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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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Mondo arabo: crisi nella dinastia saudita 27/11/2010

Mondo  arabo: crisi nella dinastia saudita
 di Zvi Mazel
(traduzione a cura di Laura Camis de Fonseca)


Zvi Mazel

La scorsa settimana si è concluso il pellegrinaggio annuale a la Mecca,  lo Haj.
In netto contrasto  con gli anni precedenti, non ci sono stati incidenti gravi, né attacchi terroristici, né dimostrazioni politiche.   Eppure non va proprio tutto bene.  All’apertura delle cerimonie un comunicato ufficiale ha informato i Sauditi che il loro re, Abdullah bin Abdul Aziz,  il primo  figlio ancora in vita del famoso Re Saud, è malato.  L’anziano monarca (nato nel 1924)  ha dovuto  rimanere a letto per  un’ernia vertebrale.  Perciò il ministro degli interni Naef bin Abdul Aziz, già  secondo vice-Primo Ministro ( il re è formalmente il Primo Ministro),  è stato incaricato della gestione del pellegrinaggio ed ha fatto le veci del Re al  tradizionale ricevimento per i capi delle delegazioni di pellegrini.

Il principe Naef è  soltanto  quinto nell’ordine della successione;  l’incarico sarebbe spettato al fratello, il principe ereditario Sultan, primo vice- Primo Ministro.  Ma  da due anni Sultan, che ha 83 anni ed  è stato operato di cancro,  vive in  un palazzo in Marocco. 
E’ chiaro che  occorre  in qualche modo ringiovanire  la dirigenza  del  paese,  per affrontare problemi pressanti come l’ammodernamento dell’amministrazione e dell’economia,   la lotta all’islamismo radicale ispirato ad al Queda e il confronto con un Iran nucleare.  Per la prima volta nella storia dell’Arabia Saudita nè il Re nè il suo successore  sono in grado di gestire il potere.
Sotto il controllo  di Naef il pellegrinaggio  non ha avuto intoppi  e i Sauditi  ne possono andar fieri.  Gestire quasi 3 milioni di pellegrini  che rimangono  da  7a 10 giorni non è facile.  I pellegrini  si spostano insieme  dalla Grande Moschea  de la Mecca agli altri tre luoghi  cerimoniali: il  monte Arafat,  Muzdalifah e Mina,  diverse miglia a nord-ovest della città.  Sul monte Arafat, dove Maometto tenne il suo ultimo sermone,  i fedeli pregano e proclamano la propria  fede in Allah.  A Muzdalifah  raccolgono le pietre da gettare  il giorno successivo a Mina contro il pilastro che rappresenta  Satana. 
Sui  2,8 milioni di  pellegrini di  quest’anno  1,8 milioni  venivano da 108  paesi diversi,  gli altri dall’Arabia Saudita  stessa, per lo più stranieri  residenti nel Regno.  Alcuni pellegrini sono morti per il calore e  la fatica  e un cuoco sbadato ha provocato un incendio,  ma il resto è andato bene.  Negli anni scorsi morivano a migliaia per epidemie,  crolli di edifici,  o perché schiacciati nella ressa.   Nel 1990 morirono 1400 persone per il crollo di un ponte,  nel 1997 ne morirono 300 a Mina per  l’incendio di un campeggio.   L’incidente peggiore avvenne nel 1979.  Un gruppo di   Sauditi armati,  guidati da un auto-proclamato mahdi  (profeta o redentore  che verrà prima del giudizio universale)  invase la Grande Moschea de la Mecca.  Occorsero settimane di combattimenti sanguinosi e centinaia di morti da entrambi i lati per  debellarli.   In anni più recenti  pellegrini inviati da Teheran per creare subbuglio tennero dimostrazioni al grido di ‘Morte all’America’ e ‘Morte a Israele’.  I Sauditi li  condannarono a morte senza esitazione. 

