Una fatwa ci spiega qual è l'utilizzo migliore di Bibbia e Torah
Cari amici,
chi conosce un po' la storia e la geografia delle religioni sa che
l'islam, come succede per altri versi all'ebraismo, è soprattutto una
cultura giuridica, che i suoi religiosi sono innanzitutto giurisperiti
e le sue decisioni sentenze basate sulla legge. Le decisioni religiose
fondamentali non sono dunque le belle affermazioni teologiche che
colpiscono i cristiani, ma le sentenze concrete, le cosiddette fatwa.
Era una decisione di questo tipo quella che condannò Salman Rushdie
per blasfemia, avendo introdotto in un suo romanzo un personaggio che
ricordava il Profeta, e lo stesso sono quelle contro gli autori dei
fumetti danesi che ironizzano sullo stesso profeta. Sono fatwe di
morte, naturalmente: che diamine, l'onore è una delle categorie
fondamentali della cultura araba e non vorremo mica transigere
sull'onore del fondatore religioso, no?
Oggi però vorrei raccontarvi un'altra sentenza, la fatwa N° 40378
della Enciclopedia delle Fatwe (Arabo: Mawsu'at al-Fatawi). E’
interessante notare che la fatwa N° 40378 non compare più nella
Enciclopedia delle Fatwe; sulla vecchia pagina, un annuncio di basso
profilo avverte che “Non esiste alcuna Fatwa con questo numero”. Ma
se andate sul sito di Daniel Pipes, la trovate riprodotta
(http://www.danielpipes.org/pics/new/1280.jpg). Sembra che la
fatwa 40378 sia stata rimossa solo alla fine del 2009, a causa della
polemica sollevata da Dena Milany, una donna tedesca, che la tradusse
e la pubblicò e per questo fu condannata a morte. Si deve anche
aggiungere che, nonostante la sua rimozione dal sito, la fatwa 40378
resta valida. Toglierla dal sito internet non la cancella; ciò
richiederebbe che l’istituzione che l’ha promulgata la dichiari
formalmente illegittima, il che non è accaduto.
Ma qual è il contenuto di questa importante fatwa? Be' è semplice. Si
stabilisce che è possibile usare la Bibbia cristiana e la Torah
ebraica per un adempimento rituale importante che precede la preghiera
islamica, il cui nome è "al istinya". Tutto bene, no? segno di
quell'apertura multiculturale che molti eurarabi politicamente
corretti amano riconoscere all'Islam. Aspettate un attimo a giudicare.
Perché l'adempimento in questione, senza dubbio lodevole, consiste nel
pulirsi con attenzione il sedere prima della preghiera. A questo
compito, cioè "per la pulizia dell’ano dopo aver defecato", secondo il
Comitato per le Fatwe dell’Università al-Azhar, massimo centro
islamico sunnita, sono adatte la Bibbia cristiane e la Torah ebraica,
non "libri rispettabili" come "quelli degli hadith e quelli di fiqh"
(i detti del profeta e la giurispudenza islamica), anzi "chiunque lo
fa (cioè insultare i libri), sapendo bene quello che fa e con la
volontà di farlo, dovrebbe essere considerato un apostata e si
guadagnerebbe il disprezzo di Dio" mentre si prestano benissimo "libri
non rispettabili come quelli di filosofia, la Torah e il Nuovo
Testamento, la cui corruzione è ben nota e che non contengono nomi
eccelsi". Infatti – e solo qui troviamo una dichiarazione teologica
che colpisce gli occidentali, "la Torah e il Nuovo Testamento non
contengono nulla di eccelso. Sappiamo che sono stati corrotti, così
non c’è nessun problema nel disprezzarli".
Ho tratto tutte queste informazioni da questo sito:
http://hurricane_53.ilcannocchiale.it/2010/11/01/lislam_e_la_cacca_esatto_cacca.html,
dove potete leggere anche il testo integrale della fatwa e trovare i
link relativi. Lascio a voi giudicare il grado di rispetto per le
altre cultura e di tolleranza che questa sentenza (emessa tre anni fa,
non nel medioevo; nel moderato Egitto, non in Somalia o in Afghanistan,
dalla massima autorità religiosa sunnita, non da un piccolo pastore di
provincia come quel mattacchione che in Florida voleva bruciare il
Corano due mesi fa).
Ugo Volli