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Il Sole 24 Ore - Corriere della Sera Rassegna Stampa
22.10.2010 Boicottare Israele, aspettare che la moratoria sugli insediamenti scada per recriminare
Abu Mazen fa di tutto per affossare i negoziati, ma Tramballi e Battistini scrivono il contrario

Testata:Il Sole 24 Ore - Corriere della Sera
Autore: Ugo Tramballi - Francesco Battistini
Titolo: «La terza Intifada si fa con il sesamo - Accuse a Israele: Nelle colonie 600 nuovi cantieri»

Riportiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 22/10/2010, a pag. 12, l'articolo di Ugo Tramballi dal titolo " La terza Intifada si fa con il sesamo ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 15, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " Accuse a Israele: Nelle colonie 600 nuovi cantieri ".
Ecco i due pezzi, preceduti dai nostri commenti :

Il SOLE 24 ORE - Ugo Tramballi : " La terza Intifada si fa con il sesamo "

La pratica dei boicottaggio di Israele (che Tramballi definisce 'terza intifada') e il suo elogio minano l'obiettivo di un accordo di pace, rendendolo sempre più lontano.
Prendiamo atto che anche a Tramballi l'ipotesi di uno Stato palestinese sembra tramontata. Ci aspettiamo che scriva al più presto che la soluzione migliore è uno Stato unico binazionale.
Ecco l'articolo:

«Cittadini di Gerusalemme! Svegliatevi, comprate beni e servizi dalle imprese di Giudea e Samaria, non dalle città palestinesi! Al terrorismo economico dobbiamo rispondere per le rime con un contro boicottaggio!», esorta Benny Kashriel, sindaco di Maale Adumim, il più grande insediamento fuori Gerusalemme, alle spalle del monte degli Ulivi.

L'eccesso di punti esclamativi nel suo manifesto "Alla cittadinanza della Grande Gerusalemme" è il segnale di una preoccupazione seria: la terza Intifada palestinese è già iniziata. Questa volta niente bombe né kamikaze ma un libretto intitolato "Guida al combattimento contro i prodotti degli insediamenti". In copertina un dito puntato verso il lettore ammonisce: "La tua coscienza, la tua scelta". L'iniziativa di boicottare tutto ciò che viene prodotto nelle colonie ebraiche dei territori occupati, era nata un anno fa come esperimento. Ora c'è una legge firmata da Abu Mazen che bandisce quei beni dagli scaffali dei mercati e dalle tavole dei palestinesi; c'è una lista illustrata dalla guida con foto e marchi di 500 prodotti e di tutte le imprese che operano fuori dai confini d'Israele, in Cisgiordania che per Israele è Giudea e Samaria; ci sono 13 imprese che hanno deciso di lasciare gli insediamenti dove avevano trasferito la produzione per ottenere esenzioni fiscali, e tornare in Israele per non perdere quote di mercato.

Delle altre Intifada si occupavano le forze armate, di questa la Confindustria israeliana. «Separiamo la politica dall'economia», ha chiesto il suo presidente Shraga Brosh, ai colleghi palestinesi. «È impossibile. Noi facciamo una controproposta: separiamoci politicamente e avviamo una grande cooperazione economica», dice Abdel Hafez Nofal, 56 anni, vice ministro palestinese dell'Economia. "Mister Boycott" è lui. «Tutto è incominciato quando il ministro del Commercio inglese mi disse: "Noi abbiamo deciso di boicottare i prodotti delle colonie. E voi?" Eravamo in una situazione nella quale Ue e paesi arabi compravano i prodotti degli insediamenti e contemporaneamente aiutavano noi. Noi stessi lottavamo per la nostra indipendenza e ogni giorno nei nostri negozi compravamo la loro merce».

Il lungo esilio a Tunisi, il ritorno con Arafat, la seconda Intifada e la certezza che quella lotta violenta, iniziata nel 2000 dopo il fallimento della trattativa di Camp David, sia stata un disastro da non ripetere. Nessuno può garantire contro un'altra ribellione armata, se fallisse anche il tentativo di pace di Barack Obama. «Ma sono convinto», dice Nofal, «che quella economica sia un'arma infinitamente più efficace delle altre. Sia chiaro: il nostro non è un boicottaggio a Israele. Il nostro interscambio è di 5 miliardi di dollari l'anno: noi esportiamo per 700 milioni e importiamo per 4 miliardi. La quota delle colonie è di 300 milioni. Economicamente non è essenziale, per noi è una questione di dignità».

Unità speciali del ministero dell'Economia perquisiscono i nuovi grandi shopping malls nelle città palestinesi a caccia dei prodotti boicottati. Gli imprenditori privati hanno creato col governo dell'Autorità palestinese un "Fondo della Dignità" di 2,5 milioni di dollari per alleviare i contraccolpi economici e occupazionali del boicottaggio. «Non è facile distinguere un prodotto delle colonie da uno israeliano. E sappiamo bene che per molti palestinesi è difficile trovare un'alternativa al lavoro negli insediamenti», dice Nofal. In questi giorni uno dei segni della fine del congelamento dei cantieri (sarebbero già circa 600 le costruzioni avviate dal 26 settembre, secondo il movimento Peace Now) sono le file di operai palestinesi davanti alle colonie, ogni mattina all'alba. «Ma dove possiamo, agiamo. Per il momento questo basta alla nostra dignità».

