Difendere Godard dalle accuse di antisemitismo lodandolo per il suo antisionismo Un'impresa che riesce solo al quotidiano comunista
Testata: Il Manifesto Data: 23 ottobre 2010 Pagina: 13 Autore: Cristina Piccino Titolo: «JL Godard, le critiche a Israele risvegliano cattive coscienze»
Riportiamo dal MANIFESTO di oggi, 23/10/2010, a pag. 13, l'articolo di Cristina Piccino dal titolo " JL Godard, le critiche a Israele risvegliano cattive coscienze ".
Piccino prova a difendere Godard dalle accuse di antisemitismo, ma non ci riesce. Ecco alcuni dei 'punti forti' della sua difesa dell'antisemita Godard : " Dire cheGodard è antisemita è divenuto infatti, a cominciare dalla Francia, un fin troppo facile esercizio di malafede.";
"È dai tempi di Ici et ailleurs (1976), straordinario documento sulle dinamiche di un paese violentato come la Palestina, che il regista è messo al rogo da quella componente politica e artistica che attaccando la sua visione del conflitto mediorientale, si solleva dal problema di affrontare le responsabilità storiche, politiche, culturali francesi sull’antisemitismo";
" Godard è critico verso la politica aggressiva e violenta praticata da Israele contro i palestinesi ";
" Il punto è che la critica alla politica di uno stato, del tutto lecita, diviene insopportabile quando si tratta di Israele suscitando l’accusa di antisemitismo";
" a infastidire è proprio questa sua continua «lezione di storia», che smaschera fantasmi fastidiosi passati e presenti". Questa frase si riferisce al fatto che Godard si è schierato a favore del film Route 181, in cui la Shoah viene paragonata alla Nakba. Ma a far classificare Godard come antisemita non sono state solo le sue posizioni contro Israele. Per esempio, nel pezzo di Repubblica, si menzionano alcune sue dichiarazioni antisemite, come l'accusa rivolta a un suo collega ebreo di essere " attaccato ai soldi come tutti gli ebrei". Piccino non ha ritenuto opportuno riportarla nel suo pezzo, chissà perchè. In ogni caso, solo il quotidiano comunista ha tentato una difesa dell'antisemitismo di Godard, lodandolo per le sue posizioni contro Israele, come se ci fosse qualche differenza tra l'essere antisemiti e antisionisti. La cosa non stupisce molto, vista l'inclinazione del Manifesto. Ecco l'articolo:
Godard? Un antisemita che non merita l’Oscar. Titola così il quotidiano la Repubblica ieri riferendosi alla polemica scoppiata sulla decisione dell’Academy di assegnare l’Oscar alla carriera a Jean Luc Godard. La cosa non piace all’israeliano Haaretz, peraltro uno dei giornali meno ortodossi in Israele, e meno che mai al settimanale newyorchese vicino alla comunità ebraica Forward. Strano che se ne accorgano ora, la notizia del premio infatti è stata annunciata da qualche mese, insieme a Godard il 13 novembre in una cerimonia «separata » dalla notte degliOscar e senza diretta televisiva, riceveranno la statuina l’attore Eli Wallach, il regista Francis Ford Coppola, lo storico del cinema Kevin Brownlow. Secca la risposta dell’Academy: «L’antisemitismo è disdicevole ma l’Academy non trova le critiche mosse a Godard persuasive». Non basta però al quotidiano in questione che per avvalorare la tesi dell’antisemitismo - in ciò che appare una battaglia personale avviata in questi mesi nei confronti del cineasta - interpella gli autori di due biografie «godardiane», il critico e storico francese Antoine de Baecque (Godard- Biographie, Grasset) e l’americano Richard Brody (The Working Life of Jean Luc Godard). Il primo, pur negando una presa di posizione «pubblicamente antisemita» nota che comunque talvolta Godard si è lasciato andare a «battute di cattivo gusto». Il secondo non ha dubbi: «Godard non riesce a non parlare male degli ebrei» - sarebbe doveroso in una corretta pratica giornalistica riportare che, almeno nel caso di De Baecque, Godard ha preso le distanze da quella biografia seppure astenendosi da ogni commento (intervista su Les Inrockuptibles dello scorso maggio). Il tutto appare come l’ennesimo capitolo di una storia antica. Dire cheGodard è antisemita è divenuto infatti, a cominciare dalla Francia, un fin troppo facile esercizio di malafede. È dai tempi di Ici et ailleurs (1976), straordinario documento sulle dinamiche di un paese violentato come la Palestina, che il regista è messo al rogo da quella componente politica e artistica che attaccando la sua visione del conflitto mediorientale, si solleva dal problema di affrontare le responsabilità storiche, politiche, culturali francesi sull’antisemitismo. È vero, Godard è critico verso la politica aggressiva e violenta praticata da Israele contro i palestinesi. Lo motiva ogni volta con consapevolezza politica, anche nella provocatorietà che appartiene alla sua immagine pubblica - quale altro regista ringraziando avrebbe risposto all’Academy che la sua presenza a Los Angeles dipendeva dagli impegni del momento? Il punto è che la critica alla politica di uno stato, del tutto lecita, diviene insopportabile quando si tratta di Israele suscitando l’accusa di antisemitismo. La cosa riguarda un po’ tutta l’Europa (in America è ancora diverso), in Francia però i nervi sono particolarmente scoperti: troppa cattiva coscienza (quasi come per l’Algeria), Vicky, i tanti ebrei francesi deportati in un silenzio complice. E se un intellettuale autorevole come Godard prende una posizione libera costringe in qualche modo a fare i conti con quella Storia rimossa. Qualche anno fa un gruppo di registi francesi firmò compatto la petizione di Claude Lanzmann che chiedeva di bloccare Route 181 (2004) di Eyal Sivan, israeliano dissidente eMichel Khleifi, palestinese, entrambi artisti di alta sensibilià, perché secondo lui metteva sullo stesso piano la Shoah e la Nakba - in particolare una scena, un barbiere palestinese che ricorda il massacro israeliano del ’48 dalla stessa «prospettiva » del barbiere che nel suo Shoah (1985) racconta la deportazione. Firmarono registi come Chantal Akerman o Arnaud Desplechin. Il che è molto indicativo se si pensa che oltralpe gli artisti sono i primi a mobilitarsi contro le censure e per la libertà di espressione. Godard intervenne ovviamente a favore del film, cosa che gli costò nuovi attacchi alimentando la sua «vocazione» antisemita. Forse allora a infastidire è proprio questa sua continua «lezione di storia», che smaschera fantasmi fastidiosi passati e presenti.
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