Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 25/11/2010, a pag. 22, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo " Cristiani in rivolta in Egitto. La polizia attacca: un morto ". Dal SOLE 24 ORE, a pag. 14, l'articolo di Ugo Tramballi dal titolo " I Fratelli musulmani cambiano pelle ".
Ecco i due pezzi:
CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " Cristiani in rivolta in Egitto. La polizia attacca: un morto "
IL CAIRO — Una «chiesa» piena di fedeli sotto assedio della polizia da mezzanotte all’alba. Poi ore di scontri durissimi con lacrimogeni, molotov e spari. Almeno un cristiano ucciso da un proiettile, decine di feriti, 93 arresti. A poca distanza dalle piramidi, mentre i primi turisti ignari scendevano dai pullman, è andata in scena sul Nilo, ancora una volta, la «questione copta». La comunità più grande tra i cristiani del Medio Oriente, che in Egitto arriva al 10% degli 80 milioni di abitanti, continua a subire e lamentare discriminazioni. Ma ieri, per la prima volta, ha reagito con violenza, dando persino l’assalto alla sede del governatore. In passato le proteste, pacifiche, avvenivano nelle chiese o nella cattedrale.
Quartiere di Omraneyya, Giza, un’area con molti copti ma pochissimi luoghi di culto cristiani. Da martedì sacerdoti e fedeli presidiavano la chiesa in costruzione dei santi Maria e Michele. L’attacco della polizia era previsto dopo che i lavori erano stati bloccati e quattro camion betoniere sequestrati. Le forze dell’ordine hanno agito all’alba. A loro volta circondate da 2-3 mila c opti a l gr i do di «con l’anima e il sangue, difenderemo la Croce». Gruppi di musulmani sono intervenuti tirando pietre ai cristiani. Nel caos qualcuno ha sparato. E ucciso Makarios Gad Shokr, 19 anni.
Secondo padre Mena Zarif i morti sarebbero cinque. «E’ stata una barbarie, 5 mila agenti antisommossa ci hanno assalito, sembravano israeliani contro i palestinesi di Hamas», ha detto.
Il motivo di tutto ciò è la mancanza di un permesso. «Stavano trasformando un centro amministrativo in una chiesa, costruivano la cupola, non potevano», ha spiegato il governatore di Giza, Sayyed Abdelaziz. La comunità copta nega. «La chiesa è in regola – sostiene Naguib Ghobrial, presidente dell’Unione egiziana dei diritti umani –. Mentre il governatore, con il suo intervento, incoraggia i radicali islamici a combattere i cristiani». E’ dal 1856, in piena era mamelucca, che costruire o riparare chiese richiede un decreto della massima autorità, dopo una trafila che rende quasi impossibile la cosa.
Da una decina d’anni il raìs Hosni Mubarak s’è impegnato a firmare i permessi ma poche richieste arrivano fino a lui, bloccate dalla burocrazia musulmana. Il governo però si rifiuta di ammettere una «questione copta», riduce ogni violenza a questioni private: contrasti per proprietà, gelosie, furti. «Ma nella società e per le strade assistiamo ormai a scontri tra fedi come mai era stato in Egitto», dice l’editorialista Amr Al Shukri. «E quanto è avvenuto a Giza è senza precedenti, i copti non hanno più voce per protestare e reagiscono – aggiunge Bahey Al Din Hassan, direttore dell’Istituto del Cairo per i diritti umani –. A pochi giorni dalle elezioni, già segnate da violenze, questo scontro può però essere utile al governo, perché distrarrà l’attenzione dei media internazionali dal voto. Non dico che sia stato preparato, ma non lo escludo».
Il SOLE 24 ORE - Ugo Tramballi : " I Fratelli musulmani cambiano pelle "
Ugo Tramballi
Mancava una settimana all'invasione israeliana di Gaza e dal suo ufficio era in diretta con Al-Quds, la radio di Hamas. Parlava di «orgoglio e resistenza islamica». Sicuro di sé e fiducioso, al-Futuh era - e sapeva di esserlo - il volto politico più conosciuto dei Fratelli musulmani egiziani: l'organizzazione madre di tutte le altre fratellanze islamiche in Giordania, Algeria, Iraq, Palestina. In Egitto è il movimento di opposizione più importante: 88 seggi sui 444 eleggibili della camera bassa. Quel successo elettorale del 2005 fu suo, della capacità organizzativa di al-Futuh, "Al-Ductur", il dottore.
