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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
24.11.2010 Afghanistan: il capo talebano? Un impostore. Altro che negoziati
Obama riuscirà a combinarne una giusta entro la fine del suo mandato?

Testata: Corriere della Sera
Data: 24 novembre 2010
Pagina: 17
Autore: Guido Olimpio
Titolo: «La beffa dei negoziati di pace. Il capo talebano? Un impostore»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 24/11/2010, a pag. 17, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " La beffa dei negoziati di pace. Il capo talebano? Un impostore ".


Barack Obama

La strategia di Obama per l'Afghanistan si è rivelata fallimentare. Le trattative col capo talebano non hanno portato a nulla e, alla fine, si è pure scoperto che il talebano non era altro che un impostore. Altro che progressi.
Non esistono talebani 'buoni' disposti a trattare. Esistono solo truffatori e talebani autentici. I primi intascano i $, i secondi non accettano negoziati, nè denaro e continuano con gli attentati.
Ecco l'articolo:

WASHINGTON — Agli americani e al governo afghano il mullah presentato come Akhtar Mohammad Mansour, numero due della dirigenza talebana, è sembrato l’uomo della provvidenza. Introdotto da un intermediario fidato, era pronto al negoziato. E le sue condizioni erano più morbide rispetto al passato. Così gli hanno dato fiducia e «molto denaro». Lo hanno anche portato con un volo Nato a Kabul, dove si è incontrato con il presidente Hamid Karzai. Un primo contatto per una trattativa che confermava — parole del generale americano Petraeus — come i ribelli fossero sotto pressione e che il progetto di negoziare con una parte degli insorti aveva trovato un gancio.

Ma dopo il terzo meeting, uno dei partecipanti che si era imbattuto, in passato, nel mullah avverte: «Quell’uomo non mi sembra Mansour». Partono le verifiche e — secondo una ricostruzione — gli afghani sospettano che ci sia qualcosa di storto. Mansour non risponde più alle chiamate. Forse, dicono adesso, è tornato alla sua attività di sempre: quella di negoziante a Quetta, Pakistan.

A rivelare la presunta beffa sono il New York Times e, in seconda battuta, il Washin

gton Post. In particolare, il primo giornale aveva fatto uno scoop (19 ottobre) con la notizia dei negoziati segreti. In quell’occasione il quotidiano non aveva precisato l’identità di uno dei protagonisti del dialogo su richiesta della Casa Bianca. Pubblicarne il nome avrebbe messo in pericolo l’uomo dei talebani. E quell’uomo era proprio Mansour. Con lui c’erano altri due «rappresentanti della guerriglia». Non è chiaro se anche loro fossero degli impostori.

Sempre secondo la ricostruzione del giornale, prima di avviare i contatti, l’intelligence ha mostrato le foto di Mansour ad alcuni dirigenti talebani detenuti. E loro hanno confermato la sua identità. Hanno mentito? E per quale ragione se non potevano — in teoria — comunicare con l’esterno? Con lo stesso sistema del riconoscimento fotografico — aggiunge il Washington Post — sarebbe stato accertato lo scambio di persone.

Emerso il pasticcio, si è scatenata la caccia per capire cosa sia avvenuto. Gli analisti indicano tre piste. La prima è quella di una manovra organizzata dal mullah Omar per carpire informazioni e ingannare la Nato. Tanto è vero che lo stesso leader talebano ha negato l’esistenza di trattative. La seconda pista chiama in causa i servizi pachistani. L’Isi, temendo che gli americani potessero — e possano — aprire un canale negoziale autonomo hanno organizzato la stangata usando «Mansour». Islamabad pretende che qualsiasi contatto si svolga sotto la sua copertura. Ed è per questo che gli 007 pachistani tengono rapporti con gruppi terroristici: un attentato in un momento delicato o una provocazione possono essere utili. Infine — terza versione — quella dell’ufficiale, con il negoziante che si spaccia per guerrigliero prendendo in giro funzionari locali e americani. Un abbaglio che qualcuno prova a spiegare con la difficoltà, in Afghanistan, di individuare gli interlocutori validi. «Il mullah Omar può farsi passare per un negoziante e tu non lo scoprirai mai», è la battuta di uno 007. Difesa respinta dai critici per i quali non è ammissibile tanta improvvisazione. I tre scenari, però, non ne escludono un quarto. Davvero Karzai e gli alleati si sono fatti fregare? O la versione della truffa nasconde altro, magari un tentativo di coprire Mansour? Per questo, prima di mettere la parola fine sul giallo, bisogna attendere di avere più elementi. Mentre sembra avere elementi sufficienti il Pentagono per stilare un giudizio dopo 9 anni di guerra: i progressi in Afghanistan sono «modesti» e «discontinui». È quanto ammette un rapporto riservato che la Difesa ha inviato al Congresso.

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