Riportiamo dall'ESPRESSO n°45 del 05/11/2010, a pag. 105, l'intervista di Wlodek Goldkorn ad Amos Oz dal titolo "Vi racconto la pace possibile".
Amos Oz
Non condividiamo l'opinione di Amos Oz quando dichiara sui negoziati che non si arriva a una soluzione "Perché non la vuole la leadership. O meglio: perché non la vuole Netanyahu. Il presidente palestinese Abu Mazen è pronto".
Netanyahu si è dichiarato più volte favorevole alla nascita di uno Stato palestinese. Ha congelato per 10 mesi le costruzioni degli insediamenti, un lasso di tempo durante il quale Abu Mazen non ha fatto un passo per raggiungere un accordo. Quando la moratoria è scaduta, Netanyahu ha proposto una proroga in cambio del riconoscimento del carattere nazionale ebraico di Israele. Ma Abu Mazen ha rifiutato, come sempre e come hanno sempre fatto tutti i suoi predecessori.
Ecco l'intervista:
Non è facile trovare, ai tempi in cui il processo di pace tra Israele e i palestinesi langue, un intellettuale ottimista. Lo è invece Amos Oz, scrittore celebre, che divide il suo tempo e la sua vita tra la creazione di romanzi superbi e la lotta perché Israele si ritiri dai territori occupati e perché nasca uno Stato palestinese a fianco di quello ebraico. E anche oggi mentre il governo di Benjamin Netanyahu, dopo un anno di sospensione delle nuove costruzioni negli insediamenti in Cisgiordania, ha dato luce verde ai coloni, e mentre il presidente Barack Obama ha altro da pensare che non al Medio Oriente, lo scrittore dice che la pace è già nei cuori e nelle menti della gente: israeliani e palestinesi. Si tratta solo di tradurre il moto dell'opinione pubblica in atti concreti. Oz, ospite a Milano del Centro Peres per la pace, ha risposto ad alcune domande de "L'espresso".
I pacifisti a Tel Aviv hanno ricordato il quindicesimo anniversario dell'assassinio di Itzhak Rabin, il premier che riconobbe per primo il diritto dei palestinesi a un proprio Stato, con un comizio in cui è stato detto: "Il nostro governo ha un nemico: la pace". Secondo lei ha ancora senso parlare del processo di pace?
"Sì. Nonostante tutto, rimango ottimista. Non perché abbia fiducia in Netanyahu. Ma perché le maggioranze di ambedue i popoli - e lo dicono tutti i sondaggi - sono pronte a una soluzione di due Stati. Ciò detto: non sarà una storia d'amore ma un doloroso divorzio dopo anni di forzata convivenza".
E allora perché non si arriva a questa soluzione?
"Perché non la vuole la leadership. O meglio: perché non la vuole Netanyahu. Il presidente palestinese Abu Mazen è pronto. Il nostro premier invece è ostaggio delle forze dell'estrema destra che fanno parte del suo governo. Ed è anche tatticamente furbo. Siccome dice di voler la soluzione di due Stati crea illusioni presso l'opinione pubblica e disarma la potenziale mobilitazione dei pacifisti. O se vogliamo: rende più difficile il confronto frontale, il richiamo alle sue responsabilità".
Per fare la pace lei auspica quindi un altro governo?
"Sì. Mi auguro che Tzipi Livni, la leader di Kadima, entri a fare parte dell'esecutivo. Vorrei un governo composto dal Likud, cioè la destra moderata, i laburisti di Barak, ossia la sinistra, e il centro di Kadima. Non sarà facile ma ci arriveremo".
Ma il dialogo con i palestinesi non è possibile aggirando il governo: un dialogo tra le due società civili?
"No. Non nella situazione di occupazione militare. Si può dialogare solo in posizione di parità: ecco perché la soluzione del conflitto può essere solo politica".
Parlando di occupazione, lei e molti altri scrittori e artisti state boicottando i coloni nei territori.
"Mi rifiuto di accettare gli inviti a parlare nei territori. Non partecipo all'occupazione. Ma non faccio boicottaggio contro le singole persone, nemmeno contro i coloni. Non ho niente di personale contro questa gente. Anzi, spesso li invito a casa mia, a parlare".
È mai riuscito a convincere qualcuno di loro?
"Questa è una domanda molto difficile. Ma io non abbandono la speranza".
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