Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 05/11/2010, a pag. 21, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo "Tra Londra e Israele manette e incidenti".

Un cartellone che piace a Francesco Battistini
Ecco il commento di Francesco Battistini sulla legge che permette a chiunque in Gran Bretagna di denunciare qualunque leader straniero e farlo processare per crimini di guerra, una legge usata dagli odiatori di Israele per far emettere mandati di cattura contro politici israeliani : " Certo, gl’israeliani ci mettono del loro nello scansare le condanne Onu su Gaza o le inchieste imparziali sulla strage degli attivisti turchi. Ma ci sono altri strumenti per manifestare il dissenso dalle politiche di Netanyahu ". Battistini ritiene che Israele questa situazione se la sia 'cercata' rifiutandosi di dare credito alle inchieste dell'Onu su Gaza e flottiglia. L'Onu che ha messo a capo del consiglio dei diritti delle donne l'Iran e le cui risoluzioni sono in magioranza contro Israele dovrebbe essere un organismo credibile e imparziale? Secondo Battistini sì.
Battistini, comunque, crede che questa legge sia sbagliata e scrive : "Londra, per esempio, ricorre già con efficacia al boicottaggio dell’ortofrutta proveniente dalle colonie illegali. Perché se si vuole prenderli a pomodorate, è un diritto: prendere le impronte digitali, è una sciocchezza. ". Boicottare Israele è la via migliore. Perchè emettere mandati d'arresto? Quei furboni degli israeliani possono aggirare il problema evitando di mettere ancora piede in Gran Bretagna. Col boicottaggio gli zelanti odiatori saranno sicuri di colpire Israele.
Bravo, Battistini, un ottimo consiglio. Gli odiatori di Israele te ne saranno grati.
Ecco il pezzo:
Certe visite di Stato sembrano solo una photo opportunity. Quella in Israele di William Hague, ministro degli Esteri inglese, è stata un photo finish: una corsa sul filo per evitare che precipitassero i (già non buoni) rapporti fra i due Paesi. È stato all’ultimo minuto che Dan Meridor, vicepremier israeliano, ha dovuto cancellare un contemporaneo viaggio a Londra, perché una denuncia per «crimini di guerra» presentata da un gruppo filopalestinese rischiava di trasformarsi in un clamoroso ordine d’arresto; è stato all’ultimo istante che Avigdor Lieberman, ministro degli Esteri israeliano, s’è vendicato sospendendo il «dialogo strategico» fra i due governi, ovvero una serie d’incontri periodici su difesa e sicurezza; è arrivata sul filo di lana la promessa inglese di rivedere la legge sulla competenza universale, ovvero quella norma che permette a un qualsiasi giudice Garzón del Regno, sulla base di qualsiasi denuncia, di processare qualsiasi leader straniero.
Incidente chiuso? Per nulla. In Gran Bretagna, dalla guerra di Gaza di due anni fa, il tintinnio delle manette per i politici israeliani è diventato una tradizione. Da Olmert a Tzipi Livni, per non dire di Barak che una volta fu quasi costretto alla fuga, il brivido è toccato a tutti. A Gerusalemme sono furiosi: o d’Israele viene riconosciuta una responsabilità penale internazionale, nel dossier Palestina, oppure non si vede perché i suoi dirigenti — quando entrano in quel pezzo dell’Ue — siano trattati come un Milosevic qualsiasi. Nelle università inglesi, tra l’altro, i capi di Hamas vengono invitati senza che rischino nemmeno un interrogatorio. Certo, gl’israeliani ci mettono del loro nello scansare le condanne Onu su Gaza o le inchieste imparziali sulla strage degli attivisti turchi. Ma ci sono altri strumenti per manifestare il dissenso dalle politiche di Netanyahu: Londra, per esempio, ricorre già con efficacia al boicottaggio dell’ortofrutta proveniente dalle colonie illegali. Perché se si vuole prenderli a pomodorate, è un diritto: prendere le impronte digitali, è una sciocchezza.
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