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La Stampa Rassegna Stampa
08.11.2010 Boicottare Israele, la via migliore per costruire lo Stato palestinese
La propaganda di Mustafa Barghouti, un 'democratico' di Ramallah

Testata: La Stampa
Data: 08 novembre 2010
Pagina: 15
Autore: Fiamma Arditi
Titolo: «Batteremo l’assedio di Netanyahu con la ragione e la non violenza»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 08/11/2010, a pag. 15, l'intervista di Fiamma Arditi  a Mustafa Barghouti dal titolo " Batteremo l’assedio di Netanyahu con la ragione e la non violenza ".


Mustafa Barghouti

L'articolo di Fiamma Arditi inizia con queste parole "Il muro costeggia la strada lungo il villaggio di Kalandia, dove dal 2006 intere famiglie sono state separate e intrappolate dal cemento.". Chissà perchè non viene scritto per quale motivo sia stato necessario erigere una barriera difensiva, nè che la barriera è fisica solo per il 6% della sua lunghezza totale.
Mustafa Barghouti "
ha fondato il Pni, il partito socio-pacifista palestinese". Ma leggendo le sue parole è difficile trovare qualcosa che assomigli al pacifismo, specialmente quando dichiara che la sua piattaforma per delle eventuali future elezioni sia basata sul boicottaggio economico e culturale di Israele.
Barghouti dichiara : " 
Dobbiamo praticare la non-violenza, ma nello stesso tempo bloccare l’invasione degli insediamenti, che dagli accordi Oslo del 1993 sono raddoppiati. In realtà sono solo la facciata di un sistema basato sulla segregazione, i posti di blocco, la costruzione del muro, il controllo delle risorse d’acqua e di quelle economiche. Insomma dobbiamo mettere la parola fine all’assedio da parte di Israele". Nell' 'analisi' di Barghouti manca il riferimento all'elemento fondamentale che ha reso così esplosiva la situazione in Medio Oriente, il rifiuto dei Paesi islamici a riconoscere Israele e ad accettare uno Stato palestinese e i loro conseguenti continui tentativi di cancellare lo Stato ebraico con ogni mezzo, guerre, attentati terroristici suicidi, propaganda, boicottaggio. Israele non si oppone alla nascita di uno Stato palestinese,anzi,  ma è evidente che la cosa più importante è la sua sicurezza.  La barriera difensiva serve a difendere la popolazione israeliana dagli attentati terroristici. Quando non sarà più necessaria, verrà smantellata.
Barghouti dichiara che "
Viviamo in un sistema di segregazione e di apartheid, come in sud Africa". All'interno di Israele non ci sono differenze fra i cittadini. Godono tutti degli stessi diritti. Dato che Barghouti vive a Ramallah, città sotto l'amministrazione dell'Anp, ne deduciamo che si riferisce alla gestione palestinese. Effettivamente le elezioni non si fanno da anni, non ci sono tracce di democrazia nell'Anp, i cristiani continuano a fuggire da Betlemme...forse Barghouti allude a questo? Perchè nei Territori dell'Anp non ci sono israeliani, perciò è impossibile sostenere che Israele sia responsabile della situazione.
Barghouti continua : "
Sono sicuro che riusciremo a cambiare l’opinione mondiale, che fino ad oggi si è basata solo sulla narrativa israeliana.". Evidentemente Barghouti non ha mai letto un quotidiano occidentale, se no non potrebbe sostenere una cosa del generale. I media occidentali sono quasi tutti critici verso Israele.
Barghouti dichiara : "
stiamo lavorando per mettere fine alla discriminazione, per creare uno Stato vero, e non essere spezzettati in una serie di ghetti. Per fare questo ci vuole una buona strategia basata sulla giustizia sociale, sul diritto dei palestinesi di essere liberi nella loro terra e sull’attenzione ad ogni essere umano". Il boicottaggio economico e culturale di Israele dovrebbe essere inteso come strumento per costruire lo Stato palestinese?
Barghouti dà per scontato che sia Israele a impedire la nascita dello Stato palestinese, ma non è così. Se fosse onesto riconoscerebbe che ad averlo sempre rifiutato sono stati gli arabi nel '48 e Arafat in seguito. E Abu Mazen oggi.
Ecco l'intervista:  

