidature, perfino di 50 parlamentari in carica nonostante i verdetti a loro favore dei tribunali», dice Abdel Monim Abul Futuh, il più noto e autorevole leader riformista della Fratellanza. «E dopo le nuove leggi liberticide del 2007 oggi nei seggi non ci saranno più i giudici a vigilare, hanno quasi vietato gli osservatori nazionali, escluso gli stranieri. Hanno chiuso 12 tv, limitato tutti i media. I brogli saranno enormi e prevedo violenze. A pagare saremo tutti, anche gli americani che tacciono». Forse perché convinti dal messaggio lanciato dal partito di governo Ndp che la democrazia porterebbe a un regime islamico? «Assurdo – dice Abul Futuh -. Questo è già uno Stato islamico come l’Indonesia o la Turchia. Non vogliamo un nuovo Iran, ma libertà, democrazia e giustizia. Siamo solidali con i cristiani che sono oppressi ma non sono i soli ad esserlo, e rispettiamo i diritti delle donne, abbiamo molte candidate. E non boicottiamo le elezioni, come fa invece quasi tutta l’opposizione, altrimenti resterebbe solo il partito Ndp».
Se l’intera area laica anti-Mubarak respinge in toto il cliché diffuso in Occidente di una Fratellanza «terrorista» e si dice convinta che il dialogo con essa è possibile (fa parte del grande fronte guidato da Mohammad ElBaradei, che nel 2011 vuole sfidare il raìs al voto), moltissimi però la respingono come alternativa al regime militare di oggi. «I Fratelli non sono parte del processo democratico e molta gente li ha votati solo per protesta contro il raìs», dice Hisham Kassem, noto editorialista liberale, fondatore di giornali indipendenti, presidente della più antica Ong per i diritti umani. «In un sistema libero avrebbero pochi voti ma la gente è oppressa da decenni di dittatura e ora dalla crisi economica. E visto che finché Mubarak è vivo nessuno lo smuove, lavoriamo per creare una nuova società civile con basi solide: quella emersa nel 2005 era un’illusione».
George Ishaq, portavoce del movimento Kifaya che cinque anni fa guidava le proteste, ora con ElBaradei, cristiano copto, sostiene che è «ridicolo» dire che le riforme porterebbero a un regime islamico. «Il regime c’è adesso, la corruzione è totale. Se molti tra i cristiani pensano che il nemico siano i Fratelli è perché il governo riesce nel vecchio gioco del divide et impera: musulmani, cristiani, cittadini, beduini. Ma a impedire la costruzione di chiese è Mubarak, non i Fratelli che sono cambiati, hanno rinunciato alla violenza. E che poi non sarebbero così forti se ci fosse libertà». Anche Ishaq teme che oggi ci saranno violenze, sperando che non si arrivi ai 12 morti del 2005 quando la polizia sparò agli elettori nei seggi dove il partito Ndp era debole. Ed è certo di brogli massicci. «Un tribunale ha già annullato le elezioni, vista l’illegalità della campagna elettorale, ma la Corte Suprema le ha confermate dicendo che potrà invalidarle solo dopo, con le prove. Che tutti noi raccoglieremo e faremo conoscere al mondo. Mi auguro che qualcuno poi ci ascolti».
Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante