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Corriere della Sera Rassegna Stampa
25.10.2010 Burqa, un problema che le donne dovrebbero risolvere da sole ?!
Sergio Romano sempre più islamicamente corretto

Testata: Corriere della Sera
Data: 25 ottobre 2010
Pagina: 29
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Il problema del burqa lo risolveranno le donne»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 25/10/2010, a pag. 29, l'articolo di Sergio Romano dal titolo "Il problema del burqa lo risolveranno le donne".


Sergio Romano

Nella sua risposta al lettore, Sergio Romano parte da premesse giuste per arrivare a conclusioni sbagliate.
La premessa è che il burqa non ha nulla a che vedere con la religione, ma è un simbolo di segregazione e discriminazione delle donne che non vogliono portarlo. La conclusione sbagliata è nelle ultime righe della risposta : "
Una legge sul burqa o sul niqab, soprattutto in un Paese in cui le donne interamente velate sono tutt’al più qualche centinaio, sarebbe, oltre che inutile, dannosa. Verrebbe correttamente interpretata come una legge anti-musulmana e fornirebbe argomenti agli esponenti più radicali e maschilisti della comunità. ". Il fatto che a portare il burqa siano poche, non rende la situazione meno grave. Le poche donne che osano cercare di contrastare il loro maschi-padroni, vengono percosse e ammazzate. Le pagine di cronaca sono piene di esempi. Hina e Sanaa, per esempio, sono state uccise dai familiari perchè cercavano di integrarsi nel mondo occidentale.
Per questo una legge è necessaria. Non si può abbandonare le vittime al loro destino senza offrire nessuna garanzia se non qualche pagina di giornale e la condanna degli aggressori una volta che hanno già ucciso.
Le donne e la loro volontà di essere libere saranno anche la chiave della soluzione, ma non si può pensare che siano in grado di riuscirci da sole. E lo Stato ha il dovere di garantire i loro diritti.
Romano sostiene che se lo scontro di civiltà non ci sarà, sarà proprio grazie alle donne. Ma lo scontro di civiltà c'è già, non è una delle opzioni del futuro, è già in corso.
Per saperne di più su Janik Cingoli e del suo Cipmo (citati da Romano all'inizio della lettera, come fonte autorevole sull'argomento burqa-libertà della donna), invitiamo i lettori a scrivere il suo nome nella casella 'Cerca nel sito' in alto a destra sulla Home Page di IC.
Ecco lettera e risposta:

Sergio Romano In un editoriale, parlando di burqa, lei sosteneva che in molti casi si trattava di zelo religioso e che la risposta alla paura dell’integralismo risiedeva nell’integrazione. Purtroppo esempi indicano che anche dopo anni in Italia molti islamici non hanno alcuna intenzione di integrarsi. Secondo me non si tratta tanto di ottemperare ai precetti religiosi giacché il motivo principale è quello di conservare la sharia e con essa la supremazia sulla donna, cioè machismo puro e nulla più.

Vittorio di Sambuy
Milano

Caro Sambuy,

Negli scorsi giorni il Cipmo, un centro milanese per la pace in Medio Oriente diretto da Janik Cingoli, ha organizzato una tavola rotonda sul «burqa tra libertà individuale e sicurezza sociale» che si è tenuta in un antico refettorio, ora restaurato, dell’antico ospedale milanese dove ha sede da molti anni l’Università statale. Al convegno, moderato da Silvio Ferrari, docente di diritto canonico, hanno partecipato cinque donne, di cui quattro musulmane: Sara Silvestri, docente di religione e politica internazionale alla City University di Londra, Sumaya Abdel Qader, membro del Comitato esecutivo del Foro europeo delle donne musulmane, Dounia Ettaib, presidente di Dari (donne arabe in Italia), Patrizia Khadija Dal Monte, vicepresidente dell’Ucoii (Unione delle Comunità e organizzazioni islamiche in Italia) e la dottoressa somala Maryan Ismail.

Delle quattro donne due — Dounia Ettaib e Maryan Ismail — avevano il capo scoperto e hanno suscitato i rimbrotti di un anziano signore musulmano che ha chiesto la parola all’inizio del dibattito. Vi erano quindi, fra i musulmani che hanno partecipato alla discussione, diverse opinioni e intonazioni. Ma negli interventi femminili ha prevalso la tesi secondo cui il burqa apparterrebbe esclusivamente alla cultura afghana, mentre il niqab (l’abito che lascia scoperti soltanto gli occhi) sarebbe un costume dell’antica tradizione arabo-bizantina senza alcuna relazione con i precetti del Corano. Quello che mi ha maggiormente colpito, caro Sambuy, è la passione intelligente con cui tutte le donne musulmane hanno difeso le loro libere scelte. Credo che nel processo d’integrazione delle comunità islamiche in Europa le donne siano destinate ad avere una funzione decisiva. Conoscono la condizione delle loro amiche occidentali, sono attratte dai loro successi, vogliono lasciare alle figlie una società migliore di quella in cui sono cresciute e si stanno adoperando, con molta intelligenza, per trovare formule che permettano di conciliare la tradizione e la modernità, l’identità religiosa e la cittadinanza del Paese in cui vivono. Il fenomeno non è esclusivamente italiano. In un articolo apparso sul Corriere del 18 settembre, Alessandro Silj ha segnalato che i movimenti femminili del mondo arabo - musul man o stanno diventando sempre più visibili e influenti. Se non vi sarà scontro di civiltà lo dovremo soprattutto alle donne.

Una legge sul burqa o sul niqab, soprattutto in un Paese in cui le donne interamente velate sono tutt’al più qualche centinaio, sarebbe, oltre che inutile, dannosa. Verrebbe correttamente interpretata come una legge anti-musulmana e fornirebbe argomenti agli esponenti più radicali e maschilisti della comunità. Lasciamo alle donne musulmane il compito di risolvere il problema del velo. Ci riusciranno meglio di noi.

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