Il muro costeggia la strada lungo il villaggio di Kalandia, dove dal 2006 intere famiglie sono state separate e intrappolate dal cemento. E’ uno dei pasaggi obbligati per entrare a Ramallah. Al posto di blocco, alle otto del mattino la fila è breve. Non abbiamo l’indirizzo esatto dove andare all’appuntamento con Mustafa Barghouti, il leader della Palestinian National Initiative (Pni) , l’alternativa democratica a Fatah indebolita dalla corruzione e a Hamas erosa dall’odio. Per miracolo arriviamo puntuali. Nessun controllo. Al secondo piano Barghouti sta in piedi davanti al suo ufficio. Dalle enormi finestre il panorama è sulle case di pietra bianca di questa città venti chilometri a nord di Gerusalemme, diventata capitale dei territori palestinesi e sede del governo per scelta di Yasser Arafat. Musulmana, con un 25% di cristiani, Ramallah è il cuore pulsante dei territori palestinesi da cui gli abitanti fanno fatica a uscire. Barghouti è diretto. Laureato in cardiologia con una borsa di studio a Mosca, specializzato in management a Stanford, California, è tornato nella sua terra, dove ha fondato il Pni, il partito socio-pacifista palestinese, e l’Union of Palestinian Medical Relief Commettees (Upmrc), diventata la piu' importante del paese con 400 dipendenti e 40 mila volontari. Candidato alle elezioni presidenziali del gennaio 2005 era stato superato da Abu Mazen, leader di Fatah.
Concorrerà ancora?
«Bisogna prima capire se ci saranno elezioni».
Qual è la sua piattaforma?
«Si basa su quattro pilastri: non-violenza, unità su una base democratica, servizio civile e sanitario per aiutare la gente a sopravvivere, sostegno del boicottaggio socio-culturale internazionale nei confronti di Israele. Il che non è certo contro gli israeliani, ma contro le scelte politiche del loro governo. Per esempio non capisco perché la Svezia debba importare armi da Israele che dopo Russia e Stati Uniti è la terza industria bellica al mondo. Dobbiamo praticare la non-violenza, ma nello stesso tempo bloccare l’invasione degli insediamenti, che dagli accordi Oslo del 1993 sono raddoppiati. In realtà sono solo la facciata di un sistema basato sulla segregazione, i posti di blocco, la costruzione del muro, il controllo delle risorse d’acqua e di quelle economiche. Insomma dobbiamo mettere la parola fine all’assedio da parte di Israele. Del resto molti capiscono che gli israeliani non saranno mai liberi se non lo saremo noi palestinesi. Viviamo in un sistema di segregazione e di apartheid, come in sud Africa».
Qualcosa si sta muovendo?
«Sono sicuro che riusciremo a cambiare l’opinione mondiale, che fino ad oggi si è basata solo sulla narrativa israeliana. Jonathan Hoffman, membro del parlamento britannico, la cui famiglia fu sterminata nell’Olocausto, sostiene che chi agisce oggi in Israele non c’entra niente con i sopravvissuti. Bisogna rispettare il dolore ebreo non solo nell’Olocausto, ma nei progrom in Russia, nell’inquisizione in Spagna. Dobbiamo rispettare il dolore e la sofferenza di tutti. Combatto non solo per i palestinesi, ma anche per i bambini ebrei, che hanno il diritto di crescere liberi».
E’ libero di andare dove vuole?
«Da cinque anni non più, nemmeno a Gaza e Gerusalemme».
Come ha potuto soccorrere i suoi pazienti?
«Non avrei potuto. Mi hanno arrestato due volte, mi hanno spezzato un ginocchio».
La sua attività politica è nata in seguito a un impegno sociale.
«Quello che stiamo cercando di fare qui è creare una terza alternativa non basata su paternalismo, corruzione o fondamentalismo, ma sull’attenzione ai bisogni della gente. Per esempio stiamo proponendo una legge che permetta agli studenti di avere prestiti per frequentare le università, come in America. Insomma, stiamo lavorando per mettere fine alla discriminazione, per creare uno Stato vero, e non essere spezzettati in una serie di ghetti. Per fare questo ci vuole una buona strategia basata sulla giustizia sociale, sul diritto dei palestinesi di essere liberi nella loro terra e sull’attenzione ad ogni essere umano».

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