Riportiamo dal MANIFESTO di oggi, 27/11/2010, a pag. 8, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo " Pace alla Rabin: cancellati i profughi ".
Michele Giorgio
Giorgio descrive il piano di pace proposto da Yuval Rabin e Koby Huberman: " il riconoscimento di uno Stato palestinese sulla base dei confini del 1967; Gerusalemme capitale di Israele e Palestina (con accordi speciali per i luoghi santi della città); la riaffermazione dei principi stabiliti dalla dichiarazione di Israele nel 1948 riguardo l’uguaglianza dei cittadini arabi e accordi sulla sicurezza con organismi internazionali.". Nonostante la proposta rispecchi esattamente tutte le richieste avanzate dall'Anp (Gerusalemme capitale, ritorno ai confini del '67, restituzione del Golan alla Siria), Michele Giorgio la critica, perchè non accorda ai profughi il diritto al ritorno in Israele. Il piano prevede, infatti, di farli andare nel futuro Stato palestinese, la collocazione più ovvia e razionale.
Non secondo Giorgio, il quale sostiene che dovrebbero tornare tutti in Israele.
Questo articolo dimostra, nel caso ce ne fosse ancora bisogno, la scorrettezza e la malafede del Manifesto nei confronti di Israele.
Permettere il ritorno dei profughi e dei loro discendenti signifiherebbe la cancellazione di Israele, Giorgio lo sa bene, per questo insiste su questo punto. A Giorgio, come agli arabi, non interessa trovare una soluzione al conflitto che non sia la distruzione di Israele.
Ecco il pezzo:
Sulla scena israelo-palestinese arriva l’ennesimo «piano di pace», simile alle innumerevoli proposte presentate in questi venti anni di negoziati inutili. Autore del «nuovo» piano di pace – volto più di ogni altra cosa a negare il diritto al ritorno dei profughi palestinesi - è Yuval Rabin, figlio dell’ex premier Yitzhak Rabin (assassinato nel novembre 1995), che lo ha scritto assieme all’uomo d’affari Koby Huberman.
Ha il titolo di Iniziativa di pace israeliana (Ipi) e rappresenta una risposta all’Ipa, il piano di pace approvato al vertice della Lega araba di Beirut del 2002. Yuval Rabin, rimasto nell’ombra in tutti questi anni, propone il riconoscimento di uno Stato palestinese sulla base dei confini del 1967; Gerusalemme capitale di Israele e Palestina (con accordi speciali per i luoghi santi della città); la riaffermazione dei principi stabiliti dalla dichiarazione di Israele nel 1948 riguardo l’uguaglianza dei cittadini arabi e accordi sulla sicurezza con organismi internazionali.
I punti più rivelanti però sono altri due: il ritorno dei profughi palestinesi (sparsi per il mondo arabo) non ai centri abitati (oggi in territorio israeliano) dai quali furono espulsi o fuggirono durante la guerra del 1948, ma all’interno del futuro Stato di Palestina; il «riconoscimento reciproco delle identità nazionali» dei due Stati come risultato di negoziati e non come un prerequisito.
Yuval Rabin e il suo collaboratore Huberman non vogliono forzare la mano ai palestinesi al tavolo delle trattativema, in ogni caso, intendono raggiungere alla fine del negoziato l’obiettivo che gran parte degli israeliani, di destra e di centrosinistra, ritengono fondamentale: il riconoscimento dei palestinesi di Israele quale «Stato ebraico e democratico». Per quanto riguarda il fronte siriano, l’Ipi suggerisce che in uno scenario di fine conflitto sia incluso «il ritiro per fasi» di Israele dalle Alture del Golan fino ai confini del 1967 con uno scambio di territori tra i due paesi.
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