Karzai a libro paga dell'Iran ? E' una faccenda pulita che merita anche un plauso Solo sulle pagine del quotidiano comunista, dove se no ?
Testata: Il Manifesto Data: 26 ottobre 2010 Pagina: 9 Autore: Marina Forti Titolo: «Iraniani a Kabul: 'borse di soldi' e interessi strategici»
Riportiamo dal MANIFESTO di oggi, 26/10/2010, a pag. 9, l'articolo di Marina Forti dal titolo " Iraniani a Kabul: 'borse di soldi' e interessi strategici ".
Hamid Karzai
Karzai è a libro paga di Ahmadinejad. Non si tratta di finanziamenti 'trasparenti', come li ha definiti il presidente afghano, dal momento che arrivavano nascosti in una scatola. Notiamo che il Manifesto non si smentisce, sostenendo che la faccenda è pulita e merita pure un plauso : " Nel post-11 settembre l’Iran sperava che la cooperazione sull’Afghanistan portasse a aprire con gli Usa un tavolo di negoziato più ampio, un «grand bargain» che non si concretizzò (allora fu affossato dall’amministrazione Bush). Oggi, concludeva la diplomatica americana «un gran bargain è essenziale per evitare un fallimento strategico in Afghanistan». ". Bravo Ahmadinejad, e bravo Obama! Finalmente l'era di Bush, il grande affossatore di trattative convenienti con l'Iran è finita e ci si può sedere a negoziare. O meglio, l'Iran può continuare indisturbato a minacciare Israele e a costruire testate nucleari, mentre Obama può continuare a tenere stupidamente la mano tesa, in attesa di altri schiaffi da Ahmadinejad. Non stupisce che a pubblicare una tesi simile sia il quotidiano comunista, il cui obiettivo principale non è informare, ma convincere il lettore che il capitalismo è il male peggiore di tutti i tempi e che gli Usa non siano altro che una potenza dominatrice da odiare in quanto capitalista e non comunista. Ecco l'articolo:
Ricevo soldi dall’Iran e continuerò a prenderli; servono alle spese presidenziali e sono parte di «una relazione tra vicini». Così il presidente afghano Hamid Karzai ha risposto ieri all’ultima rivelazione del New York Times. Il quotidiano newyorkese aveva riferito domenica, in una corrispondenza dalla capitale afghana Kabul, che il governo di Tehran versa considerevoli somme al presidente afghano. O per la precisione al suo capo dello staff, Umar Daudzai. Citando testimonianze (sempre anonime) di diplomatici e alti funzionari sia afghani che occidentali, l’articolo parla di borse piene di milioni di dollari o euro in cash, liquidi, consegnate dall’ambasciatore dell’Iran a Kabul, Feda Hossein Maliki, all’uomo di Karzai. Secondo il quotidiano (e i diplomatici occidentali che cita) si tratta di uno o 2 milioni di dollari ogni due mesi, a volte di più; fuori dai conteggi ufficiali, sarebbero intesi a «comprare la lealtà di Daudzai e promuovere gli interessi iraniani nel palazzo presidenziale », un «fondo nero» per pagare deputati, anziani delle tribù. Quella di Karzai dunque è un’ammissione, e anche un contrattacco. Durante una conferenza stampa ieri il presidente afghano ha detto che sì, il suo capo dello staff ha preso i soldi del governo iraniano e lo ha fatto su sua direttiva. «E’ trasparente», gli Stati uniti lo sanno, «ne ho parlato anche con il presidente Bush». Si tratta di un milione di dollari due volte all’anno, ha precisato Karzai: gli iraniani «hanno chiesto in cambio di avere buone relazioni, emolte altre cose. Anche noi abbiamo chiesto molte cose in cambio di questa buona relazione. E’ una relazione tra vicini e continuerà, continueremo a prendere denaro dall’Iran » - anche gli Stati uniti, ha aggiunto, gli hanno dato soldi cash. Il giornale americano e i diplomatici occidentali insistono molto sulla «penetrazione » iraniana attraverso agenti di intelligence, aziende, ora anche soldi. Curioso però questo stracciarsi le vesti: che l’Iran abbia interesse a essere presente in Afghanistan (con cui condivide parecchie centinaia di chilometri di un confine permeabile) è ovvio, e pure che voglia garantire i propri interessi strategici, come ogni parte in causa. Il punto è quali sono gli interessi iraniani in Afghanistan. Dopo l’11 settembre 2001 gli Stati uniti chiesero e ottennero l’aiuto iraniano per sloggiare il governo dei Taleban (con cui l’Iran aveva sfiorato la guerra pochi anni prima) e perseguire al Qaeda: l’interesse comune era chiaro e ci fu un coordinamento piuttosto stretto.Hillary Mann Leverett, una del ristretto numero di alti funzionari delDipartimento di stato Usa che condussero i colloqui con l’Iran in quel periodo, spiegava in una recente intervista (a Foreign Policy) che da allora l’interesse strategico dell’Iran non è cambiato: impedire che l’Afghanistan diventi una piattaforma da cui attaccare o danneggiare l’Iran e la sua posizione regionale; avere un vicino stabile e indipendente che sia amico dell’Iran. «Dal punto di vista iraniano, il ciclo di violenza e instabilità favorisce gli avversari dell’Iran, in particolare i Taleban, e i loro sostenitori esterni, Pakistan e arabia saudita, entrambi avversari regionali» dell’Iran, dice Mann Leverett, e in questa prospettiva Tehran guarda anche gli eventuali colloqui con i Taleban (e il ruolo che pakistani e sauditi vi avranno). Nel post-11 settembre l’Iran sperava che la cooperazione sull’Afghanistan portasse a aprire con gli Usa un tavolo di negoziato più ampio, un «grand bargain» che non si concretizzò (allora fu affossato dall’amministrazione Bush). Oggi, concludeva la diplomatica americana «un gran bargain è essenziale per evitare un fallimento strategico in Afghanistan».
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