Al Awlaki, architetto del terrorismo di al Qaeda in Occidente ritratto di Mattia Ferraresi
Testata: Il Foglio Data: 22 ottobre 2010 Pagina: 2 Autore: Mattia Ferraresi Titolo: «Il Pentagono invitava al Awlaki a pranzo, ora lo insegue con le bombe»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 22/10/2010, a pag. 2, l'articolo di Mattia Ferraresi dal titolo "Il Pentagono invitava al Awlaki a pranzo, ora lo insegue con le bombe".
al Awlaki
Washington. Poco dopo l’11 settembre 2001 l’imam Anwar al Awlaki ha condannato pubblicamente al Qaida; lo ha fatto in un discorso alla comunità musulmana di Alexandria, in Virginia, una manciata di miglia a sud del Pentagono. C’è mancato poco che la folla di fedeli lo linciasse sul posto, quella volta, per le condanne inequivocabili che Awlaki pronunciava contro gli attentatori delle Torri Gemelle e del Pentagono. Ma fra la folla arrabbiata c’era un agente dell’Fbi sotto copertura, che ha approciato quello che sembrava un musulmano moderato dopo il discorso. Il Pentagono aveva appena avviato un programma per “coinvolgere” i musulmani moderati: servivano informazioni da fonti credibili e il segretario della Difesa, Donald Rumsfeld, voleva incontrare i moderati della zona. Il nome dell’imam Awlaki era legato a quello di tre attentatori dell’11 settembre: Nawaf al Hazmi e Khalid al Mihdhar frequentavano la moschea di San Diego guidata da Awlaki fino al 2000 e spesso si univa a loro anche Hani Hanjour, il pilota dell’aereo che ha colpito il Pentagono. Uno dei tre lo aveva anche seguito all’inizio del 2001 nella sua nuova moschea di Falls Church, nei sobborghi di Washington. Allo stesso tempo le condanne di Awlaki dopo l’attentato lasciavano intendere che l’imam nato a Las Cruces, nel New Mexico, da genitori yemeniti non fosse allineato su posizioni estreme. Secondo la ricostruzione fornita dall’agente dell’Fbi a Fox News, dopo quattro incontri privati Awlaki è stato invitato per un pranzo al Pentagono. Stava per entrare ufficialmente nel giro degli informatori della Difesa in quota “insider”. Ma Awlaki era un estremista e un bugiardo. Nel 1993 si era preso una vacanza dal college del Colorado per andare in Afghanistan a vedere di persona l’assetto del potere islamico stabilito dagli arabi in terra afghana e al ritorno si era messo a citare Abdullah Azzam, il grande teorico del jihad; fino al 2001 è rimasto negli Stati Uniti, dove è stato indagato per un giro di prostituzione nell’area di Washington. Quando nel 2002 ha pubblicato sul sito Islam Today un saggio intitolato “Perché i musulmani amano la morte”, l’imam era già un punto di riferimento per terroristi sparsi per il mondo. Di lì a poco sarebbe diventato “il Bin Laden di Internet”, cittadino americano rifugiato nello Yemen. Awlaki ha mantenuto i contatti con gli attentatori che di recente hanno ricordato all’America che la guerra non è finita; li chiamano i “lupi solitari”, jihadisti fai da te che si radicalizzano navigando in rete, ma per molti di loro Awlaki era l’antidoto alla solitudine, l’anello di congiunzione fra l’aspirazione al martirio e la lotta organizzata. Il maggiore Nidal Hassan, quello che ha ucciso tredici colleghi nella base di Fort Hood, era stato educato al jihad da Awlaki, che poi lo ha definito un “eroe”; il nigeriano Umar Farouk Abdulmutallab, che il giorno di Natale è salito su un aereo con una bomba nelle mutande, era collegato a lui. Faisal Shahzad, l’attentatore di Times Square, è stato ispirato dai sermoni dell’imam. Per queste connessioni la Cia ha dato ai suoi agenti licenza di uccidere Awlaki, procedimento inedito per un cittadino americano, e i droni americani hanno sganciato bombe sullo Yemen dirette al suo presunto covo. Nove anni fa era stato classificato dagli americani come fonte affidabile fra gli islamici moderati e la sua affidabilità è stata battezzata con un pranzo di lavoro al Pentagono.
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