Senza spari né vittime, questa terza Intifada economica già lascia dei segni nella parte israeliana. «Oggi non c'è una sola fabbrica di Barkan che non cerchi una ricollocazione alternativa dentro Israele», ammette Yaakov Malach, amministratore delegato di Achva, uno dei principali produttori mondiali di tahina, la pasta di sesamo. Barkan è un insediamento nel nord della Cisgiordania e un parco industriale che aveva attratto molte imprese israeliane. Il 25% della produzione di Achva viene esportato in Europa e sul mercato palestinese, uno dei principali consumatori di tahina. «La situazione si sta facendo sempre più complicata perché il boicottaggio condiziona anche i nostri clienti all'estero».

«È esattamente quello che volevamo», conclude Abdel Hafez Nofal. «Ma non ne siamo felici. La nostra è una piccola economia sotto occupazione che dipende dagli israeliani. Se solo le cose fossero normali, firmeremmo con loro un accordo di cooperazione economica anche domani. A noi è questo che serve, non un'altra Intifada».

CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Accuse a Israele: Nelle colonie 600 nuovi cantieri "


Abu Mazen con il suo mentore, Yasser Arafat

Battistini critica Israele perchè ha ricominciato a costruire negli insediamenti.
I cantieri riaperti si trovano in zone che saranno annesse a Israele secondo i negoziati e non sarebbero comunque incluse nello Stato palestinese.
In ogni caso, la moratoria è durata 10 mesi. Che cos'ha fatto Abu Mazen in quel periodo per cercare la pace con Israele ? Nulla. Ha solo recriminato sul fatto che 10 mesi non sono sufficienti e che il congelamento deve essere perenne, poi ha atteso che i mesi scadessero per sedersi al tavolo dei negoziati e pretendere altro tempo per il solo fatto di restare al tavolo.
Un atteggiamento che denota la malafede dell'Anp. Abu Mazen non è interessato a nessuna pace, come non lo era il suo predecessore Arafat.
Ecco l'articolo:

GERUSALEMME — «Io ci credo ancora», dice Hillary Clinton: «Non posso promettere che arriveremo presto alla pace, ma posso giurare che abbiamo un’occasione e che vogliamo, dobbiamo coglierla. L’amministrazione Obama non volterà le spalle né al popolo palestinese, né a quello israeliano». Ci crederà e non girerà lo sguardo altrove, la segretaria di Stato americana, ma un po’ di realismo e d’attenzione non guasterebbero: mai tante case, e mai così velocemente, sono state costruite nelle colonie come nelle ultime tre settimane, ovvero da quando è finito il congelamento dei progetti edilizi. Lo dicono un’inchiesta di Peace Now e dell’Ap: quasi seicento nuove abitazioni, come minimo, dal 26 settembre a oggi. Betoniere e gru in funzione giorno e notte, fondamenta scavate e t er r eni l i vel l at i , unrit mo quattro volte superiore a quello di qualunque giorno degli ultimi due anni. «È un dato allarmante — commentano dall’Autorità palestinese —, la prova che Israele non è serio quando par l a di pr ocess o di pace » . «Queste nuove case — minimizza il premier Bibi Netanyahu — non avranno alcun effetto sulla mappa che uscirà da un possibile accordo di pace».

Quale accordo sia possibile, è un mistero. Un sondaggio dimostra che solo il 5-6 per cento dei palestinesi e degl’israeliani ci crede, anche se il 78 degl’israeliani (e il 30 dei palestinesi) lo sogna. Le nuove tensioni a Gerusalemme Est, le polemiche sul giuramento di fedeltà allo Stato ebraico, la rottura totale fra Hamas e Fatah hanno tolto ogni fiducia, dice la ricerca. E provocano scintille a ogni incontro ufficiale: le ultime ieri, quando il presidente della Knesset ha ricevuto l’ex presidente americano Jimmy Carter e alla contestazione («è scioccante come trattate gli arabi di Gerusalemme») ha risposto duro che «Carter è un noto amico di Hamas». Il clima di sfiducia dà voce ai radicali: i siriani che all’ultima riunione della Lega araba hanno «umiliato» l’Anp (parole di Abu Mazen); rabbini estremisti come Yitzhak Shapira che possono perfino invitare i soldati israeliani a usare scudi umani palestinesi. Una risposta indiretta gliel’ha data l’esercito che, proprio ieri, ha annunciato l’introduzione di nuovi check-point senza soldati: prenderanno le impronte ai 25mila palestinesi che ogni giorno arrivano dai Territori ed eviteranno, s’assicura, «i troppi abusi».

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