Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 29/10/2010, a pag. 21, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Obama cerca di fermare l’Apocalisse ". Dal SOLE 24 ORE, a pag. 8, l'articolo di Christian Rocca dal titolo " Dopo la sconfitta il centro rinascerà con i democratici ".
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Obama cerca di fermare l’Apocalisse "
Maurizio Molinari
A 120 ore dal voto per il rinnovo del Congresso di Washington i sondaggi indicano la disintegrazione della coalizione elettorale democratica che nel 2008 fece vincere Barack Obama. Le indagini condotte da New York Times-Cbs e Gallup descrivono un netto spostamento di elettori dai democratici ai repubblicani. Per New York Times-Cbs la maggioranza degli americani considera il voto un referendum su Obama e percentuali significative di donne, indipendenti e cattolici rovesceranno la preferenza rispetto a quanto fatto nel 2008.
La sorpresa maggiore arriva dalle donne: se finora preferivano i democratici con un margine di 7 punti ora invece privilegiano i repubblicani di 4 punti. È dal 1982 che la maggioranza delle donne preferisce i candidati democratici e se ciò sembra potersi ripetere è a seguito della fuga da Obama di un altro tassello della sua coalizione: gli elettori indipendenti. Il 47 per cento di loro ha già scelto di votare candidati repubblicani contro appena il 32 per cento per i democratici e il 17 per cento ancora di indecisi. Fra i cattolici l’allontanamento dai democratici si deve alle posizioni su questioni di valore - come l’aborto - mentre nel ceto medio l’elemento determinate è la povertà.
Alcune delle dichiarazioni degli intervistati da New York Times-Cbs sono molto eloquenti, come nel caso di una donna quarantenne che dice «nel 2008 ho votato per un cambio ma il cambio avvenuto non è stato quello che volevo, siamo andati troppo a sinistra». A conti fatti il 46 per cento degli elettori si accinge a votare repubblicano contro il 40 di democratici e il 12 di indecisi mentre per Gallup il distacco è ancora più netto: fra i circa 40 milioni di elettori che andranno alle urne il 55 per cento è repubblicano contro appena il 40 di democratici e il 4 di indecisi. Pesa il fatto che la popolarità di Obama fra i bianchi è precipitata al 37 per cento mentre fra gli afroamericani è al 91.
Sono numeri che consentono ai repubblicani di sentire già in tasca la vittoria alla Camera e di sperare anche in un bis al Senato, dove la maggioranza si gioca su un pugno di seggi ancora in bilico in Pennsylvania, Colorado, Illinois, West Virginia, Washington e Nevada. Proprio nel tentativo di aumentare le dimensioni della vittoria John Boehner, destinato a guidare la Camera, presenta il «programma di governo» promettendo tagli alla spesa pubblica per 100 miliardi di dollari, riduzione delle imposte e lo smantellamento della riforma della Sanità di Obama.
Il presidente da parte sua tenta di aiutare i candidati democratici puntando su Internet e tv: oltre a un’intervista a tutto campo con i blogger progressisti per rilanciare l’appello a «votare tutti» è andato al popolare show tv di Jon Stewart. Il conduttore liberal, che nel 2008 lo aveva sostenuto, ha messo da parte l’humour bersagliandolo di critiche e Obama è scivolato quando ha detto: «Yes We Can, certo... ma... non può avvenire tutto subito». Sul «ma» Stewart e il pubblico dello studio lo hanno travolto sotto una fragorosa risata che lo ha fatto apparire un perdente. Commenta Karl Rove, guru repubblicano, «Obama sta portando i democratici all’apocalisse».
Il SOLE 24 ORE - Christian Rocca : " Dopo la sconfitta il centro rinascerà con i democratici "
Christian Rocca
Christopher Caldwell racconta tutte le settimane l'America ai lettori del Financial Times di Londra, scrive di Europa per la rivista di Washington Weekly Standard e sulla copertina del Book review del New York Times di questa settimana ha fatto il punto sullo stato del conservatorismo americano. Seduto nel suo ufficio sulla 17esima strada della capitale statunitense, Caldwell parla della polarizzazione della politica americana, dell'improvvisa assenza di un centro e del futuro dell'amministrazione Obama. Alla vigilia delle elezioni di metà mandato di martedì, i sondaggi sono unanimi nel prevedere una sconfitta del partito del presidente. I repubblicani dovrebbero conquistare la maggioranza alla Camera e sfiorarla al Senato. Si torna al "divided government", alla coabitazione tra la Casa Bianca guidata da un partito e il Congresso da un altro.
