"L’ennesimo fallimento di un summit è paradigma della crisi del mondo arabo. "
di ZVI MAZEL *
The Jerusalem Post, 25/10/2010
(traduzione di Laura Camis de Fonseca)
Zvi Mazel
Il 9 ottobre scorso si è tenuto un summit straordinario dei leader arabi a Sirte, in Libia. Era stato indetto già durante l’incontro annuale dello scorso marzo e la stampa internazionale, inclusa quella israeliana, non ne ha quasi parlato. L’attenzione della stampa si è concentrata invece su di un altro incontro, quello del Comitato di Controllo della Lega Araba .
Avrebbe sostenuto la dichiarazione del presidente palestinese Mahmoud Abbas che i negoziati diretti con Israele dipendevano dall’ ulteriore congelamento delle costruzioni nelle ‘colonie’? Sì, e così fece anche il consiglio dei Ministri degli Esteri arabi radunato a Sirte per stabilire il programma del prossimo summit.
Dando però agli USA un mese di tempo per trovare una soluzione e proseguire comunque i negoziati. Gli stati della regione, pronti ad unirsi quando si tratta di Israele, non riescono ad unirsi per affrontare i propri problemi. Il risultato del vertice di Sirte è un altro memo dell’incapacità di questi stati di affrontare i loro più pressanti problemi politici ed economici, che pure sono sull’agenda del Consiglio.
Prima del summit dello scorso marzo, anch’esso tenutosi a Sirte, il paese ospite - che ne aveva la presidenza- aveva preparato insieme allo Yemen un documento che invitava i paesi membri a modificare alcune istituzioni della Lega Araba portando le necessarie modifiche allo statuto, perché fosse possibile un più stretto coordinamento nell’affrontare i problemi comuni. Il presidente egiziano Hosni Mubarak si era mostrato favorevole alle modifiche, proponendo addirittura di cambiare il nome da Lega Araba in ‘Unione degli Stati Arabi’.
Amr Mussa, segretario eletto della Lega Araba fino al prossimo anno, diede la sua piena approvazione alle modifiche, che gli avrebbero permesso di ripresentarsi candidato alla segreteria della nuova organizzazione. Lo stesso Mussa presentò il secondo documento, che proponeva di creare un’istituzione specifica per le relazioni con i paesi vicini, la Turchia e l’Iran. Era un’altra proposta tesa a rafforzare il proprio ruolo e quello della Lega stessa, indebolita dall’incapacità dimostrata di contribuire allo sviluppo dei paesi membri. Ci fu grande interesse da parte dei media, ma i leader arabi si mostrarono riluttanti ai cambiamenti.
Conflitti interni e differenze di opinioni portarono gli stati membri a rimandare l’argomento ad un summit straordinario per discuterli a fondo. Gli osservatori non si aspettavano che il vertice straordinario portasse a risultati significativi su questi argomenti così importanti.
Ma non avevano fatto i conti con il presidente libico Muammar Geddafi e con Mussa, che arrivarono a Sirte con una nuova versione delle proposte da discutere e accettare. Dopo intense discussioni a porte chiuse la prima proposta ottenne il beneplacito: il segretario delle Lega Araba ebbe mandato di stilare il documento finale da presentare al prossimo summit che si dovrebbe tenere a marzo in Iraq (la località è ancora incerta, perché alcuni stati non vogliono riunirsi in Iraq).
Sul secondo documento si è deciso di creare una commissione speciale sotto la presidenza di Gheddafi per ulteriori discussioni. In altre parole, la decisione è stata rimandata al prossimo vertice. Qualche passo avanti è stato fatto sul primo documento, accettato in via di principio nonostante le perplessità dell’Arabia Saudita. Pochi giorni dopo la fine del recente summit di Sirte, indiscrezioni sui lavori a porte chiuse arrivarono al quotidiano egiziano Al-Masri al-Yom e al quotidiano saudita di Londra, A-Sharq al-Awsat.
Rivelavano che sette stati, capeggiati dall’Arabia Saudita, sono contrari a cambiare il mandato alla Lega Araba, e sostengono che l’organizzazione abbia già tutti gli strumenti a disposizione per promuovere la collaborazione fra gli stati arabi. I sette paesi hanno comunicato al Segretario della lega Araba la non accettazione delle minute della riunione inviate da Mussa agli Stati Membri. Più tardi il rappresentante ufficiale dell’Arabia Saudita presso la Lega Araba al Cairo pubblicò un memorandum sull’argomento e il Ministro saudita per l’Informazione ripetè che non sono necessari cambiamenti alle istituzioni esistenti, ma soltanto il loro rafforzamento tramite il consenso degli stati.
