Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 15/11/2010, a pag. 15, l'articolo di Marta Ottaviani dal titolo "La Ue sferza Ankara: media imbavagliati".
La Turchia ambisce all’ingresso nella Ue, ma sulla libertà di stampa la situazione ad Ankara è critica. A suonare l’allarme è Bruxelles che nel rapporto annuale - diffuso in settimana - sul cammino turco verso l’adesione ha espresso forte preoccupazione per le scarse garanzie fornite sulla libertà dei giornalisti.
Gli standard di Ankara sarebbero ben lontani da quelli richiesti dall’Unione e il numero di casi che arrivano ogni anno alla Corte europea per i Diritti umani è troppo alto. Bruxelles tiene conto dei passi avanti compiuti da Ankara in altri campi, ma è evidente la preoccupazione per il clima in cui sono costretti a muoversi i giornalisti turchi.
Se Bruxelles esprime scetticismo, in Turchia l’opposizione insorge e punta il dito contro l’esecutivo marcato Akp, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo che ha la maggioranza in Parlamento. Secondo uno studio di Reporters sans Frontières rispetto al 2009 la Turchia quanto a libertà di stampa sarebbe scivolata dal 122° al 138° posto su 178 Paesi totali. Nel 2003, all’inizio dell’era Erdogan, era al 116° posto.
La colpa di questo scivolone sarebbero a detta dell’editorialista del quotidiano Radikal Ismail Saymaz «la modifica del codice penale turco nel 2005 e quella della legge sulla stampa per quanto riguarda la violazione del segreto istruttorio». Sul banco degli imputati c’è la revisione della legge anti terrorismo nel 2006, sempre più spesso utilizzata per colpire i giornalisti.
Attualmente sono 47 i giornalisti in stato di arresto o sotto processo. I procedimenti penali o civili che vedono coinvolti operatori dell'informazione sono oltre 700. Il governo dice che sono cifre migliori rispetto a qualche anno fa, ma non basta a placare la polemica. Stando a Radikal, nel codice penale ci sono 27 articoli che limitano la libertà di stampa, cui se ne devono aggiungere altri due nella legge anti terrorismo. I giornalisti colpiti sono decine, indipendentemente dalla collocazione politica loro e del giornale sul quale scrivono. In maggioranza si tratta di reporter che si sono occupati dei presunti colpi di Stato orditi ai danni del governo, ma mai messi in atto, che nel Paese hanno fatto sorgere più di un dubbio.
Helin Sahin, ad esempio, giornalista del quotidiano Star, normalmente considerato filo-governativo, rischia 57 anni di galera proprio per essersi occupato di questi presunti complotti ai danni dell’esecutivo.
Ancora più drammatica la situazione della stampa curda. Per essa la spada di Damocle è l'articolo 7 della legge anti terrorismo, che punisce chi approva il comportamento dei criminali, e come viene interpretato. E proprio a un reporter curdo spetta il triste record della condanna più pesante. Nel maggio scorso Vedat Kursun, ex giornalista del quotidiano Azadiya Welat, è stato condannato a 166 anni di carcere. Ne doveva scontare 525. La speranza è quella di un altro «sconto», sensibile ovviamente, che non confermi la sua pena al carcere a vita.
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