Hezbollah si prepara al colpo di Stato in Libano Dopo essere stata riarmata da Siria e Iran sotto il naso dell'Unifil. Commenti del Foglio
Testata: Il Foglio Data: 05 novembre 2010 Pagina: 3 Autore: la Redazione del Foglio Titolo: «Hezbollah si prepara all’ora zero del colpo di stato in Libano - Unifil? Sarà usata come miccia per la deflagrazione a Beirut»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 05/11/2010, a pag. 3, gli articoli titolati " Hezbollah si prepara all’ora zero del colpo di stato in Libano " e " Unifil? Sarà usata come miccia per la deflagrazione a Beirut ".
" Hezbollah si prepara all’ora zero del colpo di stato in Libano "
Hezbollah
Beirut. Hezbollah prepara il golpe in Libano, per prendere il potere a Beirut se il Tribunale speciale delle Nazioni Unite condannerà i comandanti del gruppo – e dietro di loro la Siria – per l’omicidio dell’ex premier Rafiq Hariri nel febbraio 2005. L’eventualità di un golpe militare da parte del del Partito di Dio è conosciuto tra gli appartenenti come “ora zero” fin dall’estate 2006, quando l’idea cominciò a circolare dopo la cosiddetta “vittoria divina” contro i soldati israeliani. Ora zero, come se l’opzione fosse alla fine la sola possibile e il tempo presente soltanto un inesorabile conto alla rovescia. Secondo il giornale arabo Asharq al Awsat, giovedì scorso il gruppo ha impegnato tutti i suoi uomini e la sua struttura di comando e controllo in una grande “esercitazione per il colpo di stato” che è andata benissimo. “In meno di due ore siamo riusciti – dicono fonti interne a Hezbollah – a schierarci e a ‘prendere il potere’ in vaste aree del paese”. Nel frattempo, almeno 3.500 hezbollah starebbero infiltrandosi con discrezione nelle zone cristiane leali al primo ministro sunnita Saad Hariri, lungo la costa del mare mediteranneo attraverso le regioni di Junieh, Tabarja e Batroun, passando ovviamente per la capitale. All’inizio la “marcia su Beirut” potrebbe prendere la forma di un dispiegamento rapido e inusuale di forze per “proteggere i civili”, per poi passare in fretta alla deposizione di Hariri e all’insediamento di un governo che rovescerebbe l’attuale equilibrio tra confessioni, fazioni ed etnie su cui si regge (malfermo) il Libano. E’ la prima volta che i miliziani sciiti riconoscono pubblicamente l’esistenza di un piano per prendere il potere con le armi, ed è chiaro a tutti che l’ammissione fa parte di una strategia della tensione per minacciare – fino a bloccarlo prima che possa emettere la sentenza – il Tribunale internazionale. La sera stessa del giorno dell’esercitazione il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha pronunciato un appello con toni ancora più violenti del solito, con cui ha chiesto a tutti i libanesi di boicottare il lavoro degli investigatori del Tribunale speciale e ha equiparato ogni forma di cooperazione come un tradimento, allo stesso livello di una collaborazione con l’arcinemico Israele: “Sarebbe come attaccare la resistenza” – il nome che Nasrallah da al suo gruppo. L’equivalenza tra gli uomini delle Nazioni Unite e gli israeliani è pericolosissima e definitiva: è il lasciapassare per attacchi contro il tribunale. Intanto, un parlamentare hezbollah, Nawaf al Moussawi, ha detto che ogni libanese che accetterà la sentenza del Tribunale speciale potrebbe essere ucciso come “collaborazionista degli israeliani e degli americani”. Hezbollah prese già una volta il controllo della capitale e fece irruzione nelle sedi del partito politico di Hariri nel maggio 2008 durante tre giorni di violenti scontri a fuoco, ma poi preferì una soluzione mediata e cedette le posizioni conquistate all’esercito