Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 25/11/2010, a pag. 18, l'articolo di Antonella Rampino dal titolo " Senza Gaza pace impossibile ".
Una manifestazione di Hamas a Gaza
Il pezzo di Antonella Rampino è completamente sbilanciato contro Israele.
In particolare si scaglia contro la decisione di Israele di bloccare le importazioni di cemento per impedire ad Hamas di costruire bunker e continuare la sua guerra contro Israele: " Prendete il materiale più antico di cui è fatta la modernità. Toglietelo di circolazione. Reimmettetelo per via illegali, parallele e anzi sotterranee. Negatelo a chi ne ha bisogno perché non finisca nelle mani dei terroristi, che possono però benissimo permettersi il prezzo del mercato nero. Il risultato è Gaza, e il Medioevo che si affaccia giusto al di là del valico di Eretz ".
Rampino continua : " Ha un mare bellissimo Gaza, e pescoso. Vietato anche quello.". Il mare di Gaza non è vietato. Semplicemente non è permesso ai pescatori di allontanarsi oltre un certo limite di Km dalla costa, proprio come è vietato alle imbarcazioni straniere oltrepassare il limite per raggiungere le spiagge. Questa è una misura di sicurezza imposta per impedire che Gaza diventi il porto di Ahmadinejad e delle sue armi.
Rampino scrive : " «Lo sappiamo che il bisogno di infrastrutture è primario. Ma Hamas col cemento ci costruisce i bunker. E nelle scelte che noi operiamo non entriamo mai nelle decisioni dell’autorità palestinese, noi seguiremo solo un criterio: quello della sicurezza militare», ha risposto il gran capo israeliano su Gaza indicando con il laser da dove sono partiti gli ultimi razzi, senza colpire niente e nessuno, il 19 e il 20 novembre scorsi ". Questa è la frase peggiore di tutto l'articolo. Israele è crudele perchè blocca il cemento, non si possono costruire le scuole (che importanza ha se poi Hamas le occupa e le usa come nascondiglio?) e tutto questo per colpa di un paio di innocui razzi i Hamas (non hanno colpito niente e nessuno, per questo non contano, sono innocui).
Seguono le dichiarazioni di Filippo Grandi, direttore dell'Unrwa. Visto l'ente che rappresenta le sue parole non possono essere prese sul serio se non dagli odiatori di Israele.
Per maggiori informazioni sull'UNRWA, scrivere il suo nome nella casella 'Cerca nel sito' sulla Home Page di IC, si aprirà un ricco archivio.
Frattini a Gaza ha richiesto anche la liberazioni di Gilad Shalit, deve averlo fatto sottovoce, ma in maniera sufficientemente udibile dai giornalisti italiani che oggi hanno riportato la notizia sui loro quotidiani di riferimento. Solo Rampino non ha riportato questa parte del discorso di Frattini. Perchè?
Il pezzo di Antonella Rampino ricorda per stile e contenuti gli articoli di Michele Giorgio e Umberto De Giovannangeli, due professionisti della propaganda contro Israele e nella propaganda pro Hamas a Gaza, non si addice alle pagine di un quotidiano come La Stampa.
Ecco il pezzo:
Si guardi intorno, signor ministro: qui non c’è Hamas, qui c’è un popolo sotto occupazione, al quale per vivere non basta che Israele lasci passare 150 camion ma almeno 2000 al giorno, e non bastano 50 milioni di dollari ma 50 miliardi per la ricostruzione, e non semplici infrastrutture ma un aeroporto per tornare a essere cittadini del mondo. I palestinesi, signor ministro, non hanno bisogno di un’aspirina».
Con tutta la soave cortesia mediorientale, le parole con le quali Mamoun Abushahala accoglie Franco Frattini a Gaza non potrebbero essere più taglienti. Il manager della Bank of Palestina e della Paltrade potrebbe essere uno dei mille banchieri mediorientali che stando fermi fan girare il denaro del mondo. Ma qui siamo a Gaza. E qui, non si nasconde Frattini, «non vengono fatti entrare i carichi di cemento armato perché Israele teme che Hamas usi i materiali edilizi per costruire bunker ma, come mi hanno confermato tutte le fonti, sia israeliane che palestinesi, il cemento entra invece comunque, al mercato nero, tramite tunnel. E Hamas i bunker li costruisce lo stesso».