I sovrani sauditi  sono ben consci di avere un compito difficile.  Portano orgogliosamente il titolo di ‘guardiani dei due luoghi sacri dell’Islam ‘(Mecca e Medina) e  dai primi anni ’70 lavorano allo sviluppo delle infrastrutture  necessarie per il pellegrinaggio annuale.  Le due grandi moschee sono state restaurate  e  lo spazio ampliato per contenere la folla che compie sette volte  il percorso attorno alla Kaaba, la pietra nera al centro  della moschea di la Mecca,  o che prega sulla tomba del Profeta  alla moschea di Medina.
Nuove strade moderne di recente costruzione  smaltiscono il traffico degli autobus dei pellegrini.  Migliaia  di luoghi di ristoro lungo il percorso  offrono riposo e cibo.  Un ponte a più piani a Mina  permette  il rito del lancio delle pietre senza  il rischio di schiacciare altri pellegrini,  che  in passato  morivano a migliaia nella ressa.  Una nuova linea ferroviaria, costruita dai  Cinesi  per  1,8 miliardi di dollari e inaugurata poco prima del pellegrinaggio,  collega la Mecca alle tre città vicine.  Decine di migliaia di pellegrini  hanno così  potuto viaggiar comodi,  fuori dalle strade affollate.
Per proteggere i visitatori da al Queda,  che aveva minacciato  attacchi, il governo saudita ha rafforzato le forze di polizia,  ha adottato misure di sicurezza  e ha messo 100 000 agenti in campo.  Al-Quaeda  ha risposto dicendo  di non voler far male ai pellegrini.  Il principe Naef non ha abbassato la guardia  e gli agenti sono riusciti a smontare alcuni tentativi  di attentato  che avrebbero potuto creare scompiglio nel pellegrinaggio e mettere in difficoltà la monarchia. 
Il governatore della Mecca, il principe Khalid al-Faisal bin Abdel Aziz,  ha espresso  la soddisfazione  del Re e della corte per il pacifico svolgersi dei riti, lodando  sia l’organizzazione nel suo insieme sia le specifiche misure di sicurezza.  
Benché importante, il successo del pellegrinaggio è stato soltanto un intermezzo  nella battaglia in corso per la successione.  La salute del re causa sempre più preoccupazioni  e di intrighi.  Re Abdullah è salito al trono nel 2005, a 80 anni.  La sua salute era già precaria.  L’ernia vertebrale aggiunge altra preoccupazione.  La situazione deve essere molto seria, perchè  insieme all’annuncio che il re andrà a farsi operare negli USA  è stata data la notizia imprevista che il Principe Sultan,  benché gravemente ammalato,  è in arrivo dal Marocco per assumere l’interim.  Ma non è in grado di reggere il governo.  Occorre nominare un nuovo principe ereditario in grado di assumere il potere.
Lo stesso Abdullah è ben cosciente della situazione  e nel 2006 ha istituito, con l’accordo dei fratelli, un Comitato  per il riconoscimento di sudditanza,  che  ha il potere di designare  l’erede al trono,  e persino di esercitare la reggenza  ad interim.
In base alla legge costitutiva promulgata da Re Fahd nel 1972  il paese deve  essere retto dai discendenti di re Abdel Aziz Al Saud  basandosi sulla legge islamica, e il Corano è la costituzione del  Regno.   Il Comitato di riconoscimento di sudditanza , composto dai figli e dai nipoti di Abdel Aziz ibn Saud, non si è mai riunito  per evitare di rendere pubbliche le divergenze di opinione  in seno alla famiglia.  Gli altri figli del re, per lo più governatori delle grandi province,  si ritengono  autorizzati dall’età e dalla prossimità al re ad esercitare il potere,  e sono scontenti dell’emergere di Naef.
Naef è un buon amministratore ed ha dato prova di saper governare;  è stato  molto apprezzato  il suo  modo di reagire alle minacce di al Qaeda.  Ma si avvicina anche lui agli 80 anni.  Accanto a lui scalpitano  i discendenti più giovani: il figlio del re Mited, nominato la scorsa settimana  capo della Guardia Nazionale,   responsabile della sicurezza interna.   E il figlio di Naef, incaricato dal padre della lotta ai terroristi.
I sudditi aspettano con ansia gli eventi.  L’interim a Naef è a termine,  scadrà al ritorno del principe Sultan.  Se ci dovesse essere una crisi grave  per la sicurezza o per l’economia,  che cosa succederebbe?  Chi  potrebbe prendere  decisioni  urgenti e importanti?  Il re avrebbe potuto  nominare Naef  suo successore, o avrebbe potuto riunire  il Comitato per  nominare qualcuno  ben accetto all’intera famiglia,  ma non l’ha fatto. 

(Zvi Mazel, già Ambasciatore israeliano in Romania, Svezia ed Egitto, è
membro del Jerusalem Centre for Pubblic Affairs and State)


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