Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 15/11/2010, a pag. 17, l'articolo di Gabriele Isman dal titolo "Noi, cinque ore con i kamikaze. Così Al Qaeda uccide i cristiani".
Il luogo dell'ultimo attentato contro i cristiani a Baghdad
ROMA - «Il bambino aveva pochi mesi e piangeva in braccio alla mamma. Uno di loro gli ha sparato, davanti a noi. E poi hanno sparato ancora. È durata cinque ore». La signora, 60 anni, seduta al Pronto soccorso del policlinico Gemelli, racconta con voce spezzata l´attacco del 31 ottobre alla chiesa siro-cattolica Saiydat al Najat, Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, a Bagdad. Quel giorno gli uomini di Al Qaeda hanno ucciso 53 ostaggi. I feriti furono 75, cinque i guerriglieri morti. «Erano in quattro, armati di fucili, pistole, e bombe a mano - prosegue - Prima hanno fatto esplodere un´auto fuori dalla chiesa per distrarre l´attenzione poi hanno cominciato a sparare, puntando soprattutto gli uomini e gridando Allah akbar, Dio è grande». La donna comincia a piangere: «Hanno ucciso anche mio marito e ferito mia figlia a una mano». Gli occhi di questi 25 sopravvissuti, e dei loro 19 parenti che il C130 dell´aeronautica militare ha sbarcato a Pratica di Mare venerdì sera, sono stanchi e impauriti. Soltanto uno di loro è grave, ma le ferite dell´anima rischiano di non cicatrizzarsi mai più. «Ripetevano urlando che noi saremmo finiti all´inferno e loro in Paradiso, mostrando le cinture esplosive» dice un altro dei sopravvissuti: avrà 25 anni.
«Abbiamo paura - racconta il giovane - a dire troppo di noi, e temiamo il ritorno nella nostra terra, dove siamo una minoranza. Sappiamo che tra non molto tempo Al Qaeda ci colpirà ancora, come a maggio, quando a Mossul finì sotto attacco un gruppo di 144 studenti cristiani. Mercoledì 13 case di altri cristiani sono state attaccate: due di quelle famiglie vivono nel centro culturale della nostra parrocchia. Non sanno neanche cosa è rimasto delle loro abitazioni. Hanno paura, come noi. Non ci sentiamo sicuri nelle nostre case e nelle nostre chiese».
Sono spaventati del futuro e provano dolore per il passato: «Eravamo in 200 a seguire la messa quel giorno. A celebrarla - racconta un´altra donna di circa 50 anni - era il vicario episcopale Rafael Qutaimi, un uomo mite di 75 anni. Lo assistevano don Thair e don Vasseem. Quando il commando è entrato e sono partiti i primi colpi, i sacerdoti hanno cercato di portare più persone che potevano nella sacrestia, chiudendo la porta di legno e barricandola con armadietti di ferro. I terroristi se ne sono accorti e hanno sparato ai due sacerdoti più giovani». Don Thair aveva 32 anni, don Vasseem 27. Più tardi hanno sparato anche a Qutaimi, ferendolo gravemente. «Poi hanno lanciato delle bombe a mano contro la porta di legno. Nella sacrestia c´erano circa 50 persone. Chi era più vicino all´ingresso è morto così».
Secondo i racconti di queste persone, le cinque ore tra l´irruzione dei terroristi nella chiesa e l´intervento delle forze di sicurezza sono passate tra le profanazioni e le esecuzioni degli uomini di Al Qaeda. «Hanno pregato all´interno della nostra chiesa, ci guardavano con odio. Le forze di sicurezza sono arrivate tardi e non sono riuscite a salvare mio marito. E quando sono entrate, due dei terroristi si sono fatti esplodere. Altri due forse sono scappati, approfittando di quei momenti di panico» racconta ancora la signora del Pronto soccorso prima di ricominciare a piangere. A darle sollievo è don Aysar, nato 35 anni a Bagdad, che fino al 2005 prestava servizio nella chiesa del Perpetuo Soccorso. È lui che traduce i racconti di questi sopravvissuti: «Qui al Gemelli, tra gli altri, ci sono una bimba di pochi mesi, una di 6 anni, e due ragazzi di 12 e 14. Hanno tutti paura, perché noi cristiani sappiamo di essere una minoranza sotto attacco dal 2003. Tra gli studenti morti a maggio c´era anche la figlia di mio cugino: aveva appena 19 anni». Don Aysar tra una settimana tornerà a Bagdad: «È un momento molto difficile - dice - ma non possiamo lasciare i nostri fedeli soli. Io tornerò nel mio Paese e farò ciò che posso».
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