Prendete il materiale più antico di cui è fatta la modernità. Toglietelo di circolazione. Reimmettetelo per via illegali, parallele e anzi sotterranee. Negatelo a chi ne ha bisogno perché non finisca nelle mani dei terroristi, che possono però benissimo permettersi il prezzo del mercato nero. Il risultato è Gaza, e il Medioevo che si affaccia giusto al di là del valico di Eretz attraverso decine e decine di uomini e ragazzi che a mani nude recuperano frammenti di cemento, li caricano su carretti di fortuna trainati da asini, muli e cavalli. Poi li triturano, e provano a ricostruire quello che possono della loro città. Ha un mare bellissimo Gaza, e pescoso. Vietato anche quello. «Perché non fate entrare il cemento e i materiali da costruzione a Gaza?», aveva chiesto Frattini al generale Eitan Dangot, un volto degno di un film di guerra con Bob Mitchum.
«Lo sappiamo che il bisogno di infrastrutture è primario. Ma Hamas col cemento ci costruisce i bunker. E nelle scelte che noi operiamo non entriamo mai nelle decisioni dell’autorità palestinese, noi seguiremo solo un criterio: quello della sicurezza militare», ha risposto il gran capo israeliano su Gaza indicando con il laser da dove sono partiti gli ultimi razzi, senza colpire niente e nessuno, il 19 e il 20 novembre scorsi, e sarà un caso che si tratta proprio delle aree al centro e a sud della Striscia che lo stesso Dangot definisce come «quelle che hanno maggior bisogno di aiuti».
Cemento, sempre cemento. «E a noi invece il cemento serve: a Gaza 40 mila bambini non possono andare a scuola. La scuola è strategica per dare nuovi valori, per staccare la popolazione dal fondamentalismo. Abbiamo calcolato che ci occorrono 100 scuole, ci hanno dato il permesso solo per 6», dice Filippo Grandi, vicesegretario delle Nazioni Unite, che dirige l’agenzia per la Palestina. «E ci sono 360 milioni di dollari pronti in progetti per la ricostruzione, ma gli israeliani ne hanno approvato solo il 7 per cento».
Da mesi e mesi non si vedeva un’autorità europea nella Striscia. Ovvio il rischio di trovarsi a stringere la mano a qualche esponente di Hamas. Alla visita di Frattini, racconta Grandi, abbiamo lavorato per mesi. Visita alla scuola che la cooperazione italianaha impiantato e sovvenzionato, e a un ambulatorio sempre italiano, e basta: un corteo di autoblindo dell’Onu in giro per la Striscia lancia nel mondo un allarme umanitario, meglio evitare. «Ma l’allarme umanitario c’è anche se non lo si vede, è la quotidianità invisibile il problema palestinese, la gente normale - non quelli di Hamas - mantenuta a livello di sopravvivenza, e senza futuro: su un milione e mezzo, il 70% è di profughi e sfollati» dice il professor Angelo Stefanini della Cooperazione italiana.
A tutti, Frattini dice che «la pre-condizione è la situazione politica». Attenti, «se non partono i colloqui diretti con gli israeliani, il rischio è che Gaza venga tagliata fuori, che nasca uno Stato palestinese senza la Striscia». Fatah potrebbe avallare il processo. I sondaggi del Palestinian Center for Policy Research dicono i consensi ad Hamas sono in declino, al 30 per cento, che Abu Mazen è al 57, ma che solo il 51 per cento crede nell’unità tra Gaza e la Cisgiordania, e il 57 per cento nelle trattative di pace. «Israele non le vuole veramente», ha detto a Frattini Shaib Erekat, il capo dei negoziatori. Perché se Israele volesse, è l’argomento, non porrebbe come pre-condizione la costruzione di nuove colonie a Gerusalemme Est. Cemento, ancora e sempre cemento.
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