Turchia democratica, addio. Il piano di Erdogan ha funzionato Tre articoli descrivono con cura la situazione
Testata:Il Foglio - Il Sole 24 Ore - La Stampa Autore: La redazione del Foglio - Vittorio Da Rold - La redazione della Stampa Titolo: «Diktat turco: sì allo Scudo ma il comando sia nostro - Reporter definì un procuratore 'postmoderno'. Processato»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 17/11/2010, in prima pagina, l'articolo dal titolo " La Turchia alla guerra del velo. Con un nuovo muftì ". Dal SOLE 24 ORE, a pag. 13, l'articolo di Vittorio Da Rold dal titolo " Diktat turco: sì allo Scudo ma il comando sia nostro ". Dalla STAMPA, a pag. 16, la breve dal titolo " Reporter definì un procuratore “postmoderno”. Processato ". Ecco i pezzi:
Il FOGLIO - " La Turchia alla guerra del velo. Con un nuovo muftì"
Mehmet Gormez, il nuovo Muftì designato da Erdogan
Roma. E’ un cambiamento che segnerà il paesaggio politico e religioso della Turchia per il prossimo decennio. Ali Bardakoglu, Gran Muftì e capo della Diyanet, la direzione per gli Affari religiosi, esce di scena e al suo posto entra Mehmet Gormez, molto più gradito al governo islamico di Recep Tayyip Erdogan. Nonostante Bardakoglu abbia parlato di “dimissioni spontanee e concordate” con il ministro con delega alla Religione, Faruk Celik, i media turchi hanno rivelato che bardakoglu è stato rimosso su pressione di Erdogan. Quel che è sicuro è che con le dimissioni di Bardakoglu si chiude un’epoca e che al suo posto governerà un muftì vicino al revanscismo islamista. Bardakoglu infatti era stato nominato nel 2003 dal presidente kemalista Ahmet Necdet Sezer. Adesso al vertice della Turchia c’è un presidente islamico, Abdullah Gül. Bardakoglu era accusato di non condividere la liberalizzazione del velo islamico nelle università. E’ stato questo il motivo della sua uscita di scena. E’ in corso infatti una durissima guerra politica attorno al ritorno dell’islam sulla piazza turca. In Turchia per legge è vietato indossare il velo negli edifici di stato, oltre che nelle università e nelle scuole. Pochi giorni fa la Cassazione turca, uno dei baluardi del secolarismo, ha sentenziato che la libertà di indossare il “turban”, il tradizionale velo islamico che copre completamente il capo, “è contraria al principio di laicità” cui si ispira la Costituzione. Il primo ministro turco Erdogan ha replicato annunciando per la prima volta che una legge sul velo sarà introdotta nel 2011. Giorni fa il governo turco aveva annunciato che era all’esame una modifica per inserire l’islam nei programmi delle scuole inferiori. Un colpo duro all’ordinamento laico costruito dalle autorità durante la lunga epoca del kemalismo. Si suggerisce anche la nascita di classi separate per maschi e femmine, nello stile talebano. “Indossare il velo non ti rende musulmano”, aveva scandito Bardakoglu. “E’ un dovere religioso della tradizione islamica del XIV secolo”. Uno scandalo che non poteva essere digerito da Erdogan e Gül. E non c’è soltanto il velo. Bardakoglu aveva pubblicamente difeso la figura del fondatore, Mustafa Kemal Atatürk, dagli attacchi islamici. Dopo il successo del referendum che a settembre ha modificato la magistratura di Ankara, ultimo baluardo dell’ideologia kemalista, Erdogan vuole riprendere il progetto di una nuova carta costituzionale abbandonato nel 2008. A guidarlo è stato un luminare del diritto in Turchia, Ergun Özbudun, teorico della nuova “laiknik”, la laicità turca, e sostenitore dell’eliminazione della messa al bando del velo islamico. La maggioranza di Erdogan dovrà affrontare la decisa opposizione di rettori e classe docente, per i quali la scelta del velo è politica e farà saltare il fragile equilibrio sfera pubblica e sfera religiosa. “La laicità è in pericolo” Nel 1982, l’Università di Istanbul vietò per la prima volta le lezioni alle studentesse velate. Da allora, l’uso del turban non ha mai smesso di accendere polemiche in Turchia. Il 14 aprile del 2007, quasi in una atmosfera di guerra civile, un milione e mezzo di manifestanti laici fra antislamici, kemalisti, femministi o pro militari, hanno sfilato ad Ankara gridando “gli ayatollah e i mullah vadano in Iran”. Giorni fa gli alti comandi dell’esercito turco hanno boicottato una cerimonia ufficiale presso il palazzo presidenziale durante la quale la moglie del presidente Gül avrebbe indossato, come sempre, il velo islamico. La first lady indossa l’hijab, che compre la testa e il collo, sin dall’adolescenza. Il boicottaggio ha scatenato le ire del premier Erdogan, anch’egli sposato a una donna che gira sempre con il caratteristico foulard legato stretto. I generali turchi sono contrari a qualsiasi allentamento del divieto di indossarlo nelle scuole e negli edifici pubblici. L’opposizione kemalista ha denunciato la rimozione di Bardakoglu, definendolo “amato e fedele servitore civile”. Il leader democratico Hasan Erçelebi ha affermato che “il secolarismo non è mai stato in pericolo quanto oggi sin dalla fondazione della Repubblica”. In antitesi con le visioni più liberali di Bardakoglu su diverse questioni religiose, il quotidiano laico Vatan definisce il muftì Gormez “un tradizionalista”, ricordando che 7 anni fa l’allora capo di stato Sezer oppose il veto alla sua nomina a presidente del dicastero religioso.