Ora Abd al-Mun'im Abu al-Futuh è un altro uomo perché la fratellanza ha deciso di essere diversa. Meno politica, se non lo stretto indispensabile, ma Islam e opere di bene. Le elezioni interne di 10 mesi fa sono state un terremoto. Il leader Mahdi Akif, è stato sostituito da Muhammad Badì: è la prima volta che non avviene per decesso della guida spirituale ma per avvicendamento. Akif ha 82 anni ma Badì non è molto più giovane. Anche l'Ufficio dell'orientamento, il centro politico, è stato stravolto: fuori i più giovani e i politici, dentro molti anziani e i teologi.
Del movimento al-Futuh rappresentava l'ala allora maggioritaria e pragmatica che si era aperta alla società, che rinunciava alla violenza e aveva deciso di competere sul terreno politico cercando alleanze con le altre forze dell'opposizione, dai liberali ai nasseriani. «Uno stato laico in un quadro di riferimento islamico» era lo slogan promettente anche se non chiaramente definito: il programma politico del movimento scritto nel 2007 non è mai stato approvato. È sempre rimasto una bozza, per quanto di 182 pagine. Ora ha prevalso la visione conservatrice e radicale della Fratellanza: interessata a lavorare all'interno e in segreto, a coltivare un movimento disciplinato riguardo all'ortodossia della fede, alla solidarietà islamica, al sociale il più lontano possibile dalla politica. Si dice che alle elezioni parlamentari di domenica i Fratelli musulmani parteciperanno perché non farlo sarebbe una ritirata eccessiva, visti gli 88 deputati uscenti. Si prevede che ora gli eletti saranno una quindicina.
Si dice molto ma nessuno parla. Nemmeno Abu al-Futuh che ha perso il posto al vertice della Guida e che non può più prendere decisioni. È la disciplina della fratellanza, rispettata anche dagli sconfitti. «Sono invecchiato e bisognava dare spazio ai giovani», dice. Al-Futuh, che ha 60 anni in un paese il cui presidente ne ha 87, è disposto a parlare solo di sanità. È ancora il leader del sindacato dei medici, controllato dai Fratelli come altre organizzazioni professionali. Per questo tutti lo chiamano con rispetto "Al-Ductur". «Abbiamo 50 ospedali al Cairo, 25 nuovi. Curiamo due milioni di pazienti l'anno a prezzi politici. Da noi un'operazione al cuore costa 5mila lire (circa 800 euro, ndr). Negli ospedali privati 50mila. Riceviamo donazioni da gente ricca e associazioni. Anche i nostri pazienti pagano secondo capacità: abbiamo una rete di assicurazione sanitaria. Sei anni fa il governo ne aveva promessa una nuova ma non l'ha fatta».
Ma quello che "Al-Ductur" sta facendo ha molto a che vedere con il futuro dei Fratelli musulmani. Basta visitare il gigantesco e caotico ospedale pubblico sull'isola di Roda, nel centro del Cairo: nessuno all'ingresso ferma i visitatori. Poi, poco più a sud sulla riva orientale del Nilo, passare anche per l'ospedale al-Faruk, accanto alla moschea fatta costruire dall'ultimo re d'Egitto. All'ingresso, sotto un pergolato di plastica attendono centinaia di muhajjabat, di donne velate (in Egitto ormai il 90% delle donne porta l'hijab, alcune vestono il niqab, il velo che copre anche il volto). Sanno che non durerà molto, che verranno curate o riceveranno le medicine necessarie. Anche le infermiere portano tutte camice e hijab bianchi. Il direttore dell'ospedale, il dottor Magdi Abdul Azi, spiega cosa guadagnano qui i medici: stipendi politici, come le rette per i degenti; e come funziona l'ospedale amministrato dalla Società medica islamica. Cioè i Fratelli musulmani: per legge il movimento non può dichiarare di possedere immobili.
Nel nuovo corso della fratellanza, ospedali come quello di Faruk sono una ragion d'essere ma inevitabilmente anche una fonte di consenso. Il velo non è un simbolo politico: hijab e niqab sono "un segno di virtù". Indicano tuttavia una disponibilità di scelta elettorale verso chi sa far funzionare gli ospedali "in nome di Dio", chi pensa che le riforme economiche del governo continuino a non raggiungere le masse del paese, chi chiede trasparenza negli affari pubblici. Dove verrà incanalato quel consenso? «Siamo preoccupati», dice un fratello che non può dire. «Non sappiamo verso quali approdi porterà la svolta. Smettere di stare nella vita reale potrebbe portarci a forme di estremismo che la gente non capirebbe».
Per inviare la propria opinione a Corriere della Sera e Sole 24 Ore, cliccare sulle e-mail sottostanti