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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
08.11.2010 Afghanistan, chi lavora per il governo muore per mano dei talebani
Cronaca di Davide Frattini

Testata: Corriere della Sera
Data: 08 novembre 2010
Pagina: 17
Autore: Davide Frattini
Titolo: «A Kandahar dove regna il terrore. Chi lavora per il governo muore»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 08/11/2010, a pag. 17, l'articolo di David Frattini dal titolo "A Kandahar dove regna il terrore. Chi lavora per il governo muore".


Davide Frattini, talebani, Afghanistan

«Quando troviamo un’arma, possiamo farla analizzare al laboratorio nella base area di Kandahar e avere i risultati in pochi giorni». Sul taccuino da investigatore disegna a matita quattro rettangoli. Uno è la casa di Noor Ahmad Nazari, dietro a un altro si nascondono i suoi assassini. Traccia che cos’è successo il 4 ottobre, quando Nazari è stato ucciso verso il tramonto, era il vicesindaco, il secondo in quella carica a venire eliminato nel giro di sei mesi.

I fantasmi hanno una lista di nomi e sono pagati per depennarli. Criminali assoldati dai talebani nella guerra contro chi collabora con il governo o con le forze internazionali. Tra giugno e settembre — hanno calcolato i giornali locali — gli omicidi sono stati 397. Negli ultimi cinque giorni, gli assassini ombra hanno colpito sei volte. La campagna di terrore ha riempito l’obitorio dell'ospedale Mirwais e svuotato gli uffici statali. Nessuno si presenta come candidato per i 600 posti ancora disponibili in città e nei distretti provinciali. I fondi stanziati dagli occidentali non vengono spesi, ai muratori che faticano nei cantieri pubblici i fondamentalisti fanno tagliare le mani.

Il quartier generale fa da base per le donne e gli uomini del 504° battaglione di polizia militare. Sono arrivati in luglio, dovrebbero portare sicurezza nel centro della città, i distretti dall’1 al 4, con il palazzo del governatore e quello del

KANDAHAR — I fantasmi si spostano in moto, due alla volta, spettri barbuti armati di pistola. Pedinano le vittime che sanno di essere vittime: per il lavoro che hanno scelto, per le minacce al telefono, per le lettere di intimidazione depositate la notte davanti alla porta di casa. Studiano i sentieri quotidiani attraverso il traffico posseduto di Kandahar. Casa-ufficio-casa, la tappa in moschea (così è stato ucciso il 19 aprile il vicesindaco Azizullah Yarmal, mentre pregava), la sosta dal fornaio (così giovedì è stato ammazzato Ahmadullah, funzionario al dipartimento provinciale dell’Educazione, la figlia per mano e l’ovale di pane piegato sotto al braccio).

La squadra della scientifica sta in uno scantinato diffidente, quartier generale della polizia provinciale. Se fosse un civile, Bruce Ridlen avrebbe il grado di detective e più voglia di conversare. Indossa la divisa della polizia militare e istruisce agenti afghani che non hanno mai sentito parlare di scena del delitto o raccolta delle prove. «Abbiamo ricostruito la tecnica dei cheroki, gli attacchi fantasma, come li chiamano in lingua pashtu. È sempre la stessa: due uomini in moto, il passeggero scende e cammina dietro la vittima, colpisce tra la folla, nel caos della città». Pistole, vecchi fucili, coltelli, corde per strangolare: efficaci e facili da nascondere. sindaco, il consiglio provinciale e la sede delle Nazioni Unite. Pattugliano le strade assieme agli agenti locali, organizzano i posti di blocco per arginare i movimenti dei talebani, combattono più che mantenere l'ordine. «Abbiamo allestito degli appartamenti segreti per i funzionari pubblici — spiega il colonnello John Voorhees, comandante del battaglione —. La maggior parte preferisce restare nel villaggio dove vive: "qui conosco tutti, mi sento protetto", dicono».

Nel frastuono della caserma, una donna anziana cerca di fermare i militari americani. Un interprete l’aiuta a spiegare la storia che sta in quel pezzo di cartone, due fototessera incollate, un volto giovane con i baffi. Il figlio è stato rapito, lavora per il governo. L’ufficiale prende appunti, apre una pratica, gli spettri e la nuova vittima adesso stanno in un dossier. La strategia militare dei talebani per il controllo di Kandahar — dov’è nato il loro movimento, dove il mullah Omar predicava e da dove già una volta ha conquistato tutto il Paese — vuole terrorizzare per dimostrare che il presidente Hamid Karzai e la coalizione occidentale non possono fermarli.

La sottostazione di polizia 16, Distretto 4, è venuta su tra le tombe, tumuli di pietre e bandiere verdi islamiche che sventolano sulle lunghe aste di legno. Era il posto migliore: alle spalle un quartiere tranquillo, dall’altra parte un’area spadroneggiata dai fondamentalisti. Il plotone del tenente Michael Tikkanen è arrivato un mese fa, si è messo in mezzo, pattuglia i sentieri lungo il canale, blocca i ponti con il filo spinato, gli insorti devono passare sopra a questo fiumiciattolo per penetrare il centro di Kandahar.

La notte i negozi aperti sono pochi, il forno di un panettiere arrossa l’oscurità. Un ragazzo si avvicina controvoglia ai militari, in tanti lo spingono, una mano gli apre la camicia: le schegge di un ordigno gli hanno lasciato un pendaglio di cicatrici attorno al collo. Ahmad Shabir parla a voce bassa, ancora più esile in mezzo agli altri bambini che urlano. Racconta: due mesi fa una bomba è esplosa mentre stava camminando, i frammenti lo hanno centrato al torace, è stato portato in un ospedale pachistano. Il panettiere è suo padre, gli americani gli dicono di accompagnare il figlio da un loro medico. La dottrina di controinsorgenza predicata dal generale David Petraeus, comandante delle forze internazionali, passa per le ferite di questo ragazzo: raggiungere la popolazione è l’obiettivo, i nemici un ostacolo da superare. I soldati sperano di conquistare la fiducia degli afghani e ottenere informazioni su chi fiancheggia i talebani.

Fra pochi giorni, al numero 119 (è l’inverso di 911 quello per le emergenze negli Stati Uniti) gli abitanti potranno telefonare per denunciare crimini, segnalare un deposito di armi, avvertire di un attentato. «Abbiamo arrestato due presunti assassini — dice il colonnello Voorhees —. In un caso, la vittima è scampata al primo agguato e le hanno offerto di pagare un riscatto di oltre 30 mila dollari per essere tolta dalla lista nera. Ha accettato di collaborare con noi, ha consegnato banconote segnate. Ci vuole coraggio». Ci vuole coraggio perché a Kandahar i testimoni degli omicidi politici preferiscono sparire come i fantasmi che li commettono.

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