Il SOLE 24 ORE - Vittorio Da Rold : " Diktat turco: sì allo Scudo ma il comando sia nostro "
Recep Erdogan
Nebbia fitta sul Bosforo al punto che ieri gli stretti sono stati chiusi al traffico navale: una metafora perfetta del nuovo scontro in arrivo tra Ankara e i suoi alleati occidentali. A pochi giorni dal vertice Nato di Lisbona e dalla riunione Nato-Russia, si è tornato a discutere dello scudo di difesa anti-missilistica che Washington e l'Alleanza atlantica vorrebbero installare in Europa.
La Turchia del premier Recep Tayyip Erdogan è contraria all'identificazione dell'Iran (e della Siria) come principale minaccia contro la quale lo scudo sarebbe diretto e, di conseguenza, all'installazione in territorio turco, di un radar. Erdogan ha chiesto di avere il comando («Specialmente se deve essere installato sul nostro territorio, ci dovrebbe essere dato il comando, altrimenti non è possibile accettare») e il quartier generale del sistema difensivo, magari collocato a Smirne, dove è già presente una base Nato. Non solo. I giornali filogovernativi turchi hanno cominciato a descrivere il pericolo che, in caso di installazione sul suolo turco, il paese diventi il primo bersaglio di un attacco, tralasciando che Ankara sarebbe anche sotto l'ombrello difensivo.
Soliti tentativi levantini di alzare il prezzo della trattativa? Forse, ma Ankara è stata chiara: non accetterà che sia menzionato l'Iran come minaccia e quindi come obiettivo dello scudo. Il presidente turco Abdullah Gul ha scritto ai leader della Nato, spiegando la posizione turca. Fonti diplomatiche hanno fatto trapelare che la contrarietà turca è dovuta al fatto che la Turchia confina con l'Iran.
Inoltre, come scrive Mustafa Kibaroglu, esperto di politica internazionale, sull'Hurriyet, la Turchia «ha stabilito buone relazioni con l'Iran e non vuole aprire il proprio territorio a un sistema che punta all'Iran come minaccia», visto che gli affari tra i due vanno a gonfie vele. Nei primi sei mesi la Turchia ha esportato verso Teheran e Damasco per 1,6 miliardi di dollari, 200 milioni in più rispetto agli Stati Uniti. È una svolta economica che segue la nuova politica estera definita in Occidente come neo-ottomana, mentre il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu al recente vertice di Roma con il suo omologo Franco Frattini ha preferito definirla con lo slogan «zero problemi con i vicini».
Teheran ovviamente fa le barricate, avanzando sospetti sul reale obiettivo del sistema antimissilistico, cioè, «proteggere Israele», come ha affermato ieri il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Ramin Mehmanparast. Manovre spuntate visto che Teheran continua a far orecchie da mercante sull'arricchimento dell'uranio.
La STAMPA - " Reporter definì un procuratore “postmoderno”. Processato "
Accusare qualcuno di essere «postmoderno» in Turchia può costare il carcere e una multa salata. Lo ha sperimentato Ismail Saymaz, giornalista del quotidiano Radikal, nei cui confronti il procuratore Osman Sanal ha avviato una procedura giudiziaria. Il reporter ha usato l’aggettivo in un suo libro, riferendosi proprio al procuratore, che ora lo accusa di averlo dipinto come «vicino al jihad», «postmoderno e appartenente alla postmodernità». In Turchia la modernità è sinonimo di laicità e forse per questo il giornalista ha definito postmoderno Sanal, che già in passato aveva accusato di tramare per sovvertire la laicità dello Stato.
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