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La Stampa Rassegna Stampa
21.10.2010 Obama si prepara alla batosta midterm nel suo Illinois
Cronaca di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 21 ottobre 2010
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «A casa di Obama la sfida simbolo del Midterm»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 21/10/2010, a pag. 1-16, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " A casa di Obama la sfida simbolo del Midterm ".


Maurizio Molinari

E’ nelle roccaforti liberal assediate dai repubblicani che si giocano le sfide decisive per l’esito delle elezioni per il rinnovo del Congresso. Chicago è quella dove la sfida assume rilievo nazionale perché disseminata di simboli presidenziali: è la città dove Barack Obama è politicamente nato.
La città dove ha la sua casa e dove è in palio il seggio che aveva al Senato di Washington a cui bisogna aggiungere i seggi della Camera che si assegnano più a Sud, attorno a Springfield, la capitale dell’Illinois che scelse nel febbraio del 2007 per lanciare la corsa alla Casa Bianca.
Per comprendere perché nella terra di Obama i democratici sono sulla difensiva bisogna tornare a Grant Park, la distesa verde a centro città che nell’Election Night 2008 lo vide pronunciare il discorso della vittoria. Davanti al Congress Plaza Hotel c’è una folla di ex dipendenti che incrociano le braccia. Sono ispanici e afroamericani, innalzano cartelli con la scritta «Strike» (sciopero) e picchettano l’entrata da settimane. «Ero qui quella sera, mi ricordo bene Obama - esordisce José Gomez, 50 anni - quando diceva “Quel vecchio all’angolo è come mio nonno e quel piccolo senza casa è come mio figlio”, ma in realtà di noi poveri si è dimenticato in fretta, non ci ha aiutato e stiamo peggio di allora».
Attorno a lui annuiscono in molti, una donna afroamericana di nome Lucey alza l’indice verso il cielo: «Mi dispiace dirlo ma a Obama di noi non interessa nulla, avevamo stipendi già bassi e ce li hanno tagliati del 30 per cento, e lui che ha fatto? Ci ha mandato Rahm Emanuel per fare il sindaco, non lo voteremo». Poche centinaia di metri più avanti, a fianco dell’Orchestra Hall, il negozio di souvenir cittadini che due anni fa traboccava di gadget di Obama, ora li ha sostituiti con quelli di Al Capone. «Tazze, spille e magliette di Obama non le abbiamo più da mesi - spiega la commessa - una volta esaurite non sono state riordinate, comunque Al Capone si vende bene, ed è sempre di qui». Per ritrovare traccia di «Obamaland» bisogna salire sul Loop - la metro locale - fino alla North Franklin Street, dove al 730 c’è la sede della società di consulenze di David Axelrod e David Plouffe, i registi della conquista della Casa Bianca. Loro sono a Washington, ma i dipendenti pranzano da «Brett’s Kitchen», un elegante bar stile Soho dove i piatti più richiesti sono vegetariani. Seduti attorno a un tavolo di legno, il gruppo di giovani dell’Akpd parla di politica, fitto fitto: «Questa volta è dura, ma ce la faremo», «alla fine i nostri andranno a votare», «i sondaggi ancora una volta si riveleranno sbagliati».
Al momento però la strada appare tutta in salita. Nella gara per assegnare il seggio del Senato che era di Obama il repubblicano Mark Kirk, un ex ufficiale dell’Us Navy di stanza ad Aviano durante la guerra del Kosovo, è avanti di 4 punti rispetto al democratico Alexi Giannoulias, i cui genitori sono stati accusati di frode bancaria, e la differenza la fanno gli elettori della North Shore, ovvero i quartieri del ceto medio-alto bianco dove nel 2004 Barack trovò i primi finanziatori. Se gli imprenditori bianchi voltano le spalle ai democratici è in segno di protesta contro l’aumento delle tasse mentre ad Hyde Park, il quartiere dove gli Obama hanno casa, il barbiere Zariff ammette di «passare giornate intere a difendere il Presidente dalle critiche dei miei fratelli neri». Sulla South Blackstone Street Zariff è una sorte di ambasciatore di Barack: «La gente subisce l’impatto delle tv, dei pessimisti, si dimentica che ha fatto grandi riforme come la Sanità e Wall Street, lo ripeto in continuazione e spero che alla fine mi ascolteranno, ora bisogna dargli tempo e poi nel 2012 dobbiamo rieleggerlo».
Ma «Powell’s Book» sulla 57ª Strada, la libreria degli Obama, ha messo i volumi su Barack in un angolino, a prezzi scontatissimi, segno che gli acquirenti scarseggiano. Per l’afroamericano Lou, che ad Hyde Park fa il tassista, «l’errore dei democratici è stato occuparsi prima della Sanità, lasciando indietro l’occupazione, qui la gente ha bisogno di lavoro».
I repubblicani annusano il colpaccio. Peter Silvestri, braccio destro di Kirk, spiega che «l’Illinois resta liberal ma questa volta i democratici non andranno alle urne a causa dell’economia e possiamo vincere ovunque, governatore, Senato e Camera». È un’analisi convergente con quella che Dick Durbin, capo della campagna democratica, fa sui tavoli di Spiaggia, uno dei locali più esclusivi del Magnificent Mile frequentati dall'élite bianca pro Obama: «Il problema sono 900 mila nostri elettori del 2008 che non vogliono andare a votare, abbiamo solo 11 giorni per fargli cambiare idea».

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