«Gli americani adorano il divided government - dice Caldwell - lo considerano un limite all'utopia. Il nostro sistema costituzionale è fondato sui pesi e i contrappesi del potere. Il divided government è un controllo extra». L'editorialista del Financial Times fa l'esempio della legge sulla sanità, il più grande risultato di politica interna di Obama, ma anche una delle cause del risentimento popolare nei suoi confronti. «La legge sulla sanità - dice - spiega perché gli americani preferiscono avere il Congresso di un colore e la Casa Bianca di un altro. Negli ultimi 60 anni abbiamo avuto una mezza dozzina di grandi dibattiti sul tema. Il risultato è sempre lo stesso: gli americani non vogliono cambiare sistema. L'85% ha un'assicurazione sanitaria e pensa di usufruire del servizio migliore del mondo. Tutti sono d'accordo che il 15% senza copertura sia un disonore per il paese, per questo siamo aperti a trovare una soluzione. Ma la conclusione del dibattito è sempre la stessa: non si può fornire copertura sanitaria al 15% senza tagliare i servizi all'85 per cento. La capacità di bloccare le leggi impopolari è esattamente il motivo per cui amiamo il divided government. Questa rete di sicurezza, l'altra volta, è mancata».
Caldwell crede che la radicalizzazione e il vuoto al centro siano un problema grave, ma pensa anche che lo spazio mediano tra i due partiti tenda a formarsi naturalmente: «Dopo la sconfitta, i democratici dovranno reinventarsi. Col tempo si sposteranno al centro. Questo vuol dire che il paese si muoverà ulteriormente verso destra: ci sarà un Congresso repubblicano, ma anche un gruppo democratico più conservatore. Nel lungo periodo, i democratici diventeranno più attraenti per l'elettorato moderato e lo spazio al centro tornerà a riempirsi».
Nel breve, però, c'è da governare un paese: «Il Congresso che uscirà dalle elezioni sarà altamente polarizzato e noi abbiamo un'emergenza: il deficit». Secondo l'editorialista del Financial Times, la strada è molto stretta: «Sarà complicato trovare un accordo tra presidente e Congresso. I repubblicani non accetteranno mai di aumentare le tasse se la Casa Bianca non rinuncerà alla riforma sanitaria».
Alzare le tasse, dice Caldwell, sarà necessario e inevitabile. Si dovrà andare oltre i livelli di tassazione dei tempi di Bill Clinton, tanto grande è il buco. «Ma i repubblicani non lo faranno mai, a meno di un passo indietro dei democratici». Ci sono ragioni storiche, oltre che politiche. I repubblicani, ricorda Caldwell, si sono già trovati in questa situazione. Negli anni 70, 80, 90, il leader al Senato Bob Dole era accusato di fare l'esattore delle tasse per il welfare state. I liberal mutavano l'America in senso socialdemocratico e i conservatori si davano da fare per trovare i soldi. La nuova leadership repubblicana non vuole interpretare questo ruolo.
La soluzione sarebbe uno scambio tasse-sanità, ma pare improbabile che Obama rinunci al suo maggior successo sei mesi dopo averlo ottenuto. «Non succederà. Sarà un bienno molto instabile» teme Caldwell. Se i repubblicani conquisteranno la Camera avranno un modo per depotenziare la legge sanitaria. Non tanto con l'abrogazione del testo approvato a marzo, cosa che magari faranno anche sapendo che poi sarà neutralizzata dal veto del presidente. Piuttosto faranno mancare i finanziamenti necessari ad attuare la riforma, spiega Caldwell. Spetterà a loro scrivere le prossime finanziarie, controllare la spesa, decidere come utilizzare le risorse. La riforma resterà in piedi, ma non avrà i soldi per camminare. Il presidente non accetterà di firmare un budget di questo tipo e si rischierà la sospensione delle attività non essenziali dello stato, come a metà degli anni 90. «È una situazione simile a quella tra Clinton e lo speaker della Camera Newt Gingrich - conclude Caldwell - dopo la batosta del 1994, Clinton sebrava confuso, indeciso, incapace di risollevarsi. Poi decise di abbandonare la riforma sanitaria, di sterzare al centro, di governare da moderato. Gli americani si schierarono con lui. Due anni dopo fu rieletto».
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