Ci fu un gran subbuglio.
In un’intervista a A-Sharq al-Awsat Mussa tentò di calmare le acque dichiarando che le sue proposte si limitavano a chiedere due riunioni al vertice ogni anno invece di uno, e che comunque al summit successivo tutti gli stati avranno modo di esprimere il loro parere.
La Lega Araba fu fondata al Cairo il 22 marzo 1945. Fu fortemente appoggiata dall’Inghilterra. Includeva i paesi allora indipendenti: Egitto, Arabia Saudita, Transgiordania (che nel 1949 si chiamò Giordania), Siria, Libano, Iraq e Yemen. Più tardi si aggiunsero gli Emirati e i paesi del Nord Africa man mano che raggiungevano l’indipendenza. Cambiare lo statuto della Lega non è affare da poco, non ci si riesce con un trucchetto come quello escogitato dalla Libia e da Mussa.
Occorre una discussione approfondita e il consenso degli stati, soprattutto degli stati fondatori. Inoltre nelle proposte presentate non c’è nulla che possa migliorare le condizioni degli stati arabi, né portare all’accordo fra membri in disaccordo. Gli stati arabi hanno bisogno di determinazione e di coraggio. I paesi del Medio Oriente e del Nord Africa oggi sono la parte meno sviluppata del mondo dopo i paesi del Sahel e dell’Africa.
Eppure hanno una popolazione di 350 milioni di abitanti, hanno immense risorse naturali inclusi petroli , gas e minerali; hanno vasti territori su cui sviluppare un’agricoltura avanzata, fonti alternative di energia e grandi città. Eppure tutti hanno regimi autoritari – ad eccezione del Libano – più o meno corrotti, e per questo non fanno progressi sulla via della democrazia e del rispetto dei diritti della persona, e neppure nei campi dell’economia e dell’educazione.
Conflitti tribali ed etnici intrecciati al sorgere dell’islamismo radicale hanno già portato al collasso la Somalia, mentre Sudan, Iraq e Yemen ci sono pericolosamente vicini. Altri paesi, ad esempio l’Arabia Saudita, sono sotto minaccia e si basano sull’esercito per sopravvivere. L’indefessa attività dell’Iran per estendere la propria influenza e il suo procedere a costruire armi nucleari minaccia direttamente i paesi del Golfo Persico. Attraverso i suoi alter-ego Hamas ed Hezbollah l’Iran affonda i tentacoli in profondità nel Medio Oriente, come si vede in Libano, in Egitto e nel West Bank.
Sul versante politico gli stati arabi pragmatici e quelli estremisti sono in uno stato di aperto confronto. Egitto, Arabia Saudita, Giordania e Marocco si oppongono alla Siria, che aiuta l’Iran e sostiene Hezbollah e interferisce negli affari del Libano, con effetto destabilizzante su tutta la regione. Il Qatar è favorevole all’Iran. L’Algeria, dove la guerra civile è calata di tono, è violentemente contro Israele contro l’Occidente.
Si possono trovare altri esempi di assenza di ‘unione’ su tanti altri argomenti, escluso ovviamente Israele. Sulla seconda proposta, di creare un’istituzione per la collaborazione con paesi limitrofi come Iran e Turchia, è ovvio che la maggior parte dei paesi membri sono contrari. Hanno paura delle attività sovversive dell’Iran e sanno ben che non ci può essere dialogo con l’Iran, soltanto sottomissione.
Gheddafi stilerà sicuramente un altro documento più accettabile per il prossimo summit, ma non c’è nessun dubbio sul risultato. I paesi arabi hanno tutti rapporti distesi con la Turchia, anche se sono allarmati dall’aumento dell’influenza islamista e dagli accenni alla rievocazione del califfato. Non dimenticano che la Turchia è l’erede dell’Impero Ottomano cui erano sottomessi.
Dunque i tentativi concordi di Gheddafi e di Mussa per cambiare lo statuto della Lega Araba al fine di promuovere una più stretta collaborazione per affrontare i problemi sembrano privi di concretezza. Occorre altro per un Medio Oriente migliore. Ma nessuno pare volerlo ammettere. Gli stati arabi non vogliono vedere la realtà, e finchè rifiutano di affrontare i problemi concreti la loro situazione non potrà che peggiorare. I summit che non prendono il toro per le corna sono destinati al fallimento e ampliano l’abisso in cui gli stati arabi corrono il rischio di sprofondare.
* The writer is a former ambassador to Egypt, Romania and Sweden and a fellow of the Jerusalem Center for Public Affairs.