Sul FOGLIO di oggi, 13/11/2010, a pag.3, un editoriale sul prossimo governo iracheno, alquanto ottimista. Auguriamoci che l'analisi sia anche realista. Il titolo è "La democrazia cammina in riva al Tigri":
Nouri al Maliki
Per otto mesi, dopo le ultime elezioni, l’Iran ha tentato di imporre a Baghdad un governo guidato da Nouri al Maliki e dalla componente sciita che mettesse in minoranza il blocco sunnita-sciita dell’ex premier Iyyad Allawi (spalleggiato dall’Arabia Saudita).
L’obiettivo iraniano è evidente: con Allawi all’opposizione, Moqtada Sadr, ora alleato con Maliki (che pure l’aveva combattuto ferocemente) con la sua cinquantina di parlamentari, vuole detenere la golden share dell’esecutivo in piena sintonia con le direttive di Teheran.
Ma il tentativo iraniano va a vuoto per una ragione rilevante: l’indisponibilità dei partiti curdi (i soli che potessero dare la maggioranza ad al Maliki) ad assecondare i disegni iraniani. Questo, nonostante gli stessi curdi nutrissero forte avversità per il blocco misto di Allawi, con cui in passato, e ancora oggi nella strategica provincia petrolifera di Kirkuk, hanno sempre incrociato – e non metaforicamente – le spade.
Il Parlamento di Baghdad darà dunque la sua fiducia a un governo di unità nazionale, che include Allawi, e che soprattutto emargina a un ruolo secondario il blocco filoiraniano di Moqtada Sadr.
E’ un governo dai difficili equilibri, ma è un governo che – grazie alla piena ripresa dei proventi da petrolio – ha tutte le potenzialità per una vigorosa politica di ricostruzione nazionale. Un governo che può contrastare la ripresa del terrorismo interno che la lunga crisi politica, e la prospettiva certa dell’imminente ritiro delle truppe americane, hanno fortemente favorito.
Sotto il profilo internazionale, è un governo di equilibrio tra le influenze dell’Iran e quelle dell’Arabia Saudita, equilibrio complesso, ma prezioso di fronte al probabile acutizzarsi della crisi del nucleare iraniano (e a una prossima deflagrazione della guerra civile in Libano, a opera del filoiraniano Hezbollah). Lo scenario della trasformazione dell’Iraq in un “satellite” dell’Iran, dato per certo dal 2003 a oggi dai tanti avversari della strategia di George W. Bush, è quindi ancora una volta smentito dai fatti.
Così come si vede che i partiti curdi, che secondo i profeti di sventura avrebbero incendiato la Turchia con le loro pretese di indipendenza, continuano a essere elemento di stabilità, di ragionevolezza (e anche promotori di uno straordinario sviluppo economico del Kurdistan) e sono un forte presidio contro le mire espansioniste di Teheran, che continua a combattere ferocemente i loro fratelli del Kurdistan iraniano.
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