nazionale. Continua tuttavia a considerarsi uno stato dentro lo stato, non soggetto alle regole che valgono per gli altri. Mantiene una rete telefonica autonoma – per paura delle intercettazioni – e poche settimane fa ha mandato i suoi miliziani a prendere possesso temporaneamente dell’aeroporto internazionale di Beirut, per scortare al suo arrivo un comandante della sicurezza, Jamil al Sayyed. Hezbollah ora ha dalla sua anche una nuova capacità di mobilitare le masse in suo favore. Una settimana fa centocinquanta donne hanno aggredito a comando due investigatori del Tribunale speciale, un australiano e un francese, che hanno commesso l’errore di andare a raccogliere prove assieme a una traduttrice in una clinica medica nella zona sud di Beirut, un bastione del gruppo sciita. Sono stati malmenati e gli è stata presa una valigetta con documenti del Tribunale e un computer portatile. A luglio una folla ostile ha circondato e attaccato a colpi di pietre una pattuglia francese di Unifil che stava tentando di investigare le cause di un’esplosione – una santabarbara hezbollah saltata in aria – nel villaggio di Khirbet Silim nel sud del Libano. Quattordici soldati furono feriti. Senza contare le migliaia di sostenitori mobilitate prontamente a ottobre per celebrare il trionfo del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad in tour a Beirut e sul confine meridionale con Israele. Ieri il primo ministro inglese, David Cameron, durante la visita del suo omologo libanese, Saad Hariri, ha ribadito il sostegno di Londra al Tribunale internazionale. Ieri gli Stati Uniti hanno annunciato un finanziamento di altri 10 milioni di dollari – ne hanno già concessi 20 – al Tribunale internazionale, per sostenerne le indagini, mandando su tutte le furie il Partito di Dio. A Beirut, tra la gente, nonostante le parole di rassicurazione che arrivano dal parlamento, “il colpo di stato è improbabile e inverosimile”, molti parlano apertamente della solita opzione di sicurezza: portare la famiglia in salvo sulle montagne, lontano dalla capitale. Le tre strutture logistiche Come le truppe israeliane hanno scoperto a loro spese nel 2006, Hezbollah è nato come un’armata raccogliticcia di “resistenti” volontari ma nel corso degli anni, soprattutto grazie ai massicci investimenti di Iran e Siria e al fatto che agisce in clandestinità, mescolato alla popolazione civile, è diventato uno degli eserciti migliori del medio oriente. Formato soltanto da diecimila combattenti, secondo una nota confidenziale dei servizi francesi vista dal giornale Figaro, ma che sono ben motivati, addestrati e chiamati a operare su un fazzoletto di terra. Il Partito di Dio dispone di tre unità logistiche per spostare armi, uomini e materiali tra il Libano, la Siria e l’Iran. Una è la cosiddetta Unità 108, con ufficio centrale a Damasco, che ha in consegna i missili M- 6002. La 108 si occupa dei depositi ordinari, in Siria, non troppo distanti dall’aeroporto internazionale della capitale, e quelli “di riserva”, nascosti sulla linea di confine tra i due paesi. La seconda unità è la 112, che si occupa dell’approvvigionamento dei depositi di Hezbollah dentro il Libano, sotto il naso del contingente Unifil. Infine ci son le due sezioni specializzate dell’Unità 100, che trasportano avanti e indietro i combattenti di Hezbollah e i consiglieri- addestratori iraniani embedded tra loro. Il via vai è frequente e incessante. I campi d’addestramento godono di maggiore sicurezza e impunità, e ci sono gli ampi spazi necessari alle esercitazioni con missili che hanno gittata superiore ai 150 chilometri – in Libano sarebbe impossibile. In attesa di sparare quei missili verso Israele.
" Unifil? Sarà usata come miccia per la deflagrazione a Beirut "
Unifil
Roma. Hezbollah ha boicottato ieri la riunione per ricomporre il “dialogo nazionale” convocata dal presidente del Libano, Michel Suleiman. Il rinvio dell’incontro conferma che la tensione tra i due schieramenti libanesi è al calor bianco, dopo che il premier, Saad Hariri, aveva seccamente rimandato al mittente il diktat di Hassan Nasrallah, che aveva intimato alle istituzioni libanesi di non collaborare col Tribunale speciale dell’Onu (Tsl) incaricato di perseguire gli autori dell’attentato all’ex premier Rafik Hariri del 14 febbraio 2005. Secondo Nasrallah, il Tsl “è lo strumento del progetto strategico israeliano che ha violato il nostro onore; invito quindi tutti i libanesi, cittadini e politici a boicottare questo tribunale e cessare la cooperazione con i suoi investigatori, altrimenti sarebbe come attaccare la resistenza e Hezbollah”. Ma il premier Saad Hariri (figlio di Rafik) ha rigettato il diktat e ha annunciato che il suo esecutivo collaborerà in pieno col Tsl, presieduto da Antonio Cassese, che si appresta a emettere ordini di cattura contro alcuni dirigenti di Hezbollah, i cui cellulari erano in frenetica attività sul luogo e nel momento dell’attentato (il cui innesco era telefonico). Hariri, in altri termini, si appresta ad “attaccare Hezbollah” sul piano politico e a pagarne il prezzo, tanto che Terje Roed-Larsen, inviato Onu nel paese dei cedri dice: “Nelle prossime settimane il Libano rischia di ripiombare nella guerra civile”. Concorda Susan Rice, ambasciatore americano presso l’Onu, secondo cui “Hezbollah continua a essere una minaccia per la stabilità del Libano, anche a causa del ruolo di Iran e Siria nel minare la sovranità del paese”. La rottura frontale di Hariri con Hezbollah è coraggiosa, soprattutto perché un eventuale confronto militare, secondo il generale Amos Yadlin, ex direttore dell’intelligence militare israeliana (Aman), vedrebbe Hezbollah vincente: “Il Partito di Dio è in grado di prendere il controllo militare del Libano in poche ore, dato che nel paese non c’è alcuna forza militare in grado di contrastarlo, potendo contare su avanzati sistemi da combattimento che sono a disposizione in qualsiasi momento in Siria, anche se la probabilità che ciò avvenga in tempi brevi non è elevata”. A fine ottobre, la Francia, per bocca del portavoce del Quai d’Orsay, Bernard Valero ha formalmente chiesto alla Siria e a “tutte le parti, libanesi e non libanesi, di mettere fine a qualsiasi attività di trasferimento di armi verso il Libano e di rafforzamento di capacità militari che sfuggano al controllo statale. Chi si presta a tali attività mette in pericolo la vita dei civili libanesi”. Ma la risposta di Damasco non è stata sprezzante: “La Siria non ha bisogno di consigli su come operare in ambito regionale e svolge il proprio ruolo in maniera indipendente”. E’ dunque durata solo poco più di due anni quella “pacificazione” del Libano che l’Arabia Saudita – sponsor ufficiale di Hariri padre e figlio – aveva garantito al mondo di avere conseguito (dopo che Hezbollah nel maggio del 2008 aveva dimostrato di poter controllare manu militari Beirut in poche ore) siglando un accordo con Damasco che ha poi spinto sia gli Stati Uniti che l’Ue a dare credito alla Siria “pacificatrice” di Bashar al Assad. In realtà, Siria e Iran hanno continuato ad armare Hezbollah, in spregio alle risoluzioni Onu, e oggi i quasi 4.000 militari – soprattutto italiani (2.600) e francesi – rischiano di trovarsi intrappolati vuoi in una nuova guerra civile libanese, vuoi in un nuovo confronto con Israele che – a questo punto – sia Hezbollah sia la Siria e l’Iran possono avere tutto l’interesse tattico e strategico a provocare. Un riesame del senso e dell’utilità della permanenza del contingente Unifil nel sud del Libano è dunque urgente ed è auspicabile che Parigi e Roma ne prendano atto al più presto.
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